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Il figlio del Corsaro Rosso. Emilio SalgariЧитать онлайн книгу.

Il figlio del Corsaro Rosso - Emilio Salgari


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corto, conte.

      – Che cosa desiderate?

      – Darvi un buon colpo di spada – rispose il capitano, con voce rauca.

      – Quando un rivale mi attraversa la via o mi dà ombra, io lo mando a riposare nel cimitero di San Domingo.

      – Siete terribile!

      – Lo proverete fra poco, se non scapperete.

      – Che cosa dite, capitano? Io fuggire dinanzi alla vostra spada? Sono un gentiluomo ed un uomo di guerra, mio caro spaccamonti!

      – Rajo de Sol! Mi avete insultato! – urlò il conte di Sant’Iago.

      – Pare anche a me.

      – Vi ucciderò al primo attacco!

      – O al ventesimo?

      – Vi burlate di me?

      – Cosí pare – rispose il figlio del Corsaro Rosso, snudando la spada e mettendosi rapidamente in guardia.

      – Lampi e folgori!

      – Folgori e cannonate!

      – È troppo, conte de Miranda.

      – E la luna è splendida! Ci batteremo magnificamente senza aver bisogno né di torce, né di fanali. Signor capitano degli alabardieri di Granata, vi aspetto.

      Il conte di Sant’Iago aveva a sua volta snudato la lunga spada; ma tutto ad un tratto ruppe la guardia, dicendo:

      – Vi siete fatto annunciare col titolo di conte de Miranda: lo siete davvero?

      – Sono un gentiluomo e vi basti questo.

      – Spagnuolo?

      – Che io sia o non sia spagnuolo, non vi deve interessare. D’altronde se vorrete sapere il mio nome, lo troverete inciso sulla lama della mia spada… Ed ora basta, capitano: ho fretta.

      Entrambi si rimisero in guardia, mentre Mendoza e Martin si erano un po’ scostati, per lasciare ai due rivali la maggiore libertà possibile. Il conte di Ventimiglia volgeva le spalle alla luna che si mostrava maestosa al di sopra delle alte palme del giardino: il capitano invece era interamente illuminato.

      Si guardarono l’un l’altro, fissandosi intensamente con ira: poi il capitano, che pareva il piú impaziente, malgrado l’età, fece tre o quattro finte per vedere se l’avversario si smascherava o se tradiva il suo giuoco.

      Il giovane capitano della Nuova Castiglia non si mosse. Stava saldo come una rupe, con la spada in linea, lo sguardo attento.

      – Carrai! – esclamò l’alabardiere. – Vi giudico già di una buona lama, ma vedremo in seguito se parerete queste botte che sembrano finte.

      Il signor di Ventimiglia non rispose. Non doveva essere certamente alle sue prime armi, a giudicare dalla sua calma.

      – Sfonderò quel muro d’acciaio e di carne – disse il capitano, il quale perdeva la sua calma. – Ecco una buona stoccata! Paratela!

      Era partito a fondo con velocità fulminea, ma il conte con una parata di seconda, altrettanto rapida, aveva scartato la lama del capitano.

      – Carrai! Che braccio solido, signor de Miranda. Non mi aspettavo una simile resistenza. Il giuoco però è appena cominciato e la luna non tramonterà prima dell’alba.

      Anche questa volta il figlio del Corsaro Rosso non rispose.

      Guardava intensamente la punta della spada del capitano che l’astro notturno faceva scintillare sinistramente.

      – Non siete cortese, conte – disse il signor di Sant’Iago, rimettendosi in guardia. – Sapete che oggi usa battersi, scambiandosi frasi gentili?

      Un colpo di spada, che per poco non lo sorprese, fu la risposta del signor di Ventimiglia, colpo appena parato di terza, con solo un secondo di vantaggio.

      – Diavolo! – brontolò il capitano. – Qui non ci vogliono chiacchiere!

