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Il Cielo Di Nadira. Mongiovì GiovanniЧитать онлайн книгу.

Il Cielo Di Nadira - Mongiovì Giovanni


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ti lascio qui.»

      «Va’ a nasconderti!» rispose Corrado, ansimando.

      «Vado a chiamare Michele; lui ti porterà a casa!»

      Apollonia scappò di corsa, correndo veloce tanto quanto i suoi calzari le permettevano e perdendosi tra le stradine del Rabaḍ.

      Corrado, rimasto solo e seduto con le spalle al palo, guardò alla sua sinistra, verso la casa di Umar. Una moltitudine di uomini in quel momento attraversava il cortile, e il rumore della ferraglia, proveniente poco prima dagli isolati del villaggio, sembrava scomparire. Corrado pensò a cosa stesse rischiando sua sorella standosene per strada durante quell’assalto... dunque inorridì al pensiero che non tornasse.

      Umar, che in quegli istanti se ne stava presso la stalla, confuso, impotente e soprattutto disarmato, ritornò sul cortile avendo capito la natura della minaccia. Tuttavia un colpo improvviso alla testa lo tramortì facendolo crollare al suolo. Adesso le urla delle donne della casa, forse della servitù, forse delle padrone, si levarono alte, e in poco tempo pure dall’abitazione di Umar cominciò ad innalzarsi del fumo nero. Corrado si guardò attorno terrorizzato, quindi si accorse che per le strade non vi era un solo uomo del Rabaḍ.

      Quando gli assalitori vennero fuori dalla casa, due di loro tiravano per le braccia Nadira. Corrado, sentendo le urla, comprese la sua identità ancor prima di vederla.

      Quindi, nel buio illuminato dai falò, gli ignoti nemici si avvicinarono proprio al prigioniero, il quale, appoggiata la nuca al palo, ansimava, avendo la febbre alta e molta paura. Corrado allora immaginò che adesso l’avrebbero ucciso, così come avevano fatto con Umar e con tanti altri del villaggio.

      «Ehi tu, infedele, mettiti in piedi!» comandò uno di quegli uomini, togliendosi dal volto il lembo di turbante che lo nascondeva.

      Nadira spalancò gli occhi: quel tizio era il ricco mercante che poco prima aveva visitato casa sua.

      «Non riesco, ammazzatemi seduto!» richiese rassegnato Corrado.

      Quell’uomo invece strinse per la nuca Nadira e la costrinse ad inginocchiarsi al cospetto di Corrado.

      «Conosci questa ragazza?»

      Lui la guardò attentamente; ce l’aveva a nemmeno tre palmi di distanza dal suo viso. Sapeva benissimo chi fosse, gli occhi di Nadira non potevano essere confusi, tuttavia non vedeva il suo viso completo e i suoi capelli scoperti da quando lei, ancora fanciulla, scorrazzava spensierata per il Rabaḍ. Oltretutto Corrado non aveva mai visto la sorella dell’uomo del Qā’id in quello stato: Nadira, vestita dei soli abiti della notte, era una maschera di lacrime.

      Corrado assentì col capo. Dunque quel tale che si era presentato come Salim gli disse:

      «Va’ dal tuo Qā’id, e digli che se vuole rivedere il suo ultimo gioiello deve ridarmi mia moglie!»

      Nadira comprese immediatamente la vera identità del ricco mercante… si trattava di Mohammed ibn al-Thumna, Qā’id di Catania e Siracusa, asceso ad emiro più potente dell’intera Sicilia quando anni prima, senza ormai più un potere centrale, i qā’id si erano scontrati tra loro. Previde immediatamente dove fosse capace di arrivare quell’uomo: immaginò i propri polsi segati proprio come li aveva fatti segare a Maimuna.

      Il Qā’id afferrò ancora per la nuca Nadira, inducendola a sollevarsi, e la consegnò ai suoi uomini. Infine costrinse Corrado ad alzare il capo ponendogli il taglio della sua scimitarra sotto il mento.

      «Se vuoi farla pagare a chi ti ha trattato così, vieni a cercarmi quando ti sarai rimesso… tu e i tuoi amici incirconcisi.»

      A ciò Mohammed ibn al-Thumna lasciò il cortile e poi il Rabaḍ, consapevole che gli incendi del villaggio avevano a quel punto già allarmato le sentinelle di Qasr Yanna, e che suo cognato avrebbe fatto presto ad intervenire.

