Posseduta Dagli Alfa. Jayce CarterЧитать онлайн книгу.
fatto con essi la notte precedente. Non poteva rischiare che un’altra ondata di feromoni li svegliasse.
Si mosse silenziosamente per la stanza sulla punta dei piedi. Non riusciva a trovare le mutande, ma non perse tempo con l’intimo. Trovare i pantaloni e la maglietta e indossarli nel minor tempo possibile, prima che si svegliassero, era molto più importante. Non poteva camminare fino a casa nuda e con dello sperma secco sulle gambe e in molti altri punti del suo corpo.
Claire fu presa dal desiderio di sollevare un braccio e leccarne via una macchia, e quasi lo fece, prima di scrollarsi il pensiero di dosso. No. Quella follia doveva finire.
Si tirò su i jeans e li abbottonò, prima di afferrare la maglietta. Senza il reggiseno e le mutande, il tessuto strofinava contro la sua pelle, irritandola. Ignorò la sensazione di disagio, perché preferiva un’irritazione all’idea di svegliare i tre alfa.
Un brontolio proveniente dal pavimento le fece ruotare di scatto la testa in quella direzione. Le sopracciglia di Bryce si unirono, mentre la sua mano tastava in giro, come se il suo corpo avesse percepito l’assenza di Claire persino nel sonno.
Doveva andarsene, subito. Se non lo avesse fatto, si sarebbero svegliati. Avrebbero potuto chiamare la polizia, avrebbero potuto farle domande sul perché si trovasse lì, avrebbero potuto semplicemente trattenerla e non lasciarla andare mai più.
Quindi, Claire abbandonò le scarpe, le calze e tutto il resto. Avrebbe camminato a piedi nudi. Meglio qualche taglio sui piedi che restare.
Qualsiasi cosa pur di non affrontare i tre alfa.
* * * *
Bryce camminava avanti e indietro, la sua rabbia un’ondata di fuoco che avrebbe fatto indietreggiare la maggior parte delle persone.
Kaidan si limitò a sbadigliare, mentre lo osservava dal suo posto sul divano. Il temperamento instabile di Bryce era normale quanto respirare. Infatti, se Bryce era calmo, allora c’era da preoccuparsi.
«Come ha potuto andarsene?» disse Bryce, passando vicino a dove sedeva Kaidan.
Joshua, seduto al computer e preso a scovare informazioni, rispose: «Era titubante. Lo hai visto. Credevi davvero che sarebbe rimasta qui?» Il suo sguardò non si alzò mai dallo schermo.
I due si erano svegliati e dei ringhi erano usciti a forza dal loro petto, quando si erano allungati verso un’omega che se ne era andata da tempo, abbastanza perché il suo posto diventasse freddo. Il fatto che avessero dormito mentre se ne andava dimostrava quanto li avesse sfiniti, o quanto fosse brava a sgattaiolare via. A giudicare dal modo in cui aveva fatto scattare ogni misura di sicurezza introducendosi nel loro ufficio, sospettava fosse la prima.
Eppure, Kaidan non riusciva a scuotersi il suo profumo dalle narici. Non riusciva a dimenticare quanto dolcemente si fosse concessa a lui, il modo in cui le sue cosce si erano spalancate in segno di resa.
Non fiducia, non ancora, ma non poteva certo biasimarla. Essere montata da degli estranei duranti il calore non era il genere di cosa che un’omega avrebbe desiderato.
Sta mangiando? Si sta prendendo cura di sé?
Kaidan si massaggiò il naso, mentre le domande frullavano nel suo cervello.
Un’omega era quasi più vulnerabile finito il calore. Una volta appagata, si sentiva stanca, debole, bisognosa di un po’ di riposo e del nutrimento adeguato. Si sarebbe dovuta raggomitolare in un nido, con l’alfa che l’aveva soddisfatta a prendersi cura di lei, non andarsene in giro tutta sola.
«Trovato qualcosa?» Bryce si fermò di fianco al divano, il suo sguardo puntato sull’oggetto d’arredo, come se stesse rivivendo tutto ciò che vi era accaduto la notte precedente. Allungò la mano con il palmo aperto e poi la chiuse a pugno, come a volerla afferrare e avvicinare a sé.
Una strana reazione.
