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Il Cielo Di Nadira. Mongiovì GiovanniЧитать онлайн книгу.

Il Cielo Di Nadira - Mongiovì Giovanni


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notte sarà una lunga notte, ma non violeremo le regole d’ingaggio fin quando ci verrà assicurato lo stesso rispetto dall’altro lato. Qualcuno di noi i romei li ha già combattuti in passato… sa di cosa sto parlando quando dico che non bisogna dare niente per scontato, in pace come in guerra. Ognuno alla sua tenda, fratelli, ma non dormite profondamente!»

      L’assemblea improvvisata, così come era stata definita da Guglielmo, si sciolse dopo le sue parole. Sarebbe stata una notte lunga, una di quelle che porta decisioni, una di quelle insonne per guerrieri sempre pronti a tutti. Ognuno afferrò la sua arma da guerra e la pose accanto al suo cuscino, oltre al consueto pugnale nascosto tra le vesti.

      In tutto questo Conrad sembrava essere il più preoccupato, e non perché un’arma ancora non la possedeva, e nemmeno perché alla sua giovane età tutto sembra più grande e pauroso, piuttosto perché temeva di dover partire di corsa senza poter salutare per l’ultima volta suo padre.

      Capitolo 13

      Inverno 1060 (452 dall’egira), dentro le mura di Qasr Yanna

      Erano passati appena un giorno e una notte da che Mohammed ibn al-Thumna aveva devastato il Rabaḍ e rapito Nadira. I messi di Ali ibn al-Ḥawwās erano scesi dal monte per verificare la natura di quegli incendi avvistati durante il buio notturno, ma non erano stati di nessuna utilità; né lo sarebbero stati i dieci uomini del Qā’id che erano partiti subito dopo alla ricerca di Nadira e dei suoi rapitori.

      Seppelliti quei poveri dodici uccisi a fil di spada dai tagliagole del Qā’id di Catania, soprattutto uomini di vedetta e di guardia, tutta la popolazione cominciò a fare i bagagli in preda alla psicosi generale. Una lunga processione di uomini, donne e bambini, ma anche di bestie e carretti trainati a mano o con i muli, saliva verso le mura di Qasr Yanna, lì dove avrebbero potuto trovare la protezione che al Rabaḍ era mancata. Giunti oltre le mura cominciarono a sistemarsi dove meglio potevano: chi aveva un parente gli richiedeva asilo in casa, chi non aveva nessuno si sistemava al confine delle abitazioni, costruendo ripari di fortuna. Pure Alfeo seguì la massa e preferì lasciare la zappa per trovare rifugio a Qasr Yanna.

      Corrado, debilitato e non del tutto ripreso, affrontava gli strascichi della febbre. Adesso, persuaso da Apollonia, aveva accantonato il suo desiderio di vendetta per dare la priorità a tutto ciò che c'era da fare per la nuova sistemazione. Alfeo e i suoi figli, al pari di abili beduini, montavano le tende accanto agli orti coltivati dentro le mura e dirimpetto ad uno dei famosi giardini di Qasr Yanna. Fu proprio qui che nel pomeriggio Corrado ricevette una visita.

      Umar si fece avanti tutto borioso e prepotente, e quando si avvicinò alla tenda dei cristiani del Rabaḍ ne demolì una parte per accedervi senza preoccuparsi di chiedere permesso.

      «Corrado, vieni fuori!» urlò.

      L’altro se ne stava intento ad accendere il fuoco, mentre la famiglia lo circondava in attesa di poter scaldare finalmente le mani gelate.

      Corrado alzò gli occhi, lo guardò e con calma rispose:

      «Il tempo che finisco col fuoco.»

      «Vieni fuori... subito!» ordinò di nuovo Umar, questa volta tenendosi la testa lì dove due giorni prima era stato colpito.

      «Aspettami ai giardini.»

      Umar perciò se ne andò furioso.

      «Cosa vorrà ancora da noi?» chiese Caterina tutta in preda all’ansia.

      «Ecco quando ti dicevo che col tuo gesto hai distrutto la nostra serenità.» ribadì Alfeo.

      «Evidentemente il fatto che Michele gli abbia salvato la vita non è stato sufficiente per una bestia del genere!» rispose Corrado.

