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La riconquista di Monpracem. Emilio SalgariЧитать онлайн книгу.

La riconquista di Monpracem - Emilio Salgari


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abbiamo annoiato abbastanza queste signore e queste signorine. —

      Si era voltato e fatto un cenno.

      Subito quattro malesi, robusti come piccoli tori, lo raggiunsero in mezzo alla sala.

      – Voi, poi – gridò Yanez volgendosi verso la scorta sempre immobile – al primo tentativo di rivolta fate fuoco. —

      Prese un candeliere che si trovava sul pianoforte e spinse avanti l’inglese, il quale ormai non si sentiva più in caso di tentare la menoma resistenza.

      – Andiamo! – gli disse.

      Attraversarono il salone, aprendosi il passo fra i passeggeri terrorizzati ed impotenti, e sempre seguiti dai quattro malesi raggiunsero il quadro di poppa, dove si trovavano le cabine di prima classe.

      Yanez si era messo a leggere i cartellini attaccati alle porte che portavano il nome, cognome e condizione dei viaggiatori.

      – Sir William Hardel, ambasciatore inglese – lesse. – È dunque questa la vostra cabina?

      – Sì, signor brigante! – rispose l’inglese, furibondo.

      – Fareste meglio a chiamarmi Altezza: ve l’ho già detto. Aprite, signor mio. —

      Sir William non osò rifiutarsi. Si sentiva addosso i quattro malesi, i quali pareva avessero una voglia pazza di metterlo a pezzi coi loro terribili parangs.

      La porta fu aperta ed i sei uomini entrarono in una bellissima e spaziosa cabina ammobiliata con molto lusso e soprattutto con buon gusto.

      Yanez che osservava tutto, balzò verso il canterano dove si trovava una pistola; la prese e la passò ai suoi uomini, dicendo al disgraziato ambasciatore:

      – Certe volte succedono delle cose che non si possono prevedere, e sono quasi certo che se voi aveste potuto afferrare prima di me quell’arma, me l’avreste scaricata nel petto.

      – Le occasioni non mancheranno – rispose sir William.

      Mentre i malesi lo attorniavano per impedirgli di fare il menomo atto di ribellione, aprì la sua grossa e splendida valigia di pelle gialla cogli angoli d’acciaio.

      – Sono qui le credenziali? – chiese Yanez.

      – Sì, bandito.

      – Fatemele vedere.

      – Sono in quel pacco di carta rossa sigillata.

      – Benissimo. —

      Il portoghese spezzò i bolli, tolse l’involucro e trasse diversi documenti che scorse rapidamente.

      – Sono in perfetta regola, Sir William Hardel. —

      Li rimise nel bagaglio, poi volgendosi verso due dei suoi uomini aggiunse:

      – Portate tutto ciò a bordo del mio yacht.

      – Assassino! – gridò l’inglese. – Mi private perfino delle mie vesti e del mio denaro!

      – No, Sir William, lo metto solamente al sicuro.

      – Ed ora che cosa volete fare di me?

      – Seguirete questi due altri uomini, i quali hanno precedentemente ricevuto tutti gli ordini necessari.

      Badate di non tentare la fuga, perché allora avreste da far i conti coi parangs e so io come tagliano.

      – Il mio governo non lascerà impunita una simile infamia.

      – Certo, Sir Hardel, – rispose Yanez un po’ beffardamente. – Non so per altro chi lo avvertirà.

      – I passeggeri della nave o il capitano. Appena saranno giunti a Varani telegraferanno al governatore di Labuan.

      – Non sono ancora giunti nella capitale del sultanato. Andiamo, signor ambasciatore, ché io non voglio farmi sorprendere all’alba da qualche cannoniera, quantunque abbia una flottiglia poderosa.

      I due malesi ad un cenno del portoghese avevano afferrato strettamente per le braccia il povero Sir, e gli altri portavano la valigia che pareva pesantissima.

      Quando tornarono nel gran salone ancora tutti vivi, i passeggeri mandarono un gran sospiro di soddisfazione ed assistettero, al pari dei marinai perfettamente immobili, all’uscita dell’ambasciatore.

      Il capitano del piroscafo si avvicinò a Yanez, chiedendogli con voce rabbiosa:

      – Che cosa volete ancora da noi?

      – Finire il waltzer con quella graziosa signora – rispose il portoghese tranquillamente.

      – Ancora? E quando ve ne andrete fuori dai piedi?

      – Ah, c’è tempo, capitano. —

      S’avvicinò al pianoforte, dove stava sempre seduta la bionda miss e le disse:

      – Signorina, per circostanze indipendenti dalla mia volontà ho dovuto interrompere il ballo.

      Vorreste riprenderlo? Ah, i waltzer di Strauss sono veramente meravigliosi!

      – Quest’uomo è pazzo! – pensò certo il capitano.

      Yanez si era voltato bruscamente, col viso scuro, verso il comandante.

      – Signor mio, – gli disse – vorreste dirmi come vi chiamate?

      – Tanto v’interessa?

      – Non si sa mai.

      – John Foster: io non ho paura a dirvelo.

      – Grazie. —

      Trasse di tasca un piccolo libriccino legato in pelle ed oro e scrisse quel nome, poi mosse, sempre pacato, sempre magnifico nella sua grande calma, verso la signora colla quale aveva incominciato il waltzer e che pareva lo aspettasse.

      – Volete finirlo… signora?…

      – Lucy Wan Harter.

      – Ah! Un’olandese?

      – Si, Altezza.

      – Mi ricorderò di voi.

      Il waltzer era incominciato ed i passeggeri, vedendo il terribile uomo slanciarsi fra i vortici della danza e sorridere alla sua dama, dapprima timidamente, poi più animatamente avevano seguito l’esempio ma guardando bene di tenersi lontani dalla coppia che danzava al centro del salone.

      Solamente il tenore non si era più fatto udire. Lo spavento doveva aver paralizzati i suoi mezzi vocali.

      Il waltzer era terminato e Yanez aveva condotto verso un divano la bella olandese, la quale non cessava di fissarlo intensamente, con quell’olimpica calma che è una specialità dei popoli bagnati dal freddo e tempestoso mare del Nord.

      Una profonda ansietà si era impadronita di tutti. Pareva che si chiedessero che cosa voleva ora fare il terribile uomo.

      Yanez si asciugò il sudore che gli bagnava la fronte, poi disse, volgendosi verso i passeggeri:

      – Signore e signori: vi accordo dieci minuti per far portare i vostri bagagli in coperta. —

      Il capitano, che digrignava i denti presso il pianoforte, si slanciò innanzi colle pugna chiuse chiedendo:

      – Che cosa volete fare ora, furfante?

      – Mia Altezza desidera vedere una nave saltare in aria – rispose francamente il portoghese.

      – La mia?

      – È della Compagnia; quindi non è affatto vostra.

      – Mi è stata affidata.

      – Difendetela, se vi credete abbastanza forte. Io sono un uomo che non rifiuta mai un combattimento.

      – Miserabile pirata! Mi avete preso per il collo e cercate ora di strozzarmi.

      – La nave, non voi.

      – Avete trenta prahos, fatene saltare uno se volete divertirvi, o anche mezza dozzina.

      – Oh! Siete spiccio, voi.

      – È


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