Bryce, fra loro, era quello che sentiva meno la mancanza delle donne. A Kaidan mancavano quando le condividevano, come erano soliti fare di tanto in tanto, ma sapeva che il suo amico non desiderava niente di duraturo. Eppure, la verità era ben visibile sul suo volto.
L’omega gli mancava.
Joshua non era da meno. Sebbene avesse ringhiato e imprecato meno, si era mosso con la determinazione di un uomo con una missione importante. Si era seduto alla scrivania, aveva acceso il computer e si era messo al lavoro nel momento stesso in cui si era reso conto che l’omega se ne era andata. Anche quando prendeva parte alla conversazione, anche quando rispondeva alle domande, la sua attenzione non si spostava mai dallo schermo.
«Forse dovremmo lasciarla andare.»
«Che cosa?» Entrambi gli uomini fecero la stessa domanda con lo stesso tono affilato.
Kaidan fece ruotare le spalle, indolenzite dai graffi profondi che l’omega gli aveva lasciato sulla schiena la notte precedente. «Siamo stati chiari nel dire che non volevamo niente di duraturo, giusto? Non ha trovato niente nei nostri sistemi, non ha trovato ciò che stava cercando, quindi perché rintracciarla?»
Gli occhi di Joshua si assottigliarono, ma non parlò.
Bryce si voltò e il suo labbro si sollevò come se non potesse farne a meno. «Si è introdotta nel nostro cazzo di ufficio, Kaidan. Vuoi davvero lasciar correre? E se stesse lavorando per qualcuno che ci vuole morti? Abbiamo già abbastanza nemici senza doverci preoccupare di una donna che esegue i loro ordini.»
«Se si fosse trattato di un nemico, sarebbe stata più preparata. Quella ragazza non aveva idea di quello che stava facendo. Darle della dilettante sarebbe farle un complimento. Se quello fosse il meglio che possono fare i nostri nemici, penso che ne sarei offeso.»
«Potrebbe trattarsi di un inganno, potrebbe essersi presa gioco di noi. O qualcuno la stava usando.»
«Mandando un’omega prossima al calore? Di nuovo, non avrebbe alcun senso e se anche fosse vero, lei sarebbe innocente. Smettila di piegare i fatti a tuo piacimento. Ammettilo, non ha niente a che vedere con il suo aver fatto irruzione qui.»
Bryce non rispose, non si calmò, non ammise nulla. No, non Bryce. Quell’uomo era ostinato come un mulo e due volte più ottuso. Tuttavia, quella riluttanza ad arrendersi lo rendeva un buon capo e un buon amico.
Joshua spezzò la situazione di stallo. «Potrebbe essere incinta.»
«Le probabilità—»
«Non importa. C’è una possibilità e, se lo è, potrebbe essere di uno qualunque fra noi. C’è una ragione se non abbiamo mai preso un’omega in calore prima d’ora e, ora che è successo, sei disposto a ignorare l’eventualità? Sei disposto a lasciare che se ne vada senza una parola, quando potrebbe avere il figlio di uno di noi in grembo?» La parola “figlio” uscì dalle labbra di Joshua pesante e impacciata. La perdita lascia delle brutte ferite.
Bryce emise un brusco respiro. «Vorresti dirmi che non vuoi trovarla? Pensavo che avresti colto al volo l’occasione.»
Kaidan si alzò dalla sedia. «Certo che sono interessato, ma l’ultima cosa che voglio è prendermi gioco di quella ragazza. Non ha bisogno di noi tre che facciamo irruzione nella sua vita, se poi voi due decidete di non volere qualcosa di più. Non è giusto nei suoi confronti.»
«E a te piace sempre essere giusto, vero?» scattò Bryce, cercando di aizzare Kaidan. Lottare era più facile che ammettere la verità.
Kaidan non gli diede nulla contro cui infuriarsi, lasciando invece che le sue parole ribollissero nella stanza.
Alla fine, le spalle di Bryce si abbassarono di un paio di centimetri. «Voglio trovarla, okay? Potrebbe essere nei guai, deve essere coinvolta in qualcosa di più grande di lei se è entrata qui. L’idea che possa essere in pericolo non mi piace.» Esitò, poi continuò, la sua voce bassa. «E l’idea di non vederla più è anche peggio, okay?»
Kaidan sorrise di fronte all’onestà petulante dell’altro uomo. «Non era così difficile, no? D’accordo,