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I minatori dell' Alaska. Emilio SalgariЧитать онлайн книгу.

I minatori dell' Alaska - Emilio Salgari


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un altro indiano morto, poi due altri cavalli, e un po’ più oltre, presso un gruppo di rododendri rossi, trovarono i due altri compagni dello scotennato. Uno era stato semidivorato dai lupi, l’altro non ancora, ma entrambi avevano lasciate le loro capigliature nelle mani degli indiani e avevano ricevuto delle ferite mortali, prodotte dai tomahawk, le formidabili scuri dei guerrieri rossi dell’America settentrionale. I due cow-boys, ormai certi della triste sorte toccata ai compagni dello scotennato, stavano per ritornare nella prateria, quando udirono echeggiare un grido che pareva come il lamento di un bambino.

      – Che cos’è questo?… – chiese Back, stupito.

      – Pare il grido dell’uccello beffatore, – disse il canadese – potrebbe anche essere un segnale.

      – Di chi?…

      – Aspetta un po’, amico, e intanto non abbandonare il fucile.

      Il canadese si rizzò sulle staffe e guardò attentamente fra gli alberi.

      Dopo una lunga osservazione, riuscì a scorgere un uccello dalle penne grige con le zampe lunghe e nere.

      – C’è fra i rami di quella quercia nera un uccello beffatore, un volatile che si diverte a imitare tutti i canti degli uccelli e anche i suoni che sente, ma mi è sembrato che quel lamento venisse da terra.

      – Che cosa vuoi dire?…

      – Uhm!… Non lo so nemmeno io. Ehi!… Corna di bisonte!…

      – Che cos’hai, Bennie?…

      – Non vedi agitarsi impercettibilmente i rami di quel cespuglio di sommacchi?…

      – Sì, vedo oscillare le foglie.

      – C’è laggiù qualcuno che cerca di andarsene, senza il nostro permesso. Imbraccia il fucile e non muoverti.

      – Tengo la canna tesa verso quei cespugli.

      Il canadese era sceso di sella. Si fermò qualche istante, poi si distese al suolo, appoggiando un orecchio contro terra. Stette in ascolto qualche minuto, poi, quando s’alzò, il suo volto, di solito così calmo, dimostrava qualche inquietudine.

      – Back – mormorò. – Non abbandonare il mio cavallo e stai pronto a tutto. Qualcuno striscia laggiù.

      Il canadese, rotto a tutte le astuzie, pratico della prateria e dei boschi, non doveva essersi ingannato. Il suo udito acuto di vecchio cacciatore, aveva raccolto il rumore leggero prodotto da un corpo strisciante sul terreno. Tenendosi curvo, per essere più pronto ad evitare qualche improvvisa scarica, non ignorando che un certo numero di indiani possedevano eccellenti armi da fuoco a ripetizione, si diresse silenziosamente verso la macchia di sommacchi. Back, sempre in sella, lo seguiva attentamente con lo sguardo, tenendo il fucile puntato. Giunto presso i primi cespugli, il canadese si gettò a terra, mettendosi a strisciare lungo i margini, con infinite precauzioni, per non tradire la sua presenza, poi d’un tratto si rizzò puntando il fucile in mezzo alla macchia.

      – Arrenditi, briccone, o ti caccio una palla nel cranio!… – gridò.

      A quell’intimazione, pronunziata con tono minaccioso, un uomo era sorto improvvisamente fra le piante, dicendo, con voce perfettamente tranquilla:

      – Mio fratello, il viso pallido non conosce dunque più suo fratello Coda Screziata?…

      Colui che così aveva parlato, era un indiano di bella statura, come lo sono in generale tutti quelli appartenenti alla numerosa tribù dei Corvi, chiamata anche dei Paunch, ossia Grandi Ventri, che dalle montagne della Columbia signoreggiavano fino al Peace e al lago Athabasca e anche più a settentrione, contendendo il primato alle tribù bellicose dei Piedi Neri e degli Indiani Serpenti. Era alto, con un ampio torace, una muscolatura asciutta e poderosa, gli zigomi del volto sporgenti, tatuati di rosso, il naso un po’ convesso, la bocca grande, con labbra sottili e gli occhi neri, infossati, dal taglio piuttosto piccolo. Non aveva peli sul volto, avendo gli indiani delle due Americhe l’abitudine di strapparseli con grande cura; in compenso sfoggiava una lunga capigliatura rigida e nera, che contrastava stranamente con la tinta color rame del volto. Bennie aveva gettato sull’indiano un rapido sguardo, per vedere di quali armi disponeva, ma non gliene vide alcuna, nè in mano, nè indosso. Il Corvo aveva sostenuto quell’esame senza fare un gesto, conservando quell’aria grave, maestosa, particolare agli uomini della sua tribù.

