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I Corsari delle bermude. Emilio SalgariЧитать онлайн книгу.

I Corsari delle bermude - Emilio Salgari


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morti sepolti lungo le coste della Bretagna, se tanti cannoni si sparassero a Brest, e non volete che giunga agli orecchi d’un vecchio artigliere?

      – Che cosa facevi in questo momento?

      – Preparavo, insieme con Piccolo Flocco, gli ami per catturare gli albatros. Ne vengono molti è vero, signor colonnello, alla foce del fiume?

      – Si, – rispose Moultrie, ridendo.

      – Allora spero di prenderne parecchi. I miei uomini si fabbricheranno splendide borse da tabacco ed anche meravigliosi bocchini con le ali di quei predoni degli oceani.

      – E la guerra? Non odi?

      – Huff! Quando gli inglesi saranno stanchi di sparare, lasceranno dormire i loro pezzi – rispose tranquillamente il bretone, levandosi di tasca la sua storica pipa e preparandosi a caricarla.

      – Abbiamo imbarcato quattro mortai che ci hanno mandati i nostri amici francesi – disse il Corsaro. – Dirai al signor Howard di farli collocare sulla tolda: così proveremo il loro tiro d’arcata.

      – Preferisco i cannoni da caccia.

      – Alza più che puoi anche quelli e prendiamo parte alla festa di fuoco. Va’!

      Tutti i forti di Boston infuriavano con un fragore assordante, assecondati da tutte le navi da guerra che si trovavano in porto e dalle batterie galleggianti.

      I due ridotti americani piantati sulle due alture, tenevano coraggiosamente testa al fuoco degli assediati e coprivano di palle la città, scatenando incendi fra le case di legno, che la guarnigione inglese a malapena riusciva a spegnere.

      Tutta la baia era in fiamme. Lampi partivano da tutte le parti. A fior d’acqua, sulla riva della Mistica e sulle alture di Brunker’s Hill e di Breed’s Hill.

      La corvetta non aveva tardato a prendere parte a quella festa del fuoco come l’aveva chiamata sir William.

      Il secondo di bordo, insieme con Testa di Pietra ed i più abili artiglieri aveva fatto disporre sul larghissimo cassero dietro i cannoni da caccia, i quattro mortai ricevuti dai corsari francesi ed avevano fatto aprire un magnifico fuoco contro il bastione di Workart, tempestandolo di granate del peso di quaranta chilogrammi.

      Anche i cannoni da caccia erano entrati in scena e spazzavano le basi e lo specchio d’acqua per impedire alle scialuppe inglesi di avvicinarsi.

      Lo spettacolo era spaventoso ed il rimbombo assordante.

      Nonostante il pericolo, gli abitanti di Boston si erano rovesciati in massa verso i bastioni, per godersi quel terribile bombardamento che doveva più tardi rammentare agl’inglesi quello celebre di Gibilterra.

      Le due posizioni americane tenevano valorosamente testa a quel diluvio di palle, senza per questo interrompere i lavori che dovevano metterli in grado, all’alba, di respingere energicamente l’assalto nemico.

      Le perdite erano considerevoli, ma maggiori quelle degli inglesi. i quali si lasciavano stoicamente mitragliare dai quattro pezzi da caccia del Tuonante, senza sparare un solo colpo di fucile, per non far conoscere le loro mosse agli americani. Tutta la notte le artiglierie dei forti, delle trincee, dei ridotti e delle navi rimbombarono con un crescendo orribile, poi, verso l’alba i colpi a poco a poco divennero più radi, finché cessarono completamente.

      Gl’inglesi avevano lasciato la piazza e si preparavano animosamente ad assalire le due alture, le cui artiglierie recavano tanto danno alle case ed alle fortezze.

      6. LA BATTAGLIA DI BREED’S-HILL

      Il generale Howe, comandante supremo della piazza ed i suoi sottocapi, avevano deciso di tentare una sortita per riconquistare le due alture.

      La notte del 17 giugno, dieci compagnie di granatieri condotti dallo stesso generale Howe e dal generale Pigot, col marchese d’Halifax, rinforzati da altrettante compagnie di fanti e da buon numero di artiglierie leggere, avevano raggiunto silenziosamente le rive della baia, dove molte scialuppe li aspettavano, e traghettavano a Moreton’s Point senza aver incontrata alcuna resistenza.

