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I Pirati della Malesia. Emilio SalgariЧитать онлайн книгу.

I Pirati della Malesia - Emilio Salgari


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sempre più nelle viscere della terra finché, trovato un pozzo, ci calammo entro una caverna che non aveva uscite. Quando cercammo di risalire era troppo tardi: i thugs ci avevano rinchiusi dentro!

      – Maledizione! – esclamò Sandokan. – Di’ su, maharatto mio; la tua storia è interessantissima. Dimmi, siete fuggiti?

      – No.

      – Mille tuoni!

      – Ci assediarono strettamente, ci assetarono accendendo attorno alla caverna immensi fuochi che ci arrostivano vivi, poi lasciarono irrompere su di noi un getto d’acqua alla quale era stato mescolato non so quale narcotico. Appena ci fummo dissetati, stramazzammo al suolo come colpiti da sincope e cademmo senza resistenza nelle mani dei nostri nemici.

      Eravamo ormai rassegnati a morire, poiché nessuno di noi ignorava che la pietà è sconosciuta ai thugs, nondimeno fummo risparmiati. La morte sarebbe stata troppo dolce per noi e nella mente infernale di Suyodhana, il capo degli strangolatori, si era già formato un terribile disegno, che aveva per scopo di svellere dal cuore della giovinetta l’amore per Tremal-Naik e di sbarazzarsi del mio padrone, che avrebbe potuto diventare per loro un formidabile nemico. Dovete sapere che a quel tempo un uomo prode, risoluto, cui era stata rapita la figlia dai thugs, faceva loro una guerra accanita. Quell’uomo era un inglese e si faceva chiamare capitano Macpherson.

      Centinaia e centinaia di thugs erano caduti per sua mano, e giorno e notte egli inseguiva gli altri senza tregua, potentemente aiutato dal governo inglese. Né i lacci degli strangolatori, né i pugnali dei più fanatici settari erano giunti a colpirlo, né le più infernali trame avevano avuto successo contro di lui.

      Suyodhana, che lo temeva assai, gli lanciò contro Tremal-Naik promettendogli per compenso la mano della vergine della pagoda d’Oriente, così infatti aveva nome la fanciulla dai capelli neri amata dal mio padrone. La testa del capitano doveva essere il regalo di nozze!

      – E Tremal-Naik accettò? – chiese la Tigre, con viva ansietà.

      – Egli amava troppo la Vergine e accettò l’orribile patto di sangue impostogli dal padre delle sacre acque del Gange, lo spietato Suyodhana. Non vi narrerò tutto ciò che egli tentò, tutti i pericoli in cui incorse per poter avvicinare quel disgraziato capitano.

      Una fortuita combinazione gli procurò il mezzo di diventare uno dei suoi servi, ma un giorno venne scoperto e dovette penare assai per ricuperare la libertà e salvare la vita.

      Non rinunziò tuttavia ad effettuare l’impresa impostagli dai thugs ed un giorno riuscì ad imbarcarsi su di una nave che il capitano Macpherson guidava verso le Sunderbunds per assalire nel loro covo i seguaci della sanguinaria dea.

      L’istessa notte, scortato da alcuni complici, entrava nella cabina del capitano per decapitarlo. La sua coscienza gli gridava di non commettere un delitto, perché la vita di quell’uomo doveva essere sacra per lui, ed il suo sangue si ribellava; pure era deciso, poiché solamente uccidendo quel formidabile avversario avrebbe potuto avere la fidanzata: o almeno così credeva, non conoscendo ancora l’infernale perversità del fanatico Suyodhana.

      – E lo uccise? – chiesero Sandokan e Yanez, con ansietà.

      – No – disse Kammamuri. – In quel supremo istante il nome della donna amata sfuggì dalle labbra del mio padrone e fu udito dal capitano che stava per risvegliarsi. Quel nome fu un colpo di fulmine per entrambi: risparmiò un assassinio ed un raccapricciante delitto, poiché quel capitano era il padre della donna amata dal mio padrone.

      – Per Giove!… – esclamò Yanez. – Quale storia tremenda ci narri!…

      – La verità, signor Yanez.

