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Il Cercatore Di Coralli. Mongiovì GiovanniЧитать онлайн книгу.

Il Cercatore Di Coralli - Mongiovì Giovanni


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motivo ti mostri invece amichevole?»

      «Perché tu, mio Signore, sai riconoscere un affare... così come so farlo io.»

      «Di quale affare stai parlando?»

      «Avete fatto scappare Hasan e la sua famiglia, e i nobili più in vista hanno preferito seguirlo in esilio... Quando il grosso degli ufficiali e della nobiltà di Sicilia se ne sarà tornato a casa, chi comprerà i miei monili? Stringiamoci la mano e mettiamoci in società. Tu, mio Signore, mi farai da intermediario con la corte del Re e con le ricche famiglie del regno vostro.»

      «Non sono le fabbriche di Taràbanis41, per citarne alcune, più floride della tua bottega?»

      «Ti invito a misurare la fattura delle mie opere e di confrontarla con i prodotti di questi luoghi.»

      «Mi hai portato qui per fare affari?» chiese spazientito Giordano.

      Aveva creduto che il ricordo della morte di Benavert facesse uscire allo scoperto Kamal, ed invece non era successo nulla. Giordano in quel momento immaginò di aver preso solo un abbaglio!

      «Hai ragione, mio Signore, è doveroso che ti parli di come conobbi tuo padre.»

      «La battaglia di capo Dimas...»

      Kamal scese da cavallo e invitò Giordano a fare lo stesso. Dunque gli propose di camminare sulla battigia con lo scopo di allontanarsi dagli uomini della scorta e perfino dai suoi figli. Poi, fissando il mare, prendendo la stessa direzione del chili, cominciò a raccontare:

      «Era l’estate del 517, il 1123 secondo il vostro computo. Allora ero un ragazzo dell'età di Salman, pieno di forze e ambizione. Prendevo il mare quasi ogni giorno e comandavo già una ciurma di esperti cercatori di corallo. A Mahdiyya sapevamo già da giorni che Rujār aveva mandato molte navi, e avevamo gioito quando avevamo sentito che la flotta aveva fatto naufragio presso Quawsarah, pur se i cristiani avevano conquistato quell’isola e fatto preda dei fratelli che vi abitavano. In risposta al pericolo l'emiro aveva bandito la guerra santa e chiamato molta gente a difendere la città; restammo sorpresi vedendo i predoni del deserto unirsi agli uomini in armi per difendere Mahdiyya e la cittadinanza. Io, ad ogni modo, che credevo presuntuosamente che la minaccia non si concretizzasse, approfittai delle tenebre per prendere il largo. Allora, come ho continuato a fare fino ad oggi, ero alla ricerca di una rarissima foresta di corallo nero, la quale, a detta dei più anziani del mestiere, dovrebbe trovarsi da qualche parte a poche miglia dalla costa.

