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Il re del mare. Emilio SalgariЧитать онлайн книгу.

Il re del mare - Emilio Salgari


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vinto o sono stati schiacciati? – si chiese Yanez che si sentiva bagnare la fronte di sudore.

      Ad un tratto una formidabile detonazione attraversò gli strati d’aria e si propagò con tale intensità che la torre tremò dalla base alla cima. Yanez aveva mandato un grido, mentre Tremal-Naik e Darma erano diventati pallidissimi.

      – Mio Dio, che cosa è successo? – chiese la fanciulla.

      – La mia Marianna deve essere saltata in aria, – rispose Yanez con voce rotta. – Poveri i miei uomini!

      Un dolore intenso traspariva sul viso del portoghese, mentre qualche cosa di umido brillava nei suoi occhi.

      – Yanez, – disse Tremal-Naik, con voce affettuosa, – noi non abbiamo ancora la certezza che la tua nave sia saltata.

      – Questo rombo spaventevole non può essere stato prodotto che dallo scoppio della santabarbara, – rispose il portoghese. – Io che ne ho vedute saltare tante delle navi, non mi posso ingannare. Che la Marianna sia calata a fondo non me ne importa, avendo noi a Mompracem velieri in buon numero. Sono i miei uomini che rimpiango.

      – Possono avere lasciata la nave prima che scoppiasse. Chissà, forse sono stati essi stessi a dar fuoco alle polveri onde non cadere nelle mani dei dayaki.

      – Può essere vero, – rispose Yanez, che aveva riacquistata la sua calma.

      – Vi era qualcuno a bordo che sapesse dove si trova il mio kampong?

      – Sì, il corriere che ti abbiamo mandato sei mesi fa.

      – Quell’uomo allora, se è sfuggito alla morte, potrebbe condurre qui i superstiti.

      – E passare attraverso le file dei dayaki! Ecco un’impresa che sarà ben difficile per così pochi uomini. E poi, quand’anche giungessero qui, la nostra situazione non migliorerebbe.

      – È vero, – rispose l’indiano. – Come potremo scendere il fiume senza la tua nave?

      – Cercheremo dei canotti, padre, – disse Darma.

      – Per esporsi ad un fuoco incessante senza alcun riparo? Chi giungerebbe vivo alla foce del fiume?

      – Guarda i dayaki, – disse in quel momento Yanez.

      Gli assedianti, che dovevano aver pure udito quello scoppio formidabile e anche quel vivo cannoneggiamento, avevano abbandonate le loro trincee mobili, ritirandosi verso le foreste che circondavano la pianura, come se avessero l’intenzione di togliere il blocco.

      – Se ne vanno, padre! – esclamò Darma. – Che abbiano compreso che era inutile ostinarsi contro questo kampong?

      – Yanez, – disse Tremal-Naik, – che il pellegrino sia stato invece sconfitto e che abbia mandato qui qualche corriere per far ritirare gli assedianti?

      – O che cerchino di trarci in qualche agguato? – chiese invece il portoghese.

      – In qual modo?

      – Colla speranza che noi approfittiamo della loro ritirata per abbandonare il kampong e poi assalirci in piena foresta con tutte le loro forze. No, mio caro Tremal-Naik, non sarò così sciocco io, da abboccare all’amo. Finchè non sapremo la sorte toccata alla mia Marianna, noi non lasceremo questa fattoria dove potremo difenderci lungamente, nel caso che il mio equipaggio sia stato distrutto. Mettiamo qui una sentinella e pel momento non preoccupiamoci delle manovre insidiose di quei furfanti.

      – Signor Yanez, – disse Darma. – Venite a prendere un po’ di riposo, intanto, ed a far colazione.

      Non udendo più alcun colpo di cannone, quantunque fossero tutti angosciati per la sorte che poteva essere toccata all’equipaggio della Marianna, scesero nella sala pianterrena dove i servi del kampong avevano preparata un’abbondante refezione all’inglese, con carne fredda, burro e thè con biscotti.

