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Le stragi delle Filipine. Emilio SalgariЧитать онлайн книгу.

Le stragi delle Filipine - Emilio Salgari


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ci sarò.

      – Ho la tua parola.

      – L’hai, Teresita.

      La giovane spagnuola si asciugò rapidamente le lagrime con un fazzoletto adorno di pizzi, s’avvolse il capo nella manta, che aveva lasciato cadere sulle spalle e balzò leggera come un uccello, nella portantina.

      I quattro tagali, che erano ritornati, l’alzarono e si misero rapidamente in marcia, scomparendo dietro gli alberi del giardino.

      Il meticcio non si era mosso. Col capo chino, gli sguardi ardenti fissi sulle piante che celavano la portantina, la fronte burrascosamente aggrottata e le braccia strettamente incrociate sul robusto petto che gli si sollevava impetuosamente, pareva che col pensiero seguisse la bruna fanciulla.

      Sembrava che avesse dimenticato tutto: il pericolo tremendo che correva di venire scoperto, arrestato e forse ucciso; il compagno dagli occhi obliqui che lo aveva seguito e perfino il luogo dove si trovava.

      Quale destino mi sarà serbato? – mormorò finalmente, con un lungo sospiro. – Un uomo di colore!… Come se anch’io non avessi, nelle mie vene, il sangue di questi superbi dominatori?… E disprezzano me, la mia razza, i miei fratelli, mentre l’insurrezione rugge sulle loro teste!…

      Si guardò d’intorno come se cercasse il compagno e lo vide frammischiato alla folla che si era raggruppata attorno ai cadaveri dei juramentados, ma s’accorse pure che quegli occhi obliqui lo fissavano attentamente. Nel sorprendere quello sguardo, che pareva acuto come la lama d’un pugnale, Romero trasalí.

      – Mi spiava, – mormorò.

      S’avvicinò alla folla e battendo sulle spalle del compagno, il quale si era affrettato a rivolgere la sua attenzione sui cadaveri dei moros, gli disse:

      – Vieni, Hang-Tu.

      L’uomo dalla pelle gialla lo seguí, dicendo:

      – Sono proprio morti, Romero.

      – Lo credo, – rispose il meticcio, sforzandosi di sorridere.

      – è una vera disgrazia che siano stati uccisi cosí presto. Avrebbero potuto abbatterne qualche centinaio di questi bianchi.

      – Ma anche degli uomini di colore, Hang-Tu. Quelle belve non rispettano nessuno quando sono scatenate.

      – È per questo che hai fatto fuoco su di loro, è vero Romero? – chiese Hang-Tu, con sottile ironia.

      – No, è stato per salvare una fanciulla.

      – Una bianca, – disse Hang, con disprezzo.

      – Una fanciulla, ti dico. Forse che noi facciamo la guerra alle donne?…

      – No, ma quella meritava ben la morte.

      – Lei!…

      – Almeno suo padre avrebbe pianto.

      – Ah!… Tu l’hai riconosciuta?…

      – Sí, Romero, ed è per questo che non ho fatto fuoco sui moros. Spenta lei, la patria, o meglio l’insurrezione, avrebbe avuto la tua forte anima ed il tuo robusto braccio.

      Capitolo II. IL «GIGLIO D’ACQUA» ED IL «LOTUS BIANCO»

      Il meticcio si era arrestato all’estremità del ponte che unisce la Ciudad a Binondo, guardando fisso il compagno, il cui viso, da giallo che era, aveva assunto una leggera tinta verdognola, mentre nei suoi occhi lampeggiava una cupa fiamma. Pareva che volesse scoprire i pensieri che turbinavano nel cranio di quel discendente del Celeste Impero. Forse nelle parole di quell’uomo aveva indovinato, fra l’ardente amore per la libertà, una tenebrosa minaccia per la fanciulla.

      – Orsú, Hang-Tu, – disse finalmente, – che t’importa se quella donna sta fra me e l’insurrezione?… Forse che abbandonando Macao, la terra dell’esilio che ci ha ospitato per tre mesi, salvandoci dalla morte decretataci da questi dominatori, non ho giurato di consacrare l’anima e le braccia alla libertà delle isole?…

      – Ma quella donna ti sarà fatale.