      A Nadira intanto erano state legate le mani con una lunga fune e dell’altro capo di questa la tiravano giù per la strada che scendeva dall’altopiano, proprio come si farebbe con un mulo. Il Qā’id e i suoi si spostavano illuminando il cammino con poche torce e i piedi nudi di Nadira si ferivano tra i sassi e i rovi. Quando poi giunsero al guado del torrente che scorreva sotto il Rabaḍ, precisamente sotto una delle grandi norie, Mohammed ordinò che la ragazza fosse sciolta e, ponendole un fine vestito femminile, la invitò a coprirsi come si conviene alle donne. Quindi, guardando i numerosi uomini al suo seguito, disse:

      «Se qualcuno osa mancare di rispetto alla ragazza se la dovrà vedere con me… si tratta pur sempre della promessa di un qā’id, e come tale va trattata!»

      A quel punto saltarono tutti a cavallo e si dileguarono verso est. Nadira dovette aggrapparsi ai fianchi di Jamal, l’uomo col grosso medaglione.

      Cavalli in gran parte neri andavano tutti nella stessa direzione. Erano suppergiù in cinquanta coloro che li montavano, tutti vestiti con un burnus44 nero e con calzoni del medesimo colore. Avevano visi cupi e parlavano la lingua più comune tra molti mori d’Africa. Nadira riconobbe quell’idioma, era in questo modo che spesso lei si esprimeva in famiglia, però non l’aveva mai sentito parlare tanto fluentemente e con quell’accento così tipico.

      I cavalieri spronavano blandamente i propri destrieri e questi, a passo lento, avanzavano sotto la luna formando una lunga processione.

      «Signore, chi sono questi uomini? E dove mi portate?» chiese Nadira al braccio destro del Qā’id, non appena ebbe calmato i suoi singhiozzi.

      «Sono i tagliagole d’Africa di ibn al-Menkūt. Hanno tradito il proprio qā’id per servirne uno più conveniente. Ma il loro signore di adesso è un amico del mio padrone e gli ha fatto dono dei suoi mercenari perché se ne avvalga in questi giorni.» rispose Jamal.

      «E questi stranieri la taglieranno anche a me la gola?» domandò la ragazza con l’innocenza tipica di chi non conosce il mondo e trema di fronte a tutto ciò che è nuovo.

      Jamal sorrise e rispose:

      «Non temere, al mio signore servi viva.»

      Non passò molto che si fermarono nei pressi di un borgo al confine tra le terre controllate da ibn al-Ḥawwās e quelle dominate da ibn al-Thumna. Altri brutti ceffi stazionavano già presso il villaggio, un gruppo di case dall’aspetto molto simile al Rabaḍ di Qasr Yanna. Questi altri, tagliagole della stessa sorte di quelli che avevano devastato il Rabaḍ, resero omaggio a Mohammed, prostrandosi quando lui scese da cavallo.

      «Consegna la ragazza alle donne del villaggio e, quando l’avranno rimessa in sesto, rimandala da me.» ordinò il Qā’id a Jamal, e questi rispose accennando un inchino.

      Nadira venne condotta alla luce delle torce in una casa modesta, e qui delle donne dai visi tristi si presero cura di lei lavandole i piedi, pettinandole i capelli e dandole da mangiare. Nadira chiese chi fossero e una di queste rispose che tre giorni prima i tagliagole di ibn al-Menkūt avevano catturato il villaggio, uccidendo tutti gli uomini e stuprando ogni donna come rito di iniziazione al loro nuovo stato di schiavitù.

      Infine Nadira venne condotta dal Qā’id, il quale soggiornava in una sontuosa tenda issata a lato della moschea.

      L’arrivo della ragazza venne annunciato dal suono dei numerosi bracciali, cavigliere e sonagli che le erano stati posti addosso. Gli occhi inoltre erano stati tinti col kajal45, ma quando comparve di fronte a Mohammed questo già si sbiadiva al contatto con le lacrime e rigava di nero gli zigomi fino al mento.

      «Vieni Nadira, avvicinati! Nella mia tenda si sta più caldi e comodi. Le notti d’inverno possono essere troppo lunghe quando non si riesce a dormire.» la invitò Mohammed, stando seduto a gambe incrociate su dei cuscini.

      Nadira s’introdusse nella lussuosa tenda e, avvicinandosi al fuoco del braciere, esordì:

      «So chi sei.»

      «Perciò non mi stupisce che mio cognato si


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