      Terminato il pasto e mandato il meticcio sulla torricella onde li avvertisse delle mosse degli assedianti, fecero una minuta ispezione alle cinte e alle opere di difesa, onde essere pronti a sostenere anche un lungo assedio.

      Erano trascorse già tre ore dallo scoppio, quando udirono Tangusa gridare dall’alto del minareto: – All’armi!

      E subito dopo rimbombarono alcuni spari.

      Yanez e Tremal-Naik si erano precipitati verso la piattaforma più alta della cinta, da cui potevano dominare buon tratto della pianura.

      Vi erano appena giunti, quando videro un piccolo drappello d’uomini uscire dalla foresta a corsa sfrenata, sparando sui dayaki che accorrevano da tutte le parti come per tagliare loro il passo.

      Due grida erano sfuggite alle labbra del portoghese e dell’indiano:

      – Le tigri di Mompracem! Sambigliong!

      Poi lanciarono due grida tuonanti:

      – Fuoco le spingarde!

      – Alzate la saracinesca ai nostri amici!

      I pirati che avevano scortato Yanez, vedendo i loro compagni alle prese cogli assedianti, si erano gettati sulle tre spingarde che difendevano la cinta dalla parte meridionale, scaricando quasi contemporaneamente.

      I dayaki, udendo quegli spari e vedendo cadere parecchi compagni, avevano aperte le file rifugiandosi precipitosamente nella foresta.

      Sambigliong e il suo drappello, trovando il passo libero, si erano slanciati verso il kampong a tutta corsa, non cessando di sparare.

      La saracinesca era stata alzata e parte della guarnigione era mossa incontro a loro per sostenerli nel caso che i dayaki tornassero alla riscossa e anche per guidarli attraverso il boschetto spinoso.

      I superstiti della Marianna non erano che una mezza dozzina. Erano neri di polvere, madidi di sudore, ansanti, colle vesti stracciate e insanguinate ed avevano la schiuma alle labbra per la lunga corsa che doveva essere durata non meno di tre ore. Il corriere, che conosceva la via, per fortuna era insieme a loro.

      – La mia nave? – gridò Yanez, correndo incontro a Sambigliong.

      – Saltata, capitano, – rispose il mastro con voce rantolante.

      – Da chi?

      – Da noi… non potevamo più resistere… erano centinaia e centinaia di selvaggi che ci piombavano addosso… tutti i nostri compagni sono stati uccisi… anche i feriti… ho preferito dar fuoco alle polveri…

      – Sei un valoroso, – gli disse Yanez, con voce profondamente commossa.

      – Capitano… vengono… sono molti… preparatevi alla resistenza.

      – Ah! vengono! – esclamò Yanez con voce terribile. – Vendicheremo i nostri morti!

      9. La prova del fuoco

      Le orde dei dayaki sbucavano in quel momento dalle foreste a gruppi, a drappelli, senza ordine alcuno, lanciati tutti a corsa sfrenata.

      Ululavano come belve feroci, agitando forsennatamente i loro pesanti kampilang d’acciaio lucentissimo e sparando in aria qualche colpo di fucile.

      Parevano furibondi e probabilmente lo erano per non aver potuto raggiungere e decapitare gli ultimi difensori della Marianna, che più riposati e fors’anche più lesti, erano riusciti a rifugiarsi nella fattoria prima di lasciarsi prendere.

      – Per Giove! – esclamò Yanez che li osservava attentamente dall’alto della cinta, – sono in buon numero quei bricconi e quantunque la loro istruzione militare lasci molto a desiderare, ci daranno dei gravi grattacapi.

      – Non sono meno di quattrocento, – disse Tremal-Naik.

      – Là! Hanno anche un parco d’assedio, – aggiunse il portoghese, vedendo uscire dalla boscaglia un grosso drappello che trascinava una dozzina di lilà ed un mirim. – Canaglia d’un pellegrino! Pare che se ne intenda di cose di guerra e che abbia dedicate tutte le sue cure alla sua artiglieria. Non marciano mica male, gli artiglieri! Manovrano come coscritti di tre mesi!

      – E non tirano


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