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Una Bolla Fuori Dal Tempo. Andrea Calo'Читать онлайн книгу.

Una Bolla Fuori Dal Tempo - Andrea Calo'


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il controllo di una situazione che sembrava ormai essergli sfuggita completamente di mano. Senza rendermene conto, in pochissimo tempo caddi in un sonno profondo.

      CAPITOLO 4

      Bastardo! Sei un lurido bastardo, si! Io ti ho donato il mio amore e te lo sei preso insieme al mio corpo. Tu ti sei preso tutto di me, anche la mia anima. E ora non hai la forza di accettarmi per quello che sono e che ti ho dato, ti nascondi dietro le scuse più ignobili e lo chiami “frutto del peccato”! Ti ho detto di scegliere, ma devi farlo adesso, non sono più disposta ad accettare più nulla e nessuno! Devi scegliere tra noi due, e che sia la tua scelta per sempre. Mi stai costringendo a odiarti, sei un vigliacco. Non meriti il mio amore e se non prendi una decisione, non lo avrai più! Vattene via, via! Libera i miei occhi e la mia vita dalla tua scomoda presenza, vattene via per sempre. Non ti voglio più vedere, mai più! Ho creduto in te e tu mi hai annientato, mi sono umiliata davanti alla mia famiglia, alla mia gente, per te. E tu in cambio hai calpestato quel poco di onore che ancora mi era rimasto e hai spazzato via le briciole di orgoglio di donna che ancora difendevo a denti stretti, dopo aver scelto di stare con te. Vai da lei allora! Vattene… Vai via subito! Sei morto per me, ora e per sempre! Lurido bastardo!

      Nella notte spalancai gli occhi, ero madida di sudore. Sentivo il caldo avvolgermi completamente, in tutto il corpo. Guardai la sveglia, erano passate le tre di notte solo da pochi minuti. La televisione era rimasta accesa, stava trasmettendo un concerto rock degli anni ottanta. Nella stanza dominavano i bagliori di luce intermittente delle lampade psichedeliche, inquadrate dalle telecamere e rivolte al palco sul quale quei cantanti impazziti si stavano esibendo. La musica era interrotta ogni tanto da qualche sordo clacson delle auto che ancora passavano sulla strada, sotto l’hotel. Mi alzai e mi affacciai alla finestra per guardare fuori, oltre le tende. Non mi aspettavo un simile caos a quell’ora della notte, lo trovai molto strano, atipico per un giorno di mezza settimana in una via piuttosto periferica rispetto al centro città.

      «Che assurda frenesia!», sussurrai a me stessa mentre chiudevo a fatica le tende oscuranti della finestra, che opponevano una certa resistenza allo scorrimento dei ganci sul binario. Ritornai nel mio letto per cercare di recuperare il sonno interrotto. Mi giravo continuamente su me stessa, come si gira la salsiccia di un hot dog sulla piastra incandescente per evitare che si bruci, da una parte all’altra, ma proprio non riuscivo a riaddormentarmi. Ero agitata, ma che cosa fosse a tenermi in quello stato proprio non riuscivo a capirlo.

      «Cerca di dormire Kate, dannazione! Domani sarà una lunga e dura giornata!», mi rimproveravo ad alta voce, convinta che le parole avessero maggiore forza rispetto ai pensieri. E più lo facevo, più sentivo l’eccitazione per qualche cosa d’impalpabile crescere e farsi prepotentemente spazio nel mio corpo e nella mia mente, prendendosi gioco di me. Che cosa stava facendo John in quel momento? “Dormire” sarebbe stata la risposta più ovvia, ma anche la meno interessante. Forse stava pensando a me? O forse aveva una donna con lui nel suo letto in quel momento? Non mi aveva parlato di una sua famiglia, sapevo solo che si era separato. Oppure era un donnaiolo, un uomo alla ricerca di una donna nuova per ogni notte. Io forse figuravo come una sua possibile preda per quella sera, ma gli era andata male! Accennai un timido sorriso compiaciuto, ma subito capii che avevo torto.