      Quel giorno non lo dimenticherò mai! Era il 25 di Jumādā al-awwal42, quando mi imbattei, non nella foresta di corallo nero, ma nelle vele latine dei legni della marina siciliana, capitanata, ora come allora, da Jirjis al-Anṭakī. Credei che le veloci galee ci raggiungessero e ci facessero prigionieri, perciò puntammo la prua verso Mahdiyya e remammo più forte che potemmo. Verso sera, al calar del sole, notammo che le galee si erano fermate e avevano gettato l'ancora proprio presso quest'isolotto spoglio e deserto. Tuttavia, a nostro discapito, le staffette di Hasan rientrarono a Mahdiyya prima di noi, cosicché quando con il buio fummo all'imbocco del porto vi trovammo già la catena a sbarrare l'ingresso. Proposi allora di sbarcare dove potevamo e di tentare il rientro a piedi, ma vedemmo lungo la costa un gran via vai di fuochi di torce; dalla velocità con cui si spostavano dovevano essere uomini a cavallo. Come potevamo determinare nella notte il colore delle loro bandiere? Sopraggiunse il panico e tra di noi scoppiò la lite; in cinque mi si scagliarono contro e uno mi colpì alla testa con una delle zavorre che usavamo per mandare le reti a fondo. Persi conoscenza e solo tempo dopo seppi quale pazzia li avesse colti. Erano tutti uomini di mare che nella loro vita avevano passato più tempo su una barca che sulla terraferma, eppure quella notte sbagliarono rotta. Essendo la minaccia dei siciliani provenire da nord, credettero bene di allontanarsi quanto più possibile e di tentare fortuna a Safāqis. Ma Safāqis era lontana molte ore di navigazione e i venti erano capricciosi. Quando dovettero doppiare il capo più proteso verso il mare, rimasero incagliati nei banchi di sabbia. Vedendo quindi la costa vicina fuggirono a nuoto e si dileguarono alla ricerca di un riparo per la notte. Non so dire se l’indomani credevano di ritrovarmi dove mi avevano lasciato o se decisero volontariamente di abbandonarmi al mio destino... su questo vi sono sempre stati racconti contrastanti. Io so solo che al mio risveglio la linea di costa era così lontana da essere impossibile determinare dove mi trovassi. Durante la notte la marea aveva disincagliato la chiglia e uno strano vento proveniente da sud mi aveva sospinto verso nord e portato alla deriva. Mi sentivo rintronato e provavo una gran voglia di vendetta nei confronti degli ammutinati che mi avevano lasciato in balia delle correnti. All'epoca la mia indole non ero molto diversa da quella di mio figlio Salman e avevo molta forza nel fisico, oltre che una gran caparbietà. Tentai di dirigere le vele e di governare il timone in modo da riavvicinarmi a riva, ma farlo da solo con una barca così grande non era cosa facile. Alla fine, quando vidi venire verso di me una delle galee dei siciliani, capii di dovermi arrendere, più alla vita che al nemico.

      «Sono solo e disarmato!» gridai.

      Credo che il mio fisico dovette fare gola a quegli uomini, poiché mi presero prigioniero senza volermi malmenare. A quel punto sapevo però che sarei finito nelle mani dei mercanti di schiavi.

      Il comandante della galea si chiamava - così come suona nella parlata vostra - Rabel di Rossavilla... un uomo anziano, sessantenne, con un’esperienza invidiabile, dai capelli grigi e molto alto. Un vecchio lupo di mare che conosceva ogni mistero della navigazione e conservava nella sua mente decine di carte nautiche. Pensai che se avessi conosciuto quel tale in tempi di pace avrei potuto imparare molto.

      «Di dove sei?» mi chiese in perfetto arabo.

      «Di Mahdiyya.» risposi senza alcuna alternativa.

      «Mahdiyya è chiusa nelle sue fortificazioni; perché non sei con i tuoi fratelli a difendere la città?»

      «Ho fatto naufragio sulle secche ed ora la mia barca è ingovernabile.»

      «Sei un cercatore di coralli... lo vedo dal genere di reti e attrezzi.»

      «Mio Signore... la mia barca e tutto ciò che è in essa in cambio della mia vita!» lo scongiurai.

      «Qual è il tuo nome?»

      «Kamal.»

      «Quando avremo preso Mahdiyya qualcuno pagherà un riscatto... Kamal!»

      Troncò così ogni speranza che io potessi rivedere mia moglie e mio figlio.

      Quel giorno io fui l'unico bottino che ottenne Rabel e parte dell’esigua preda che raccolse l'intera flotta.

      Jirjis al-Anṭakī aveva montato le tende sull'isolotto e, intenzionato a colpire fulmineo, aveva mandato già nelle prime ore del giorno parte dell'esercito e parte del naviglio a circondare Mahdiyya per mare e per terra. Le galee erano tuttavia ritornate senza aver ricevuto segno della presenza dei cavalieri cristiani davanti alle porte della città. Sconfortati per le fortificazioni solide e ignorando la sorte dell'esercito, avevano fatto rotta nuovamente verso il Rās Dimas. Era stato proprio durante queste operazioni che Rabel si era imbattuto in me.

      Venni condotto sull'isolotto e qui Rabel rivendicò il mio possesso, in quanto era stato lui a farmi prigioniero. Nessuno ebbe qualcosa da dire in contrario; compresi quindi che tuo padre godeva di grande stima.

      Nel campo regnava lo sconforto e solo i capi della spedizione sembravano credere ancora nella buona riuscita della campagna. Era successo, infatti, che durante l'assenza della flotta, gli uomini dell'emiro avevano assalito il campo e fatto morti e prigioni.

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