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Il Cielo Di Nadira. Mongiovì GiovanniЧитать онлайн книгу.

Il Cielo Di Nadira - Mongiovì Giovanni


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      «Mio marito, Mohammed ibn al-Thumna, Qā’id di Catania e Siracusa.»

      «Perché, mia Signora? Che gli hai fatto?» chiese ancora Nadira, sporgendosi in avanti e afferrandole le mani.

      «Esiste qualcosa per cui una moglie vada trattata così?»

      Nadira quindi lasciò la presa, sentendo la risposta quasi come un rimprovero.

      «Appartenevo ad ibn Meklāti, già signore di Catania, con cui ero sposata, ma Mohammed gli tolse la vita e gli rubò la città e la moglie. E come se non bastasse l’infamia di essere sposata all’assassino del mio primo marito, Mohammed volle farmi questo regalo facendomi tagliare i polsi allo scopo di dissanguarmi. Inoltre, sapete come mio fratello si sia fatto da schiavo a Qā’id con le sue mani… e per questo Mohammed non faceva che ricordarmi il mio stato di plebea.»

      «Appartieni ancora al Qā’id di Catania, mia Signora?» domandò Ghadda.

      «Mi chiese perdono quando smaltì la sbornia del vino della sera prima… poiché Mohammed fa parte di coloro che bevono e si danno agli eccessi e poi se ne dolgono e pentono il giorno dopo. Io comunque chiesi di potermi recare da mio fratello e lui me lo concesse… ma se non fosse stato per il giovanotto della servitù che mi volle salvare, io oggi non sarei qui a discorrere con voi, sorelle care.»

      «Non temi a tornartene da lui?»

      «Non tornerò, con la certezza di non rivedere più i miei figli… ma non tornerò!»

      «Sei coraggiosa!» esclamò Ghadda.

      «Non sono coraggiosa, sono solo la sorella del Qā’id di Qasr Yanna. Se fossi stata una delle donne di questo villaggio per certo sarei tornata da buona moglie.»

      «E tuo fratello non ti rimanderà indietro?» intervenne perciò Jala, stupita per il fatto che Maimuna sperasse che il fratello potesse appoggiarla in quel comportamento a suo parere indecente.

      «Ali me lo ha giurato.»

      Vi fu un attimo di silenzio, come se l’aria fosse carica di preoccupazione per il gesto della donna.

      «Nadira, sorella, tuo fratello fa bene a non concederti a chiunque. Hai visto i miei polsi? Hai visto la fine a cui si va incontro quando si finisce tra le braccia dell’uomo sbagliato? E poi tu meriti molto… molto di più di quello che restando al Rabaḍ potrebbe capitarti. Gli uomini comuni non ti meriterebbero, figliola.»

      «Chi potrebbe interessarsi ad una ragazza del popolo?»

      «Perfino un illustre Qā’id!» fece con rapidità insolita Maimuna, come se aspettasse di dare quella risposta sin dall’inizio.

      Nadira rise modestamente, quindi disse:

      «Non restano molti qā’id importanti in Sicilia, eccetto tuo marito, tuo fratello e…»

      Non aveva ancora finito di parlare che venne colta da una strana consapevolezza: Maimuna era lì per lei e per conto di suo fratello. Fu colta da ansia, apprensione e da una tensione tale che non riuscì più a parlare.

      «Nadira, cara, cosa ti turba?» le chiese Maimuna, accarezzandole una guancia.

      Jala, al contrario, avendo capito l’antifona ancor prima della figlia, era fuori di sé.

      «Nadira, sembra che i complimenti di Maimuna ti diano fastidio.» rimproverò la madre.

      «Perché sei qui?» chiese invece seria la ragazza, deglutendo.

      «Per appurare se quanto si dice su Nadira del Rabaḍ sia vero. Ti dispiace?»

      «No!» rispose la giovane, lasciando trasparire un sorriso nervoso.

      Era stato concordato tra Maimuna e il fratello che, se il giudizio sulla ragazza fosse stato positivo, quest’ultima avrebbe dovuto servire da mangiare agli uomini nell’altra stanza, e soprattutto il Qā’id direttamente dalle sue mani.