      Fece un passo indietro, tastando prima il terreno col piede sinistro per non scivolare, poi prese una guardia di seconda, dicendo:

      – Vi aspetto, conte!

      Il figlio del Corsaro Rosso, messo un po’ in sospetto da quella mossa, si guardò bene dall’attaccare e rimase fermo, con la spada in linea, sempre minacciando il petto del capitano con un colpo d’arresto.

      – Non assalite dunque, signor conte de Miranda?

      – Non ho mai fretta, capitano.

      – V’aspetto da un mezzo minuto.

      – Potete aspettarmi anche mezzo secolo, se cosí vi piace.

      – Ah, per le corna del diavolo!

      Per la terza volta il conte di Ventimiglia stette zitto. Ratto come un lampo si era allungato tutto, facendo due salti innanzi ed era piombato sull’avversario, portandogli un colpo in mezzo al petto. Fu un grande miracolo se anche quella stoccata venne parata dallo schermitore spagnuolo; nondimeno la casacca di seta rimase tagliata per un bel tratto.

      – Caramba! Vi slanciate, signor conte, e cercate anche di sorprendermi, mentre io vi dico delle galanterie. Due centimetri piú innanzi, e mi toccavate. Un’altra volta ricordatevi che bisogna allungarsi…

      Un grido gli spezzò la frase. La spada del signor di Ventimiglia era nuovamente scattata e la lama era entrata piú di mezza nel petto del capitano. Egli rimase un momento in piedi, trattenendo la lama del conte con la mano sinistra; poi si rovesciò pesantemente a terra, spezzandola. Cinque pollici di acciaio della spada spezzata rimasero conficcati nel suo stomaco, all’altezza della quarta costola di sinistra.

      – Morto? – chiesero ad una voce Mendoza e Martin facendosi innanzi.

      Il conte gettò a terra il troncone della spada e si curvò sul capitano che si contorceva fra gli spasimi d’un’atroce agonia.

      – Forse non siete ferito gravemente, signor di Sant’Iago – gli disse. – Possiamo ancora salvarvi.

      – Credo d’aver avuto il mio conto – rispose il capitano. – Per bacco! Avete la mano piú lesta della mia! Morirò presto e ciò mi rincresce per una sola cosa.

      – Quale?

      – Per non aver avuto il tempo di mandarvi a bordo le mille e cento piastre che mi avete vinto.

      – Non ve ne date pensiero; ditemi invece che cosa possiamo fare per voi.

      – Chiamate i servi della marchesa di Montelimar. Almeno morrò sotto il tetto della donna… che amo e per la quale muoio.

      – Lasciate che cerchi di togliervi prima il pezzo di lama che vi è rimasta nel petto.

      – Mi uccidereste piú presto. No… no… i servi… mandate… correte.

      – Mendoza! Martin! chiamate gente al palazzo!

      I due marinai partirono di corsa; mentre il signor di Ventimiglia, piú commosso di quel che volesse sembrare, teneva alzata la testa del capitano, affinché il sangue non lo soffocasse. Era appena trascorso un minuto, quando si videro dei lumi e degli uomini avanzare attraverso i viali.

      – Signor conte, – disse il figlio del Corsaro Rosso – sono obbligato a lasciarvi. Non voglio che si sappia che sono stato io a ferirvi.

      – Vi ringrazio – rispose il capitano con voce fioca. – Se guarirò, spero che mi accorderete la rivincita.

      – Quando vorrete.

      Si alzò e si allontanò rapidamente, avviandosi verso la cancellata.

      Mendoza e Martin, dopo aver avvertiti i servi della marchesa, si erano a loro volta allontanati, scavalcando i ripari. Quando i valletti giunsero sul prato, il capitano era svenuto, ma teneva le mani serrate strettamente sul pezzo di lama.

      – Il capitano degli alabardieri di Granata! – esclamò il maggiordomo della marchesa, il quale guidava i servi. – È un amico della padrona!


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