      Essendo quel punto assai battuto dalla flotta, gli americani, che possedevano un numero limitato di artiglierie, non avevano creduto opportuno innalzare alcun ridotto, il quale d’altronde non avrebbe potuto resistere a lungo ai fuochi incrociati.

      Giunti però colà, gli inglesi, sostarono e, formate le ordinanze su due file, mandarono a chiedere nuovi rinforzi a Boston.

      Il disegno loro era questo: mentre l’ala sinistra guidata da Pigot e dal marchese d’Halifax, tutta di fanteria pesante, composta per la maggior parte di mercenari tedeschi, assaltava Charlestown, il grosso doveva attaccare i due ridotti e l’ala sinistra, e tentare di forzare il passo della Mistica, che era difeso dalla corvetta del Corsaro e da due batterie. Credevano così di prendere alle spalle gli avversari e di mandarli con furiosi assalti alla baionetta, a catafascio.

      Gli americani, consapevoli dei disegni dei generali inglesi, avevano appoggiato la loro ala diritta contro le case di Charlestown; l’ala sinistra, lungo le trincee che avevano alzate sulle rive della Mistica; il grosso, presso l’imboccatura.

      Durante la notte non avevano cessato di lavorare e, temendo di non poter reggere ad un corpo a corpo su un terreno piano, si erano rafforzate le spalle con alte stecconate piantate su due file e riempite nel mezzo di erbe e di terra.

      I massacciuttesi occupavano Charlestown, il ridotto ed una parte della trincea; quelli del Connecticut, agli ordini del capitano Nolken, e quelli del Nero-Hampire capitanati dal colonnello Stark, tutto il resto della trincea.

      Non erano che un’accozzaglia di piantatori e di marinai, quasi nuovi al fuoco, armati di archibugi di diversi calibri e quasi tutti privi di baionetta.

      Durante la notte però avevano mandato numerosi corrieri a chiedere soccorsi in varie direzioni ed erano giunti al campo il dottor Warren, nominato di recente generale per le sue ottime qualità di condottiero audace ed avveduto, ed il generale Pertnam. Tanto l’uno come l’altro avevano condotto seco alcune bande di contadini, racimolati frettolosamente nei dintorni, abilissimi tiratori.

      Gl’inglesi furono i primi, a impegnare la battaglia, rovesciando le dieci compagnie del generale Garge contro il borgo di Charlestown. Erano così sicuri di sopraffare gli avversari, che corsero all’assalto senza quasi sparare un colpo di fucile, sebbene gli americani li avessero accolti con nutrite scariche. Non s’erano ingannati, poiché i provinciali, vedendosi correre addosso quella massa di saldi assiani e brunswickesi e non avendo nessuna baionetta da opporre all’attacco violentissimo, furono pronti a volgere le spalle, anche perché temevano di venire presi fra due fuochi. Il ridotto fu quindi occupato dai vincitori insieme al borgo.

      Saccheggiate le case e vuotate le stalle del bestiame, diedero fuoco a tutto. Le case, erano quasi tutte di legno di pino. In un momento tutta la borgata avvampa fra gli urli degli abitanti che fuggono a stento. Lo spettacolo è terrificante. Più di ottocento fattorie fiammeggiano, lanciando fumo e scintille, che il vento spinge verso la baia. È un crollare, un crepitare sinistro, uno scaturire di lingue di fuoco da tutte le parti. Anche le piantagioni di cotone bruciano.

      Gl’inglesi peraltro non avevano avuto fortuna, poiché mentre speravano di affumicare gli americani, a causa d’un brusco cambiamento del vento si trovavano a loro volta affumicati.

      Malgrado ciò, granatieri assiani e brunswickesi avevano stretto le loro linee e si erano messi in moto per scacciare i nemici anche dalle alture.

      Gli americani avevano pure stretto le loro colonne, ed essendo favoriti dal vento, appena scorsero gli alti cappelli dei loro nemici, aprirono un fuoco così ben aggiustato da costringerli a ritirarsi precipitosamente oltre le case di Charlestown.

      Molti, anzi, vedendo navi ancorate presso la riva, vi si erano gettati dentro, rifiutando di misurarsi con un nemico che aveva sì valenti bersaglieri.

      Gli ufficiali si erano prontamente gettati fra le compagnie disordinate, sforzandosi ora con promesse, ora con minacce, di raccoglierle alla meglio e di spingerle nuovamente all’assalto. Vi riuscirono infatti, coll’aiuto dei mercenari tedeschi, ed ordinatisi alla meglio, tornarono all’attacco del


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