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Gli Isopodi Del Tempo. Angel MartinezЧитать онлайн книгу.

Gli Isopodi Del Tempo - Angel Martinez


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avrebbe svelato come una spogliarellista impudica. Un forte sole invernale traeva scintille dorate dai capelli rossi di Kyle. Kyle Monroe, col suo naso rotto una volta e le mani con le cicatrici da ustione, che non avrebbe potuto essere più bello per Vikash neanche se degli angeli gli avessero brunito la pelle.

       Sono innamorato di lui. Sono innamorato del mio compagno e non posso dirglielo. Non oso dirglielo.

      Per Kyle, stare con un uomo non era un gran problema. Niente, per quel che riguardava le relazioni, sembrava esserlo per lui. Per quanto riusciva a dire Vikash, Kyle non aveva mai avuto un ragazzo serio di lunga durata, mentre Vikash? Lui aveva sempre lottato: per spiegare alla sua famiglia di essere bi, per rispiegare costantemente la stessa cosa a qualunque metà avesse mai avuto, per nascondere chi era al lavoro con meticolosa attenzione. Era già brutto abbastanza essere un poliziotto gay, ma un poliziotto bisessuale dichiarato? Sarebbe stato come gettare un unicorno di cioccolata in una stanza piena di scoiattoli affamati. Dilaniato un pezzetto alla volta finché non fossero rimaste altro che briciole.

      Ogni volta le sue riserve, la sua ansia ben nascosta, la sua incapacità di scegliere da che parte stare, come aveva detto la sua ultima ragazza, avevano fatto affondare le sue relazioni. L’avevano visto come una mancanza di impegno, come se la sua bisessualità fosse una strada diretta per l’infedeltà e la promiscuità. Kyle non gli stava chiedendo di cambiare. Kyle almeno diceva di capire, ma l’agitazione era iniziata, l’irritazione per il fatto di non poter semplicemente essere aperto ed esposto al pubblico, di dover continuare a tenere casa e lavoro in contenitori chiusi ermeticamente. Non ci sarebbe voluto molto ormai prima che Kyle arrivasse al limite.

      Vikash aveva insistito perché ognuno tenesse il proprio appartamento. Aveva insistito perché andassero al lavoro separatamente. Era lui quello che si scostava quando Kyle cercava di prendergli la mano al tavolo di un ristorante. Autosabotaggio? Probabilmente. Era bravo a farlo. Anche se stavolta era una scelta che non voleva fare tra la relazione e la carriera, e più evitava di affrontare quella scelta più si garantiva un fallimento spettacolare e incasinato della relazione.

      Quando Kyle svoltò sulla solitamente pacifica Mount Pleasant Drive tra due file di alberi, non potevano esserci dubbi che stessero andando nella direzione giusta. Piccoli gruppi di gente urlante correvano oltre la loro auto di pattuglia, e un uomo per poco non corse dritto contro il paraurti di Vance dietro di loro.

      In assenza di turisti e visitatori del parco, la rotonda davanti alla villa vera e propria era di una calma mortale. La casa principale in bianco con bordature di mattoni rossi con la sua dependance in tinta era rannicchiata in un mucchietto solitario contro la neve, eleganti pasticcini da tè persi in un’esplosione di glassa bianca. La scena ingannevolmente pacifica fece risalire un brivido lungo la schiena di Vikash. A meno che la folla in fuga avesse raggiunto tutta assieme la stessa dolorosa epifania sull’insignificanza dell’esistenza e fosse corsa via urlando in preda a un panico esistenziale di massa, qualcosa era in agguato nelle vicinanze.

      Vikash esaminò il terreno mentre scendeva dalla macchina, non volendo ancora fare una mossa in nessuna direzione.

      «È tranquillo. Troppo tranquillo», mormorò Kyle ripetendo il vecchio cliché dei film, e Vikash dovette soffocare una risatina nervosa.

      «Siamo a circa il cinquanta per cento di umidità». Jeff Gatling girò attorno all’auto verso il lato di Vikash. «Vance? Scintille?»

      Per fortuna, Vance era concentrato sulla caccia e non stava tormentando Kyle. Alzò una mano, le dita puntate al cielo. Del fumo si arricciò verso l’alto, poi uno sbuffo scuro eruppe prima che delle fiamme gli danzassero sulle punte delle dita. «Oh, sì. Abbiamo scintille. Fatti avanti».

      «Contenere se possibile», lo ammonì a bassa voce Jeff. «Incenerire come ultima risorsa. Capito, Vance?»

      Il suo compagno borbottò, ma si unì a loro mentre recuperavano tutti reti e borse dalle auto di pattuglia. Vikash colse un movimento con la vista periferica. Si voltò lentamente e notò un rapido lampo di qualcosa che svaniva dietro la dependance sulla sinistra.

