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Приключения Пиноккио / Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino. Карло КоллодиЧитать онлайн книгу.

Приключения Пиноккио / Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino - Карло Коллоди


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tuoi cinque zecchini, dall’oggi al domani sarebbero diventati duemila.

      – Duemila! – ripetè il Gatto.

      – Ma com’è mai possibile che diventino tanti? – domandò Pinocchio, restando a bocca aperta dallo stupore.

      – Te lo spiego subito – disse la Volpe. – Bisogna sapere che nel paese dei Barbagianni c’è un campo benedetto, chiamato da tutti il Campo dei miracoli. Tu fai in questo campo una piccola buca e ci metti dentro, per esempio, uno zecchino d’oro. Poi ricopri la buca con un po’ di terra: l’annaffi con due secchie d’acqua di fontana, ci getti sopra una presa di sale, e la sera te ne vai tranquillamente a letto.

      Intanto, durante la notte, lo zecchino germoglia, e la mattina dopo, ritornando nel campo, che cosa trovi? Trovi un bell’albero carico di tanti zecchini d’oro quanti chicchi di grano può avere una bella spiga nel mese di giugno.

      – Sicché dunque – disse Pinocchio – se io sotterrassi in quel campo i miei cinque zecchini, la mattina dopo quanti zecchini ci troverei?

      – È un conto facilissimo – rispose la Volpe – un conto che puoi farlo sulla punta delle dita. Poni che ogni zecchino ti faccia un grappolo di cinquecento zecchini: moltiplica il cinquecento per cinque, e la mattina dopo ti trovi in tasca duemilacinquecento zecchini.

      – Oh che bella cosa! – gridò Pinocchio, ballando dall’allegrezza. – Appena che questi zecchini li avrò raccolti, ne prenderò per me duemila e gli altri cinquecento di più li darò in regalo a voialtri due.

      – Un regalo a noi? – gridò la Volpe sdegnandosi e chiamandosi offesa. – Dio te ne liberi!

      – Te ne liberi! – ripetè il Gatto.

      – Noi – riprese la Volpe – non lavoriamo per il vile interesse: noi lavoriamo unicamente per arricchire gli altri.

      – Gli altri! – ripetè il Gatto.

      – Che brave persone! – pensò dentro di sé Pinocchio: e dimenticandosi del suo babbo, della casacca nuova, dell’Abbecedario, disse alla Volpe e al Gatto:

      – Andiamo subito, io vengo con voi.

      13. L’osteria del “Gambero Rosso”

      Cammina, cammina, alla fine sul far della sera[58] arrivarono stanchi morti all’osteria del Gambero Rosso.

      – Fermiamoci un po’ qui – disse la Volpe – tanto per mangiare un boccone e per riposarci qualche ora. A mezzanotte poi ripartiremo per essere domani, all’alba, nel Campo dei miracoli.

      Entrati nell’osteria, si posero tutti e tre a tavola: ma nessuno di loro aveva appetito.

      Il povero Gatto, sentendosi indisposto di stomaco, non potè mangiare altro che[59] trentacinque triglie con salsa di pomodoro e quattro porzioni di trippa alla parmigiana: e perché la trippa non gli pareva condita abbastanza, si rifece tre volte a chiedere il burro e il formaggio grattato!

      La Volpe avrebbe mangiato volentieri qualche cosa anche lei: ma siccome il medico le aveva ordinato una grandissima dieta, così dovè contentarsi di una semplice lepre dolce e un contorno di pollastre e di galletti di primo canto[60]. Aveva tanta nausea per il cibo, diceva lei, che non poteva accostarsi nulla alla bocca.

      Quello che mangiò meno di tutti fu Pinocchio. Chiese uno spicchio di noce e un cantuccio di pane, e lasciò nel piatto ogni cosa. Il povero figliolo, col pensiero sempre fisso al Campo dei miracoli.

      Quand’ebbero cenato, la Volpe disse all’oste:

      – Datemi due buone camere. Prima di ripartire stiacceremo un sonnellino[61]. Ricordatevi però che a mezzanotte vogliamo essere svegliati per continuare il nostro viaggio.

