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Manuale Di Dizione Italiana. Marina Di PaolaЧитать онлайн книгу.

Manuale Di Dizione Italiana - Marina Di Paola


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di Dizione e Lettura Espressiva

      Quando mi fanno questa domanda, io rispondo concentrandomi sugli aspetti comunicativi e mostrando come una buona Dizione ci può aiutare molto anche nella vita di tutti i giorni.

      Certo, io adesso sono un’attrice, speaker, insegnante di Dizione e Lettura Espressiva ad Alta Voce, lavorare con la voce è la mia professione, ma quando ho cominciato a frequentare le accademie io stessa non mi rendevo conto di quanto poco sfruttassi le mie potenzialità. All’epoca, cominciai a capire che la mia voce aveva grandi possibilità che io non vedevo, non conoscevo, non sapevo nemmeno che potessero esserci. Ma non sono doti uniche, che possiedo solo io: tutti noi abbiamo nella nostra voce uno strumento meraviglioso, dobbiamo soltanto imparare a utilizzarlo nel modo migliore.

      Per esempio: ci può capitare di parlare con qualcuno e accorgerci di prestare attenzione non tanto a quello che dice, che sarebbe la cosa più importante, ma al fatto che ha un certo accento, o un difetto di pronuncia particolare. È chiaro che non dovrebbe funzionare così, ma è una cosa che succede.

      E così chi ci parla non ha ottenuto il suo scopo, qualunque fosse, perché “ci ha perso”, non sta più comunicando con noi. E noi con lui.

      Bene, imparare la dizione permette di ottenere quella che si può definire modalità di espressione vocale neutra, priva cioè delle inflessioni dialettali o personali più marcate, quelle che potrebbero dare fastidio e distrarre. Ma attenzione: questo non significa assolutamente “parlare in modo strano” o rinunciare alle proprie origini o caratteristiche; significa invece trasformarle da possibili difetti a punti di forza, in modo che la nostra personalità unica sia espressa nel modo migliore attraverso la nostra voce, anche lei assolutamente unica.

      Una voce ben educata è anche più piacevole all’ascolto, è più “bella” e personale. Perché tramite la Dizione e l’educazione vocale si può imparare a utilizzare meglio i punti di forza della nostra voce. In questo modo, saremo anche più sicuri di noi stessi e avremo una maggiore autostima.

      Inoltre, se fosse necessario, sarà più facile per noi parlare in pubblico, perché sapremo di poter contare sulla padronanza del nostro “strumento-voce”, risultando anche più credibili e preparati a chi ci ascolta.

      Non mi dilungo oltre, credo che il concetto sia ormai chiaro. La Dizione e l’educazione della voce danno grandi benefici, e imparare non è così difficile.

      Perché non provare?

      Le parole

      e gli accenti

      Parliamo innanzitutto degli accenti delle parole. Abbiamo notato durante i nostri corsi e laboratori che qualche volta questo concetto non è così facile da capire come potrebbe sembrare, e se non è chiaro questo allora anche tutto il resto finirà per essere confuso.

      Ogni parola che pronunciamo ha un accento

      su una delle sue vocali.

      Questo accento - che possiamo anche immaginare come il sottolineare, l’enfatizzare, il dare più peso a una delle vocali, o a una delle sillabe - molte volte noi non lo percepiamo in modo conscio, non ci accorgiamo che esiste, e non ce ne accorgiamo perché siamo così abituati a sentirlo che non ci facciamo più caso.

      Però, se guardiamo un film comico e ascoltiamo parlare un personaggio con un finto accento francese, che storpia le parole e magari parla di un pesce e dice “trotà” invece di “trota”, oppure parla di due strumenti musicali e li chiama “chitarrà e pianò” invece di “chitarra e piano”… allora ci rendiamo conto che sta sbagliando, che c’è qualcosa che non va. Quello che non va è che il personaggio del film sta cambiando gli accenti delle parole per ottenere un effetto comico, e si basa sul fatto che nella lingua francese la maggioranza delle parole si pronuncia con l’accento alla fine, come per esempio le nostre parole perché, andrò, laggiù e via di seguito.