      «Là». Indicò, muovendosi lentamente ma con decisione attraverso la neve.

      «L’hai visto, Kash? Quant’è grosso?» Kyle si spostò di qualche metro sulla sinistra, in caso il colpevole avesse deciso di fuggire.

      Vikash scosse la testa. «Non ho visto abbastanza».

      La neve era abbastanza fresca da non scricchiolare ancora, e attutì i loro passi mentre si facevano strada attorno all’edificio, Vikash e Kyle sulla sinistra, Jeff e Vance sulla destra. Quando la cosa uscì dal suo riparo, lo fece con velocità allarmante, sfrecciando da dietro l’edificio e gettando Kyle in terra prima di rotolargli sopra.

      «Kyle?» lo chiamò Vikash, mentre già tentava di indirizzare la cosa verso Jeff e Vance.

      «Sto bene».

      Anche se Vikash non era convinto, non poteva ancora tornare indietro a controllare come stesse il suo compagno. Due metri di diametro, la bizzarra apparizione che aveva causato la fuga di massa sembrava essere un’enorme palla di detriti da orticoltura. Rotolava e rimbalzava verso il fiume, rametti, foglie secche e viticci tutti intrecciati e che spuntavano irregolari dalla superficie come un brutto taglio di capelli. Con le sue gambe più lunghe, Vikash distanziava facilmente i suoi colleghi, perciò era proprio nella linea di tiro quando il rotolacampo della follia si fermò di botto, si scosse, e scagliò una massa di bastoncini come missili nella sua direzione. Lui si gettò di lato e la sua giacca subì il grosso dell’attacco. Dietro di lui, sentì un acuto urlo di dolore.

      Il rotolacampo frusciò di nuovo, apparentemente preparando un secondo lancio. Vikash si coprì la testa e arrischiò un’occhiata all’indietro verso Jeff, spalmato in terra con un bastone del diametro di cinque centimetri conficcato nella spalla.

      Vance si alzò da dove si era accucciato accanto al suo compagno, il volto paonazzo mentre urlava: «Mostro del cazzo!»

      Delle fiamme gli scaturirono dalle dita mentre proiettava in avanti un braccio e poi l’altro, fiammate di tre metri che minacciavano di dar fuoco agli alberi mentre Vance correva verso il rotolacampo. Col fumo che risaliva da diversi punti colpiti dal fuoco, la creatura fuggì con balzi erratici attraverso Kelly Drive fino a raggiungere la scultura dei Playing Angels accanto al fiume. Per un attimo, Vikash temette che sarebbe saltata in acqua, invece si nascose dietro i tre angeli che suonavano il corno sui loro alti piedistalli, saltando dall’uno all’altro mentre Vance continuava col suo assalto.

      «Vance!» urlò Jeff, sforzandosi di mettersi a sedere. «Piantala! Contenere!»

      Ma Vance lo ignorò, mormorando una serie di invettive sui mostri che sparavano addosso alle forze dell’ordine. Anche se a volte poteva essere un lavoro duro gestire un non umano che infrangeva la legge, i loro ordini standard erano di trattenerli a meno che la creatura presentasse una minaccia immediata. Almeno a Vikash era chiaro che il rotolacampo fosse più spaventato che malevolo. Si gettò contro Vance, buttandolo nella neve sotto l’angelo di destra mentre Kyle cercava di spegnere le fiamme con la sua giacca.

      Pur col sangue che si allargava sulla camicia blu della sua uniforme, Jeff si unì allo sforzo di soppressione del fuoco, anche se sembrava senza speranza. Le fiamme schioccavano e scoppiettavano, e un terribile lamento terrorizzato giunse dal centro del rotolacampo.

      «Levati di dosso, imbecille!» Vance si scrollava e si contorceva, ma Vikash non intendeva ancora farlo rialzare. Dovette schivare un pugno puntato alla sua testa ed era sul punto di usare i suoi arti più lunghi per bloccare le braccia di Vance in una stretta da orso quando di colpo il loro incendiario divenne inerte.

      I suoi occhi si aprirono di scatto, le pupille allargate, e fissarono qualcosa dietro di lui. La sua paura era talmente reale che Vikash si gettò un’occhiata oltre una spalla, ma vide solo l’abbagliante celeste del cielo invernale. Con cautela, sollevò il proprio peso. «Vance? Che succede?»

      «Oh mio Dio, cazzo. Non può essere», sussurrò Vance mentre si alzava e si chinava a raccogliere un oggetto inesistente da terra. Assunse una posa difensiva, indifferente a Vikash


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