      – Ma il tuo padrone non conosceva il nome della sua fidanzata?…

      – Sì, ma il padre ne aveva assunto un altro per non far comprendere ai thugs che egli lottava per riavere la figlia, perché temeva che, conoscendolo, gliela uccidessero.

      – Continua – disse Sandokan.

      – Ciò che accadde potete immaginarvelo. Il mio padrone confessò tutto: aveva finalmente compreso l’infernale astuzia di Suyodhana. Si offerse al capitano di guidarlo nelle caverne dei settari. Sbarcarono a Raimangal, il mio padrone entrò nel tempio sotterraneo fingendo di portare con sé la testa del capitano e, quando poté rivedere la fanciulla amata, gl’inglesi piombarono sui thugs. Suyodhana, però, uscì vivo dall’assalto improvviso dei nemici, e quando il mio padrone, il capitano, la fidanzata ed i soldati lasciarono i sotterranei per ritornare alla nave, lo udirono gridare con voce minacciosa:

      «Ci rivedremo nella jungla!…».

      E quell’uomo sinistro manteneva la parola. A Raimangal si erano radunate parecchie centinaia di strangolatori essendo già stati informati della spedizione del capitano Macpherson. Guidati da Suyodhana piombarono, venti volte più numerosi, sugli inglesi. L’equipaggio della nave invano accorse in aiuto del suo capitano. Tutti caddero fra le erbe giganti della jungla, schiacciati dal numero, e il capitano per primo. Perfino la nave fu presa, incendiata e fatta saltare in aria.

      Solo Tremal-Naik e la sua fidanzata erano stati risparmiati. Aveva rimorso, Suyodhana, a spegnere anche il mio padrone che tanto aveva fatto per quegl’infami, oppure sperava di fare di lui un thug? Io non lo seppi mai.

      Ma, tre giorni dopo, il mio padrone, che era stato fatto impazzire mediante la somministrazione di un liquore misterioso, veniva arrestato dalle autorità inglesi presso il forte Williams. Era stato denunciato come thug ed i testimoni non erano mancati, poiché quella setta conta numerosi seguaci anche a Calcutta.

      Fu risparmiato perché era pazzo, ma condannato alla deportazione perpetua nell’isola di Norfolk, una terra al sud d’una regione chiamata Australia, così mi dissero.

      – Quale spaventevole dramma!– esclamò la Tigre, dopo alcuni istanti di silenzio. – Così intensamente Suyodhana odiava lo sventurato Tremal— Naik?

      – Il capo dei settari voleva, facendo decapitare il capitano dal mio padrone, spegnere per sempre la passione che ardeva nel cuore della vergine della pagoda.

      – Era un mostro quel feroce capo dei thugs.

      – Ma il tuo padrone è ancora pazzo? – chiese Yanez.

      – No, i medici riuscirono a guarirlo.

      – E non si difese? Non svelò tutto?…

      – Lo tentò, ma non fu creduto.

      – Ma perché si trova a Sarawak?…

      – Perché il legno che lo trasportava a Norfolk naufragò presso Sarawak. Disgraziatamente nelle mani del rajah non ci starà molto.

      – E perché?

      – Perché la nave è già partita dall’India e fra sei o sette giorni, se i miei calcoli non m’ingannano, giungerà a Sarawak. Quella nave è diretta a Norfolk.

      – Come si chiama quella nave?

      – L’Helgoland.

      – L’hai vista tu?

      – Prima di lasciare l’India.

      – E dove ti recavi colla Young-India?

      – A Sarawak a salvare il mio padrone – disse Kammamuri con fermezza.

      – Solo?

      – Solo.

      – Sei un giovanotto audace, maharatto mio – disse la Tigre della Malesia. – E della vergine della pagoda d’Oriente cosa fece il terribile Suyodhana?

      – La tenne prigioniera nei sotterranei di Raimangal, ma la disgraziata, dopo il sanguinoso assalto dei thugs nella jungla, era impazzita.

      – Ma come fuggì dalle mani dei thugs? – chiese Yanez.

      – È fuggita? – domandò Sandokan

      – Sì, fratellino.

      – E dove si trova?

      – Lo saprai più tardi. Narrami, Kammamuri, in che modo fuggì – disse Yanez.

      – Ve


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