      «Ti pare che il Qā’id di Qasr Yanna venga al Rabaḍ senza motivo? Nadira, Ali sarebbe immensamente felice se tu di persona gli servissi da mangiare.»

      Non poco riluttante dentro di sé, non perché dissentisse dalla proposta ma per la serietà del gesto, Nadira si coprì il volto, prese dalle mani di una serva dei dolci fatti di mostarda mischiata a miele e senape e li portò nella stanza in cui gli uomini discutevano.

      Il Qā’id interruppe il discorso non appena vide Nadira avanzare verso di lui; era il segnale, la ragazza aveva passato l’esame di Maimuna.

      Umar rimase perplesso, tuttavia comprese immediatamente la ragione inerente alla visita del suo signore.

      Quando Nadira s’inginocchiò al cospetto del Qā’id e spinse la mano col cibo verso la sua bocca, l’altro le bloccò delicatamente il polso - tanto che lei temette di aver sbagliato qualcosa - la fissò intensamente negli occhi spalancati e cominciò a recitare:

      «Conosci tu quelle fonti d’acqua viva, pura e dal color zaffiro?

      Dove è possibile specchiarsi, scorgere la propria anima.

      Dove si dissetano gli aironi e le fanciulle si scoprono i capelli.

      Conosci tu, oh mio Grande, i confini del tuo regno?

      Conosci tu quel mare di sconvolgente meraviglia?

      Così profondo e ricco di pesci dalle pinne a scaglie.

      Così turchese e ciano e azzurro, dove si radunano le reti.

      Conosci tu, oh favorito del Supremo, i confini di Sicilia?

      Conosci tu quel cielo di incomparabile bellezza e innocenza?

      Da cui stilla pioggia nella stagione dei fichi primaticci e dei meloni.

      Grazie al quale si rinfrescano gli ibischi, la zagara e le rose.

      Conosci tu, oh mio Signore, il cielo di Nadira, i confini dei suoi occhi?»

      Sul viso di Nadira scesero rapide due lacrime, che andarono a nascondersi dietro il velo del niqab24. Non riusciva a spiegarsi come fosse possibile che la fama dei suoi occhi avesse oltrepassato i confini del Rabaḍ e addirittura fosse arrivata alle orecchie del Qā’id.

      «Hai mai sentito queste parole, mia cara?» domandò Ali, nonostante sapesse già che la risposta fosse negativa.

      «No, mio Signore. Ma dev’essere fortunata la Nadira a cui le hai dedicate.»

      Il Qā’id sorrise, essendo positivamente colpito dalla modestia della ragazza.

      «Quest’estate concessi udienza ad un poeta itinerante che era in cerca di una corte, un tale Mus’ab, e questi mi deliziò per due mesi con le sue doti poetiche. Un giorno mi decantò le lodi di un fiore di tale bellezza che finii per supplicarlo affinché mi dicesse di chi si trattasse. Quel fiore aveva un nome: Nadira; abitava al Rabaḍ ed era la sorella dell’‘āmil. I versi che ho recitato, mia cara, li ho soltanto imparati a memoria… il premio al genio va solamente al poeta Mus’ab, ma il premio alla bellezza di queste parole va a te. Tuttavia, se avessi visto i tuoi occhi prima di sentire queste parole, forse avrei punito Mus’ab per la sua presunzione nel voler descrivere l’indescrivibile. Allah ha fatto di te l’ineguagliabile e l’inspiegabile, mia cara! Ho aspettato un mese, tutta la durata del Ramadan25, prima di venire a conoscere “il cielo di Nadira, il confine dei suoi occhi”, anche se ora mi rendo conto che quel confine non esiste.»

      Adesso Ali guardò Umar e gli disse:

      «Fratello, ti chiedo la mano di Nadira, a qualunque prezzo tu mi imponga.»

      Umar ammutolì e Nadira lasciò la stanza, comprendendo che la questione doveva essere affrontata dagli uomini.

      Umar in cuor suo acconsentì immediatamente, e gli avrebbe


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