      – Lei, povera fanciulla?

      – L’amor suo, Romero.

      – Taci, Hang-Tu, – disse il meticcio, con triste accento.

      – Spezza tutto, infrangi ogni vincolo con questa razza che da secoli ci opprime e che disprezza te, me, ed i nostri fratelli.

      – Taci, Hang.

      – Tu l’ami, – continuò l’implacabile cinese, – tu che sei uomo di colore!… Credi tu che suo padre acconsentirà a dartela in isposa?… Lui, il maggiore che guerreggia con furore contro i nostri fratelli; lui che ti ha fatto arrestare e che ti avrebbe fatto fucilare se io, con una pronta fuga, non ti avessi salvato conducendoti al Macao; lui che t’ha incendiato le immense piantagioni ereditate dai tuoi padri, che ti ha gettato sul viso tutto il suo disprezzo, che ti ha deriso quando hai avuto l’ardire di chiedere la mano di sua figlia e che ti ha respinto come un cane, peggio ancora, come un lebbroso?… E tu vuoi bene a sua figlia!…

      – Mi vuol bene anch’essa, Hang.

      – Sí, l’affetto d’una donna bianca, l’affetto di una nemica!… Non si può voler bene ad un uomo, quando questi volge le armi contro i fratelli, piú ancora, contro il proprio padre.

      – Sono le sorti della guerra e le comprenderà.

      – No, Romero. La razza bianca odia troppo la nostra terra perché Teresita possa perdonare a te, d’aver impugnato le armi contro la sua patria. Quella fanciulla conta sul tuo amore per strappare all’insurrezione un uomo valoroso come te, un nemico che può diventare il braccio destro dei nostri capi e forse il supremo dittatore delle operazioni guerresche dei guerrilleros.

      – Io?…

      – Tu, Romero. A noi manca un duce capace di intraprendere dei colpi audaci contro le città tenute dagli spagnuoli e che renda forti le nostre. Tu sei ingegnere, tu t’intendi di cose di guerra, puoi dirigere un assedio, puoi insegnare a noi come si trincera una posizione. Vedi bene quanto tu sei necessario a noi e quanto conta su di te l’insurrezione.

      – E non ti basta che io abbia giurato di combattere per la libertà, Hang?

      – Ma quella fanciulla?…

      – Che importa agli insorti che io abbia affetto per una donna bianca o di colore?…

      – Ed il cuore?… Sarà libero come il tuo braccio?… Avresti tu il coraggio di lottare contro il padre della donna alla quale vuoi tanto bene?…

      – Si dubita della mia fedeltà, adunque? – chiese il meticcio con voce sorda.

      – No, ma…

      – Forse che non sono stato io ad organizzare il colpo di mano che doveva darci Manilla?… Forse che non sono stato io ad armare i trecento uomini che lavorarono nelle mie piantagioni ed il primo che ha innalzato il vessillo della rivolta?… Si dimentica di già che gli spagnuoli mi hanno condannato alla fucilazione, che le mie ricchezze sono state confiscate, le mie piantagioni distrutte, la mia stessa casa data alle fiamme?… Non sono che sei ore che sono tornato dall’esilio, affrontando il pericolo di venire scoperto, non per dire a Teresita che io le voglio sempre bene, ma per combattere a fianco dei miei fratelli di colore e morire in mezzo a loro.

      – Lo so, Romero, e nessuno lo ignora; ma temiamo di quella fanciulla e del fortissimo affetto che hai per lei.

      – È vero, – mormorò il meticcio, passandosi la destra sulla fronte ardente.

      Hang-Tu era diventato bruscamente muto. Aveva passato un braccio sotto il sinistro del meticcio e scendevano uniti verso il molo di Binondo che era affollato di persone.

      Schiere di chinesi dalle teste semi-pelate, ma adorne di lunghe code, dalle facce quasi squadre, ma cogli zigomi assai sporgenti, dalle tinte piú o meno giallastre e coperti da grandi cappelli di fibre di rotang in forma di giganteschi funghi, passavano e ripassavano, chiacchierando con vivacità e ridendo rumorosamente.

      Vi


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