      “Ho capito” potreste dire “ma ‘andrò’ e ‘perché’ e via di seguito, e anche il finto francese che dice ‘trotà’… cioè, tutte queste parole hanno l'ultima lettera scritta in modo diverso. Hanno per esempio una ‘é’ invece di una ‘e’, una ‘à’ invece di una ‘a’. Quindi in quelle parole ci sono gli ‘accenti’ perché sono scritti, e nelle altre no perché non sono scritti?”

      La cosa ha un senso. Ma la risposta all’ultima domanda è: no, gli accenti non ci sono soltanto in quelle parole, ci sono in tutte le parole.

      Solo che nella lingua italiana si segnano specificamente soltanto gli accenti presenti sull’ultima lettera della parola. Gli altri non si scrivono, si danno per scontati. La ragione di tutto questo è storica, ma in questo Manuale pratico non ha importanza addentrarsi in questo argomento. Proseguiamo.

      Facciamo qualche esempio. Immaginiamo di scrivere per esteso gli accenti anche all’interno delle parole. Questa frase la scriveremmo così

      immaginiàmo di scrìvere pér estéso gli accènti ànche

      all’intèrno délle paròle

      Sembra molto strano, a vedersi, ma in realtà noi quegli accenti li mettiamo già, in maniera automatica. Si chiamano accenti tonici.

      L’accento tonico è la forza, l’allungamento,

      la sottolineatura che viene data alla vocale

      di una delle sillabe che compongono la parola.

      Qualche volta, se sposto l’accento tonico da una vocale a un’altra cambia anche il significato della parola. Per esempio:

      tèste (nel senso di testimone) e testé (nel senso di subito, immediatamente);

      péro (nel senso di albero di pere) e però (nel senso di ma, tuttavia);

      tèrra (nel senso di elemento naturale) e terrà (nel senso di futuro del verbo tenere);

      àncora (nel senso di attrezzo navale) e ancóra (nel senso di nuovamente, un'altra volta);

      prìncipi (nel senso di titolo nobiliare) e princìpi (nel senso di norme morali)

      In questo elenco di parole, forse avete notato una cosa strana: gli accenti tonici non sono tutti scritti nello stesso modo: in péro c’è questa é, in tèrra c’è quest’altra è. I due accenti sono diversi, sembra che uno vada avanti e l’altro vada indietro. Si chiamano accenti fonici.

      L'accento fonico serve a determinare se una vocale deve essere pronunciata aperta o chiusa.

      Le vocali che possono essere aperte o chiuse

      sono soltanto la e e la o.

      I termini aperto e chiuso si riferiscono all’apertura della bocca necessaria per pronunciare le vocali e alla posizione della lingua nel momento in cui le pronunciamo. Meno la bocca è aperta e più è alta la lingua, più la pronuncia è chiusa.

      Facciamo un esempio su due vocali agli estremi opposti, giusto per capire. Provate a pronunciare una a: la bocca sarà aperta e la lingua sarà sicuramente in basso, verso i denti inferiori. Poi provate a pronunciare una i: la bocca sarà molto più chiusa, e sentirete la vostra lingua in alto, forse anche a sfiorare i molari superiori. Nella vocale e e nella vocale o, aperte o chiuse, ci sono differenze di questo tipo, anche se meno evidenti.

      Ricapitoliamo:

      ogni parola ha un accento tonico su una delle sue vocali, ma lo scriviamo soltanto se questa vocale è l’ultima lettera della parola; per esempio perciò, comprò, viceré.

      Ma se la vocale con l’accento tonico - che sia all’inizio, in mezzo alla parola o al fondo, non importa - è una e oppure una o, allora oltre all'accento tonico avrà anche un accento fonico. Questo accento indicherà se la vocale va pronunciata aperta o chiusa.

      Come l’accento tonico anche l’accento fonico non si indica, cioè non si scrive, a meno che non sia sull’ultima lettera della parola. Ma ci sono


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