      «Domani vedremo come andranno le cose, ora dormi», mi rassicurai invitandomi a rilassarmi. Pian piano la morsa di calore soffocante aveva liberato il mio corpo, permettendo alla mia pelle di rinfrescarsi e al sudore di asciugarsi, fino a scomparire completamente. Mi sentivo più tranquilla, più rilassata. Pensare a quell’uomo, nel bene o nel male che fosse, mi portava serenità. E con questo pensiero ancorato nella mia mente e la sua immagine vividamente accesa davanti ai miei occhi, il mio corpo permise al sonno di venire a riprendermi, per poi rilasciarmi quando la luce naturale del giorno cominciò a filtrare attraverso le tende, rimaste solo semichiuse nella notte. Un raggio di sole, simile a una spada fatta di sola luce, ricopriva il pavimento della stanza, attraversandola completamente da un lato all’altro. Erano passate le sette del mattino da un bel po’ e dovevo ancora sistemarmi prima di scendere nella hall per la colazione, dove avrei rivisto John. Entrai in bagno e mi guardai allo specchio, ora libero dalle tracce di vapore formatesi la sera prima. I miei occhi erano gonfi, non avrei offerto una bella immagine della mia persona in quelle condizioni, me ne resi subito conto. Cercai di coprire quella deformità con il trucco ma il risultato alla fine fu solo parziale, davvero scarso. Non potevo farci nulla, come già accadutomi altre volte, il gonfiore sarebbe andato via da solo durante la giornata. Avevo una certa esperienza a riguardo. Ma perché proprio quel giorno, accidenti? John avrebbe riso di me, si sarebbe meravigliato dei miracoli che le luci ombrose della sera possono compiere sull’immagine di una donna imperfetta. Eppure la sera prima i miei occhi mi vedevano così bella! Trovai la soluzione, avrei proposto una generosa scollatura. Avrei usato le mie armi migliori per distogliere il suo sguardo dai miei occhi, per valorizzare qualcosa che fosse più attraente e immediato per lui! In fin dei conti era un uomo, doveva apprezzare le fattezze di una donna. Strinsi quindi i miei seni tra le mani per unirli. Davvero niente male Kate! Infilai una maglia di cotone elasticizzato, senza reggiseno, molto aderente e con una scollatura davvero generosa. Era l’unica che avevo, era di colore rosa. Mi precipitai in bagno per osservarmi e apportare gli eventuali opportuni ritocchi. “Sei perfetta Kate, sei davvero una bomba!” pensai, fiera di me e di possedere un corpo come quello. Io stessa non guardai più i miei occhi, passati ormai in secondo piano. Finii di vestirmi in fretta e dopo un ultimo attento esame davanti allo specchio mi sentivo pronta. Presa la chiave della stanza, mi catapultai in corridoio, diretta verso gli ascensori. La serratura di sicurezza sulla porta della stanza s’inserì automaticamente subito dopo la chiusura della porta alle mie spalle. L’ascensore impiegò qualche secondo prima di giungere al mio piano e quando si aprirono le porte, vi trovai dentro un uomo piuttosto brutto, maleodorante ed esageratamente grasso, quasi obeso. Esibiva un buffo riporto di capelli sulla testa quasi calva che, evidentemente, voleva ricoprire ad ogni costo. Se fossi stata al posto suo, avrei pensato a una parrucca. Aveva mantenuto lo sguardo maniaco ben fisso sul mio seno per tutto il tempo necessario a giungere nella hall. Funzionava, pensai, e dimenticai subito il senso di fastidio che quello sguardo insistente mi avrebbe provocato in una situazione diversa. Anzi, gli fui quasi grata di avermi fornito la prova che cercavo in merito all’efficacia di quel piccolo espediente che avevo architettato per apparire attraente agli occhi di John.

      John era seduto nella hall, mi aspettava mentre sfogliava una delle riviste messe a disposizione di clienti e visitatori. Era elegante, come il giorno prima. Indossava una camicia azzurra con cravatta stretta, a strisce oro e nero. Sopra la camicia portava la giacca del giorno prima. I pantaloni formavano un completo con la giacca, mostravano una leggera gessatura che non avevo notato la sera precedente. Mi avvicinai a passo veloce mentre lui mi notava, seguendo con lo sguardo la mia camminata.

      «Buongiorno John. Mi scuso per il ritardo, è tanto che aspetta?», chiesi imbarazzata. Mi era tornata improvvisamente paura che potesse notare il gonfiore sotto i miei occhi.

      «Buongiorno Katherine. Attendo solo da pochi minuti. Ha trascorso una buona nottata? Qualche problema?».

      «Tutto molto bene, grazie. Mi sono addormentata quasi subito ieri sera. Ero talmente stanca che non mi sono neppure ricordata di spegnere il televisore, si figuri. Ho dormito come una bambina per tutta la notte e stamattina mi sentivo completamente riposata», mentii, senza pudore.

      «Molto bene. Strano però, i suoi occhi vorrebbero suggerirmi l’esatto contrario. Pensavo che avesse pianto. Mi fa piacere sapere che mi sbagliavo e che invece ha riposato bene».

      “Dannazione!”, pensai. Il mio seno non aveva sortito alcun effetto su quell’uomo, possibile? Aveva subito notato gli occhi, gonfi come palle da tennis. Dovevo dire qualche cosa per tranquillizzarlo.

      «I miei occhi? Oh John, non ci faccia caso. Sono sempre così il mattino appena alzata. Poi si sistemano da soli. Perché mai avrei dovuto piangere? Non ne ho motivo, non crede?», fu l’unica cosa che riuscii a inventarmi sul momento.

      «Io questo non potevo saperlo. Sono davvero tanto felice che lei stia bene». Mi accorsi che stavo peggiorando le cose, sarebbe stato meglio spostare i nostri discorsi su altri argomenti.

      «Andiamo a fare colazione? Io avrei un po’ di fame, e lei?»

      «Si,


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