      – Sissignori – rispose l’oste, e strizzò l’occhio[62] alla Volpe e al Gatto.

      Appena che Pinocchio fu entrato nel letto, si addormentò e principiò a sognare. E sognando gli pareva di essere in mezzo a un campo, e questo campo era pieno di arboscelli carichi di grappoli, e questi grappoli erano carichi di zecchini d’oro che, dondolandosi mossi dal vento, facevano zin, zin, zin. Ma quando Pinocchio allungò la mano per prendere a manciate tutte quelle belle monete e mettersele in tasca, si trovò svegliato all’improvviso da tre violentissimi colpi dati nella porta di camera.

      Era l’oste che veniva a dirgli che la mezzanotte era sonata.

      – E i miei compagni sono pronti? – gli domandò il burattino.

      – Altro che pronti! Sono partiti due ore fa.

      – Perché tanta fretta?

      – Perché il Gatto ha ricevuto un’imbasciata, che il suo gattino maggiore, malato di geloni ai piedi, stava in pericolo di vita.

      – E la cena l’hanno pagata?

      – Che vi pare? Quelle lì sono persone troppo educate, perché facciano un affronto simile alla signoria vostra.

      – Peccato! Quest’affronto mi avrebbe fatto tanto piacere! – disse Pinocchio. Poi domandò:

      – E dove hanno detto di aspettarmi quei buoni amici?

      – Al Campo dei miracoli, domattina, allo spuntare del giorno[63].

      Pinocchio pagò uno zecchino per la cena sua e per quella dei suoi compagni, e dopo partì.

      Ma si può dire che partisse a tastoni, perché fuori dell’osteria c’era un buio così buio che non ci si vedeva da qui a lì[64]. Nella campagna all’intorno non si sentiva alitare una foglia. Solamente alcuni uccelli notturni, traversando la strada da una siepe all’altra, venivano a sbattere le ali sul naso di Pinocchio, il quale gridava: – Chi va là? – e l’eco delle colline circostanti ripeteva in lontananza: – Chi va là? chi va là? chi va là?

      Intanto, mentre camminava, vide sul tronco di un albero un piccolo animaletto.

      – Chi sei? – gli domandò Pinocchio.

      – Sono l’ombra del Grillo-parlante – rispose l’animaletto con una vocina fioca fioca.

      – Che vuoi da me? – disse il burattino.

      – Voglio darti un consiglio. Ritorna indietro e porta i quattro zecchini al tuo povero babbo, che piange e si dispera per non averti più veduto.

      – Domani il mio babbo sarà un gran signore, perché questi quattro zecchini diventeranno duemila.

      – Non ti fidare, ragazzo mio, di quelli che promettono di farti ricco dalla mattina alla sera. Per il solito, o sono matti o imbroglioni! Dai retta a me[65], ritorna indietro.

      – E io invece voglio andare avanti.

      – L’ora è tarda!..

      – Voglio andare avanti.

      – La nottata è scura…

      – Voglio andare avanti.

      – La strada è pericolosa…

      – Voglio andare avanti.

      – Ricordati che i ragazzi che vogliono fare di capriccio, prima o poi se ne pentirono.

      – Le solite storie. Buona notte, Grillo.

      – Buona notte, Pinocchio, e che il cielo ti salvi dalla guazza e dagli assassini.

      Appena dette queste ultime parole, il Grillo-parlante si spense a un tratto e la strada rimase più buia di prima.

      14. Pinocchio, per non aver dato retta ai buoni consigli del Grillo-parlante, s’imbatte


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<p>58</p>

sul far della sera – под вечер

<p>59</p>

altro che – только

<p>60</p>

galletti di primo canto – молодые петушки

<p>61</p>

stiacceremo un sonnellino – вздремнем

<p>62</p>

strizzò l’occhio – подмигнул

<p>63</p>

allo spuntare del giorno – на восходе солнца

<p>64</p>

non ci si vedeva da qui a lì – абсолютно ничего не было видно

<p>65</p>

Dai retta a me – прислушайся к моим словам

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