      «Modera i termini, e mostrati sottomesso!» fece Alfeo.

      Tuttavia Corrado afferrò il coltello col quale sua madre stava sbucciando un’arancia amara proveniente dalle vallate più basse, se lo infilò nella cintura dei calzoni e uscì fuori, divincolandosi da Apollonia, che preoccupata lo tratteneva per un braccio.

      «State qui!» intimò a tutta la famiglia prima di uscire.

      Umar l’aspettava in piedi vicino ad un mandorlo, mentre dietro, ad una decina di passi di distanza, se ne stava tutto il resto della sua famiglia.

      «Non ti è bastato che mio fratello ti abbia salvato la vita? Che altro vuoi da me?»

      «Michele ha pagato i tuoi torti passati, ma il suo gesto non può ripagare i tuoi odierni.»

      «E quei due giorni a lasciarmi morire appeso ad un palo che cosa hanno ripagato?»

      «Quello serviva solo a farti capire a che posto devono stare i maiali infedeli come te!»

      Corrado ebbe l’istinto di portarsi una mano alla cintura, ma appena avvertì l’impugnatura sotto le dita lasciò perdere.

      «Dimmi perché mi hai cercato.»

      «Gli uomini di un certo Salim hanno portato via mia sorella.»

      «Lo sanno tutti, Umar. Pensa... proprio tu che sei così geloso di Nadira, te la sei fatta soffiare da sotto il naso… proprio tu che permettevi che lasciasse vedere solo i suoi occhi... Che ti è saltato in mente quando hai accolto in casa quel criminale? Credevi di far bella mostra di Nadira con un estraneo senza averne conseguenze? Persino io nasconderei mia sorella allo sguardo di un forestiero. Metti la preda davanti alle fauci del lupo e poi ti lamenti che questo se la porti via? Umar… Umar… grande e stupido Umar!»

      Umar tirò fuori la scimitarra che teneva appesa alla cintola e fu lì per lì per rispondere alla provocazione.

      «Fallo, Umar… fallo! E poi chiederai alle volpi che l’altra notte girovagavano per il Rabaḍ cosa mi ha detto quell’uomo. Perché sono sicuro che è per questo che oggi vieni a cercarmi.»

      Umar rinfoderò la sua arma e rispose:

      «Visto che lo sai già, perché non sei venuto a dirmelo ieri?»

      «Credevo che il tuo Qā’id ti avesse già detto quello che vuoi sapere. O devo credere che neppure ti ha ricevuto…»

      «Ho parlato col Qā’id e farà di tutto per riportare a casa Nadira. Pagherà il riscatto e poi darà la caccia agli uomini che hanno osato fargli quest’affronto!»

      «Ti ha detto così? Ti ha parlato di riscatto?» chiese perplesso Corrado.

      «Quello che ho discusso col Qā’id non sono affari tuoi. Dimmi solo cosa ti ha detto quel Salim maledetto.»

      «Non ti dovrei niente… lo sai.»

      «Mi devi la vita, dal momento che se respiri ancora è grazie alla mia pietà.»

      «Per dirti quello che so voglio qualcosa in cambio.»

      Umar, spazientito, rimise la mano alla scimitarra, tuttavia Corrado afferrò l’impugnatura insieme al primo, impedendogli di intervenire. Umar quindi portò l’altra mano alla gola di Corrado e tentò di strozzarlo, salvo lasciare la presa quando si accorse del coltello che premeva sul suo addome.

      «Ti sbudellerei, Umar… ma non voglio portare la rovina in casa di mio padre.»

      Jala, che aveva assistito a tutta la scena, venne avanti correndo.

      «No, Umar, non così!»

      Corrado nascose nuovamente il coltello e Umar fece due passi indietro, consapevole che ci fosse mancato davvero poco.

      «Lasciami parlare col cristiano, da sola.» richiese Jala.

      «Sei impazzita?»

      «Per favore, Umar. Corrado non si rifiuterà di ascoltare la parola di una madre.»

      «È armato!»

      Ma Corrado intervenne:

      «E credi che possa fare del male a tua madre? Mi fossi chiamato Umar, o col


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