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Copertina di Marco Fogliani
Aggiornamento al: 21/11/2021
IL CAMPIONE E LO STUDENTE
“Ha capito la domanda? Giovanotto: mi sta a sentire sì o no?”
Riccardo sembrava assente, del tutto indifferente a quanto gli stava dicendo il professore al cui cospetto si trovava seduto per affrontare un esame universitario.
“Ehi, ragazzo: dico a te.”
Il tono di voce stava salendo, segno che il docente stava perdendo la pazienza; ma la giovane assistente intervenne in difesa dello studente.
“La prego, non alzi troppo la voce, professore. Una volta ho avuto a che fare con una ragazza che soffriva di una forma leggera di epilessia. Anche lei aveva dei momenti in cui la mente era come assente. Dicono che in questi casi la cosa migliore sia aspettare che tornino in loro. Gli lasci cinque minuti per riprendersi. Lo conosco bene, ha frequentato tutte le esercitazioni e mi pare un ragazzo molto preparato: non può non conoscere questo argomento basilare.”
“Va bene. Se ha qualche problema di salute, veniamogli incontro; ma non la passerà liscia se scopro che si prende gioco di me. Comunque non abbiamo tempo da perdere. Gli esaminandi sono tanti. Passo ad un altro ragazzo, poi quando ho finito vediamo come si sente.”
L’assistente rimase seduta vicino a Riccardo chiamandolo dolcemente per cognome, e poi anche per nome, e poco dopo riuscì ad avere la sua attenzione.
“Ci sei? Ti senti bene adesso?”
“Sì, direi di sì. Perché? Cosa è successo?”
“Sembravi altrove. Il professore parlava e tu non gli davi retta.”
“Ho avuto l’impressione … come di essere in volo. Mi sentivo leggero e strano.”
“Hai qualche problema di salute? Che so io, ti è già capitato di avere qualche piccola amnesia temporanea?”
“No, non che mi ricordi. Anche se ultimamente ho fatto un sogno strano. Sognavo che …”
“Allora, giovanotto: si sente meglio adesso?”, intervenne il professore che, vedendolo parlare, si era avvicinato.
“Sì, mi sento meglio.”
“Se la sente di iniziare l’esame? Dei suoi sogni, se vuole, ne parla dopo con qualcun altro.”
“Sì professore, sono pronto.”
L’interrogazione andò molto bene.
“Le metto trenta, ma solo se mi promette di tenere d’occhio la sua salute”, gli propose l'esaminatore.
Riccardo annuì.
Il professore si era già allontanato, mentre l’assistente procedeva alla verbalizzazione.
“Se può esserti utile, posso darti il nome di un mio amico, docente a medicina e specialista in problemi neurologici. È molto bravo, ed opera sia in strutture pubbliche che private.” Riccardo fece nuovamente cenno di sì con il capo.
“Non sottovalutare questo problema: potrebbe avere brutte conseguenze anche sul tuo iter scolastico. Hai un’ottima media, e sono convinto che, se non fosse stata per la tua falsa partenza, avresti avuto la lode anche oggi. Sei molto brillante, hai le carte in regola per ambire a qualcosa in campo universitario: borse di studio, dottorato, specializzazioni. A proposito, se vuoi già cominciare ad approfondire questa materia in ottica tesi, vieni pure a trovarmi quando vuoi: in questo dipartimento si lavora bene, e sappiamo apprezzare chi lavora bene.”
Riccardo archiviò anche quell’esame con soddisfazione, preparandosi come sua abitudine a qualche giorno di riposo e spensieratezza; tuttavia le parole dell’assistente lo fecero pensare.
Rifletté non tanto sulla necessità di farsi visitare (“magari se mi succede ancora; ma un professore di grosso calibro chissà quanto vuole”, pensò), quanto sull’opportunità di iniziare già a interessarsi alla tesi e ad un futuro nell’università. Ma soprattutto doveva informarsi sulle possibilità di borse di studio: sapeva che per papà era un vero sacrificio farlo studiare.
