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Tranquilla Cittadina Di Provincia. Stefano VignaroliЧитать онлайн книгу.

Tranquilla Cittadina Di Provincia - Stefano Vignaroli


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della ferrovia o in una fabbrica semi abbandonata per realizzare i suoi graffiti, non poteva fare a meno di accendere una sigaretta dietro l'altra. Fumare l'aiutava a scaricare la tensione nervosa, dovuta alla paura che da un momento all'altro potessero giungere le forze dell'ordine ad arrestarla, nonché a favorire la concentrazione sull'opera che stava realizzando.

      Quella notte, lei e gli altri due Writers, di cui non conosceva neanche i nomi, dai volti coperti da fazzoletti, che lasciavano scoperti solo gli occhi, avevano preso di mira un vecchio insediamento industriale abbandonato a Porto Recanati. Una struttura in disuso da almeno due decenni, un tempo una fabbrica di fertilizzanti chimici, un orrore architettonico, un mostro di cemento armato che nessuna autorità si voleva prendere la bega di demolire o recuperare. Il senso dei graffiti che avrebbero disegnato era quello di stimolare qualcuno a prendere il coraggio di fare un progetto di recupero di quell'area degradata. I primi chiarori dell'alba erano già evidenti a est, quando Maria Lucia decise di salire in cima a una scala allungabile per dare il tocco finale alla sua opera. In cima alla scala, tirò fuori l'ennesima sigaretta, una delle ultime del secondo pacchetto, e fece per accenderla con la cicca di quella che stava finendo di fumare. Nel fare questo gesto perse l'equilibrio, e cadde al suolo dopo un volo di circa tre metri. Fortunatamente, la caduta fu attutita dal fatto che in quel punto non c'era più la pavimentazione in cemento, che era stata sostituita da terriccio e sabbia e vi era cresciuto un abbondante strato d'erba. Ma si era slogata una caviglia e la spalla destra le faceva un male terribile. I due writers che erano con lei si resero conto, dalla deformità della parte, che la spalla era lussata. La loro amica doveva essere condotta al pronto soccorso. Ma come fare? Vestita così sarebbe stata scambiata come minimo per una prostituta, e Luca e Damiano appartenevano a famiglie in vista della zona. Erano infatti figli di importanti imprenditori locali, che non avrebbero certo gradito il coinvolgimento dei loro pupilli in certe storie.

      Luca si tolse il fazzoletto che nascondeva gran parte del volto e si rivolse al suo amico.

      «Occorre un piano per venirne fuori puliti. Cerchiamo di portarla fino alla strada, vicino alla nostra auto. Intanto mi farò venire un'idea.»

      Presero Maria Lucia sottobraccio, uno per lato, e pian piano riuscirono a condurre la loro amica zoppicante e dolorante fino in prossimità della loro lussuosa auto, una Mercedes station wagon.

      «Tu vai a recuperare la scala e ripulisci il luogo», disse Luca, rivolto all'amico. «Non dobbiamo lasciare tracce della nostra presenza. Io penso a lei.»

      A Luca piaceva molto il viso di quella donna, che non mascherava mai con il fazzoletto per il fatto che mentre creava graffiti fumava in continuazione, ma non aveva mai osato sfiorarla neanche con un dito. Adesso che era lì solo con lei a terra inerme, provava desiderio nei suoi confronti, desiderio che non avrebbe potuto di sicuro soddisfare in quel frangente. Luca prese qualcosa in macchina e si accese una sigaretta. Poi istruì Maria Lucia.

      «È chiaro che tu non ci conosci, non ci hai mai visti prima d'ora. Dovrò farti soffrire ancora un po', anche se me ne dispiace.»

      Soffiò sulla parte accesa della sigaretta a ravvivarne la brace, poi l'avvicinò alla pelle della ragazza e le provocò alcune scottature. Le tenne una mano sulla bocca a evitare che emettesse urla, ma Maria Lucia seppe resistere e non emise che qualche sommesso mugolio. Dopo di che le strappò le mutandine. Poi preparò la droga. In auto aveva sempre ben nascosta una piccola riserva di eroina pura, che aspirò in una siringa da insulina.

      «Eri da sola a disegnare graffiti. Tre sconosciuti, con i volti coperti, hanno tentato di violentarti, ti hanno somministrato droga, ti hanno scottato con le sigarette, ti hanno strappato di dosso le mutande. A un certo punto sei riuscita a scappare e raggiungere la strada, barcollando in preda ai fumi della droga. Un'auto è sopraggiunta, ti ha investito e l'autista non si è fermato. Sei stata presa dalla fiancata dell'auto solo di striscio, cosicché hai riportato lievi lesioni. Io e Damiano siamo sopraggiunti in seguito, ti abbiamo visto in terra e ti abbiamo soccorso, non ci avevi mai visto prima.»