      – Ah!… – esclamò Bennie, affettando un vero stupore. – Come mai trovo nascosto qui mio fratello Coda Screziata?… Era molto tempo che non lo vedevo, e lo credevo sul sentiero di guerra con Nube Rossa per vendicare le ingiurie dei Piedi Neri.

      – Intatti è molto tempo che non vedo mio fratello il viso pallido, – rispose l’indiano. – L’ho veduto l’ultima volta nella stagione delle foglie pendenti.

      – È vero, – disse Bennie, senza però abbassare il fucile. – Mio fratello Coda Screziata cercava forse qui le tracce dei Piedi Neri?…

      – No, l’ikkischota non ha ancora radunato la tribù.

      – Che cosa cercava dunque qui mio fratello?…

      – Aspettava i tacchini selvatici. A giorni dobbiamo celebrare la danza dei bisonti, e mio fratello sa che

      quest’anno la grossa selvaggina è mancata.

      – Credevo che seguisse invece il sentiero di guerra, – disse Bennie, con ironia.

      – E perché mio fratello viso pallido credeva ciò?…

      – Perché ho visto dei cadaveri nella prateria, e non lontano di qui.

      L’indiano guardò il cow-boy con occhi che lampeggiavano, però quel lampo si spense subito, e riprese, senza abbandonare la calma:

      – Mio fratello viso pallido ha veduto dei cadaveri?… Allora bisogna che mi affretti a tornare alla mia tribù per avvertire Nube Rossa. La Grande Madre dei bianchi vuole che si rispettino i suoi sudditi e noi vendicheremo coloro che sono stati uccisi.

      – Conoscete chi sono stati gli assalitori?…

      – Saranno stati i Piedi Neri. Bennie aveva risposto con una risata. L’indiano lo guardò con occhi foschi, poi, incrociando le braccia sull’ampio petto, disse, in tono ironico:

      – Mio fratello è allegro?… Si vede che nel suo carro ha ancora una bella provvista d’acqua di fuoco.

      – No. – rispose Bennie. – Il fratello bianco non ne ha più da gran tempo, e stamane non ha bevuto che dell’acqua. Ride perché lo credi troppo ingenuo.

      – Che vuoi dire?…

      – Che tuo fratello il viso pallido conosce gli indiani che hanno scotennato i proprietari del carro che si trova sul margine del bosco.

      – Hugh! – fece l’indiano, senza perdere la calma. – Allora mio fratello me lo dica!

      – Certo.

      – Chi sono dunque?

      – I Grandi Ventri.

      – Ah!… Cane! – urlò l’indiano, facendo atto di abbassarsi per raccogliere qualcosa che teneva nascosto fra i cespugli. Bennie che stava in guardia, s’era lanciato rapidamente in avanti e puntandogli il fucile sul petto, gli aveva gridato con tono minaccioso:

      – Fermati o t’uccido!…

      L’indiano, comprendendo che la sua vita era in pericolo, si era raddrizzato, e incrociando le braccia aveva risposto con la solita calma.

      – È la guerra che il fratello bianco desidera?… Non sa dunque che Coda Screziata è un guerriero rispettato dalla sua tribù, e che là sua morte verrebbe vendicata?…

      – Lo so, – rispose il cow-boy, – e non è la guerra con i Grandi Ventri che io desidero, nè ho alcuna intenzione di uccidere mio fratello rosso. Solo voglio che mi segua al campo e rimanga in ostaggio fino a che avrò visto Nube Rossa e avrò parlato a lui.

      – Io, prigioniero?…

      – Sì, mio caro, e ti


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