La domenica successiva era già pianificato che sarebbe andato allo stadio in compagnia. Non ci andava mai perché gli sembrava che costasse troppo e perché non era poi così tifoso della squadra cittadina come i suoi amici; ma stavolta la sua comitiva disponeva di un biglietto in più. L’avevano avuto a poco prezzo – gli avevano detto - da un ragazzo che non poteva venire. Se avesse approfondito l’argomento, Riccardo avrebbe scoperto che era un modo carino per festeggiarlo senza ferire il suo orgoglio (perché difficilmente avrebbe accettato di venire senza pagare), e al tempo stesso realizzare il suo desiderio di vedere dal vivo Raul Francisco, astro nascente del calcio brasiliano.
“Peccato che Raul Francisco non giochi nella nostra squadra, ma contro. Guai a te se fai il tifo per la squadra sbagliata”, gli dicevano i suoi amici prendendolo in giro.
Ma perché - vi starete chiedendo - tanta curiosità di vedere all’opera quel giocatore? Semplice: perché tutti dicevano che Riccardo gli somigliava tantissimo. Gli era persino capitato che qualcuno lo fermasse per strada e gli chiedesse un autografo, o che gli dicesse: “Bravo, sei forte!”.
Erano addirittura nati nello stesso anno, anche se in continenti diversi.
“È come avrei potuto diventare io, con un po’ di fortuna”, pensava alle volte Riccardo. Forse avrebbe anche potuto odiarlo; e invece, vai a capire la mente umana, divenne il suo idolo. Da quando l’aveva scoperto raccoglieva tutte le sue foto, tutte le notizie che trovava su di lui.
Andando allo stadio sapeva in cuor suo che avrebbe tifato per dodici dei giocatori in campo, e per uno più degli altri; e anche i suoi amici lo sapevano.
La notte prima della partita fece un altro strano sogno. Ne ricordò qualcosa, ma non lo raccontò a nessuno: “Mi prenderebbero in giro”, pensò; “sarà solo l’interiorizzazione dell’emozione di vedere il grande Raul”.
Si ricordava di essere stato in aereo, con la sua borsa sportiva e la tuta gialla e verde come quella di tutti gli altri passeggeri. Poi si era visto sulla spiaggia impegnato in una interminabile partita di pallone, bella ma stancante, durante la quale più di una volta aveva anche segnato ed aveva ricevuto complimenti sia dai compagni che dagli avversari. Ma quello che ricordava di più era la stanchezza; tanto che quando si svegliò al mattino gli pareva di sentire ancora i polpacci e le cosce dolenti.
E dire che Riccardo non giocava quasi mai a pallone, decisamente non ne era molto capace.
La domenica pomeriggio si ritrovò in curva coi suoi amici e altri tifosi che facevano un fracasso continuo ed inimmaginabile. Dopo un quarto d'ora di gioco il risultato non era cambiato. Era chiaro però che il migliore, a metà campo, era proprio Raul Francisco. Riccardo avrebbe voluto incitarlo e gioire per le sue prodezze, ma trovandosi circondato da tifosi biancorossocrociati, ossia della squadra di casa, si doveva trattenere. In più, per prendersi gioco di lui, i suoi amici inveivano regolarmente contro il campione brasiliano ogni qual volta toccava palla, ed incitavano i difensori a commettere interventi cattivi contro Raul.
Ad un tratto ce ne fu uno più violento degli altri nei confronti della caviglia di Francisco. “Bene, bene così. Più deciso la prossima volta”, gridò uno dei suoi amici sperando che il campione dovesse lasciare il campo.
Il brasiliano rimase a terra dolorante. Sebbene l'autore del fallo fosse stato ammonito, la reazione della curva a quell'intervento fu di unanime esultanza. Ci fu qualcuno che cominciò a far scoppiare dei petardi, in una specie di scarica. Alla fine ce ne fu uno, isolato, che a Riccardo sembrò molto più forte ma in realtà era solo più vicino. Ne rimase stordito; dopo un attimo di sordità completa gli si annebbiò la vista, tanto che sentì il bisogno di chiudere gli occhi e di coprirseli con le mani.
Li riaprì quasi subito, riprendendo pieno possesso di tutti i suoi sensi. Incredulo, si rese conto di provare una fitta di dolore terribile alla caviglia. Il dolore si attenuava mentre un signore in tuta gialla e verde gliela