      Mentre diceva queste parole, finì di inocularle la droga. Maria Lucia fece cenno col capo di aver capito e scivolò non nel sonno, ma in uno stato di oblio provocato dall'eroina. Luca era molto eccitato e avrebbe desiderato approfittare di quello stupendo corpo, prima di prendere il cellulare e chiamare il 118.

      «Un'occasione simile non si presenterà più», pensò. «Del resto, se trovassero tracce di sperma, sarebbe avvalorata la teoria dello stupro.»

      Già stava per slacciarsi i pantaloni, quando si diede del deficiente.

      «Un'eventuale prova del DNA potrebbe incastrarmi, stupido che sono!»

      Diede il tocco finale alla sua improvvisata opera d'arte strappando un bottone al camice di Maria Lucia, in modo che uno dei seni rimanesse bene in evidenza. Poi raccolse mutandine, bottone e cicca della sigaretta che aveva fumato, e infilò il tutto dentro un piccolo sacchetto di plastica che andò a nascondere nel vano della ruota di scorta della Mercedes. Mentre chiamava i soccorsi con il cellulare, ricomparve Damiano, che ripose la scala, dopo averla accorciata completamente, infilandola nell'auto attraverso il portellone posteriore. Quando vide come Luca aveva conciato la ragazza, impallidì e per poco non svenne. Luca lo rassicurò e istruì anche lui su come doveva essere raccontata la versione dei fatti.

      «Lascia parlare me, e limitati a confermare quanto io dirò. Andrà tutto bene, vedrai!»

      Nel giro di qualche minuto giunse l'ambulanza, seguita a breve da una pattuglia della polizia. Gli agenti riconobbero i ragazzi che, una volta liberatisi delle tute sporche di vernice, erano comuni ragazzi di famiglie bene, vestiti in polo Lacoste e Jeans Giorgio Armani, come qualsiasi ragazzo del loro giro che esce d'estate, un'estate che peraltro stava ormai volgendo al termine, per passare la serata in qualche locale della riviera. I ragazzi raccontarono quanto stabilito e si fecero sottoporre alla prova del palloncino con tutta tranquillità.

      «Ok, ragazzi, il vostro tasso alcolico è a posto e non siete fatti di droga. Credo proprio che abbiate fatto il vostro dovere soccorrendo questa poveraccia», disse uno dei due poliziotti. «Andate a casa ora, ma presentatevi domattina in Questura per la vostra deposizione. Chiedete del Dottor Olivieri, che vi prenderà a verbale.»

      Stavano per risalire in auto, quando uno dei due agenti notò la scala all'interno della Mercedes.

      «Cosa ci fate con quella?»

      A Damiano il cuore fece un tuffo. Non era bravo a improvvisare scuse e a imbastire bugie. Sentiva che quei due agenti li avrebbero potuti smascherare in un millesimo di secondo.

      «Nulla di particolare, agente. Abbiamo organizzato una festa di compleanno a casa di un nostro amico, e ci è servita per metter su i festoni decorativi», fu svelto a rispondere a tono Luca.

      Dopo quella notte non avrebbero mai più incontrato Maria Lucia. Damiano e Luca si diressero a casa, mentre la pattuglia, a lampeggianti accesi, raggiunse rapidamente il Pronto Soccorso dell'Ospedale Regionale di Ancona.

      Erano le dieci della mattina successiva quando Maria Lucia riprese conoscenza in un letto della divisione di Ematologia della Clinica Universitaria presso l'Ospedale Regionale di Ancona, un enorme complesso che accoglie anche la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università Politecnica della Marche. La spalla era dolorante, ma era stata sistemata e le era stato applicato un tutore, mentre alla caviglia aveva una benda elastica. Quello che la ragazza non si spiegava era perché fosse stata ricoverata in quell'ambiente asettico, con un'infermiera al suo fianco pronta a cacciarle almeno un litro di sangue con una siringa enorme, piuttosto che nel reparto di ortopedia, come sarebbe stato ovvio. Non era la vista della siringa che la rabbrividiva, ma il segreto che poteva essere svelato dall'esame del suo sangue e di cui sapeva di dover essere custode.

      «Mi oppongo al prelievo. Sono una testimone di Geova», si inventò sul momento. «Togliendo del sangue dal mio corpo se ne andrebbe parte del mio spirito.»

      «Balle!», replicò un giovane medico appena entrato nella stanza. «È la prassi. Dobbiamo verificare che tipo di droghe ti sono state somministrate. E inoltre abbiamo bisogno di tutti i tuoi parametri ematici, per poterti curare a dovere.»

      Così


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