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Il Dono Del Reietto. Mario MicolucciЧитать онлайн книгу.

Il Dono Del Reietto - Mario Micolucci


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un bargiglio la pelle molle sotto il mento.

      Prese una fiala, la pose sotto la canula e vi raccolse un po' di sangue nero del goblin. Si voltò, raggiunse quello che doveva essere una specie di tavolo alchemico, con tanto di alambicco fumante. Ricavò un piccolo piano di appoggio scansando un cumulo disordinato di contenitori e ingredienti. Poi, pose la fiala con il sangue di Djeek sotto un tubicino collegato all'attrezzatura. Si recò verso l'altro angolo della stanza ove era appeso il piccolo di umano; prese l'ampolla piena e la sostituì con una vuota in modo da evitare che il sangue venisse sprecato. Tornò, quindi, al banco per versarlo nell'alambicco, azionò alcune manopole e, tra sbuffi di vapori maleodoranti, uno strano siero risalì una serpentina vitrea per poi gocciolare nel sangue nero del goblin.

      La bizzarra creatura prese la fiala con delicatezza, la scosse lentamente per mescolarne il contenuto divenuto di colore rosso cupo, si voltò verso una piccola finestra e guardandola controluce, esultò: «Perfetto! Ora, vediamo se funziona.»

      Prese un grosso contenitore di vetro, si praticò un taglio sul polso e vi fece colare un copioso rivolo del suo sangue. Esso si presentava nero, ma risultava stranamente costellato da piccole gocce brillanti, come le stelle nel cielo notturno. Quando ne ebbe raccolto la quantità che riteneva opportuna, immerse, con una smorfia di dolore, il braccio leso in un calderone fumante e lo tirò fuori con la ferita cicatrizzata. Versò, quindi, una goccia del siero contenuto nella fiala in quella che conteneva il suo sangue, mescolò con una bacchetta di vetro, si sedette e attese. Dopo un po', le gocce luccicanti sembrarono moltiplicarsi. Djeek vide drizzarsi le penne sulla schiena della creatura che nel frattempo, incitava: «Dai! Forza! Ancora un po' ed è fatta!» Poco dopo, però, la parte nera risucchiò lentamente le piccole zone brillanti. «No! Maledetto Corrupto!» La fattucchiera emise un urlo acuto e straziante. Con una manata violenta, mandò il contenitore a frantumarsi contro la parete.

      Calò il silenzio e la creatura, mantenendosi la testa tra le mani piumate, si accasciò a terra disperata. Djeek ripiombò nel sonno poco dopo.

      Fu svegliato da una voce umana tonante che intimava: «Vieni fuori di lì abominio, perché possa mondare con il fuoco la tua oscena esistenza!» Subito dopo, si senti il sibilo di una carica di frecce incendiarie. Una di esse entrò dalla finestra e andò a infilzarsi sulla parete di legno che, però, non prese fuoco.

      «Sono Gavino, cacciatore di Streghe Scelto, al servizio di Sua Eccellenza Mansueto III Arcivescovo di Artenium e Grande Inquisitore. Vengo dal Pontificato in nome dell'unico Dio Katriel. Ho attraversato la Grande Palude insieme cinque delle migliori guardie della Curia per metterti al rogo. Non hai scampo, lurida creatura del Diavolo! Ti avverto, più tempo mi farai attendere, più lunga sarà la tua agonia tra le fiamme» continuò.

      «Bla, bla, bla...» lo schernì tra sé e sé la fattucchiera. «Ma questi fanatici idioti del Pontificato non hanno niente di meglio da fare che venire a scocciarmi nei momenti meno opportuni?»

      Un'altra carica di frecce si abbatté sulla capanna senza che l'incendiò appiccasse. Una freccia, però, entrando dalla finestra andò a trafiggere il piccolo umano appeso alla parete facendo trasalire la strega. «Ora, mi hanno davvero fatto arrabbiare! Quel piccolo era ancora nuovo, l'avrei potuto utilizzare per almeno altre dieci settimane! Maledetti!»

      In quello stesso istante, il cucciolo di groppalupo, vedendo minacciato anche il suo amico, si fiondò fuori dalla finestra con coraggiosa audacia. Djeek, nel tentativo di trattenerlo, scese barcollante dalla branda giusto in tempo per vederlo stramazzare a terra colpito da uno strale.

      Nel frattempo, la strega imprecava per aver perso la sua preziosa fonte di sangue puro. «Ora, tocca a me sparare!» sentenziò.

      Regolò alcune leve e manopole fissate a una parete e poi, con un secco fendente di una piccola lama, recise una corda tesa tra il soffitto e un anello metallico posto sul pavimento. In quello stesso istante, dal tetto della capanna, una catapulta scaraventò addosso agli assedianti una pioggia di ampolle che infrangendosi sulle loro splendenti armature prese a scioglierle e, con esse, le loro carni. Quella che si prospettò a Djeek fu una scena agghiacciante persino per un goblin. Tra urla di strazio disperate, gli uomini correvano e si rotolavano a terra cercando di togliersi di dosso le vesti con le mani ridotte a moncherini fumanti. Per loro non ci fu scampo: morirono, tra spasmi di dolore, divorati dall'acido.

      «Ecco fatto: tecnologia gnomica con un tocco di arte alchemica» mormorò la creatura piumata. «Spero che l'acido non li abbia rovinati troppo, potrei ricavare qualche ingrediente dai loro corpi a parziale risarcimento del danno che mi hanno arrecato.»

      Djeek si lanciò verso la finestra per raggiungere il suo piccolo amico agonizzante, ma un improvviso strattone al collo lo fece ricadere all'indietro: non si era accorto di essere stato legato a una trave con un guinzaglio. Con tranquillità ritrovata, la strega disse: «Penso io al tuo cucciolo. In fondo, potrebbe tornarmi utile: è stato il primo ad accorgersi dei visitatori.»

      Rientrò poco dopo, poggiò il lupo sulla branda dove era stato Djeek, estrasse la freccia, gli riempì la ferita con una mistura di erbe, poi vi versò del liquido preso dal calderone in cui aveva curato il suo braccio. «È prossimo alla morte, tuttavia tra qualche giorno si riprenderà.» diagnosticò.

      Dopo qualche gorgoglio e alcuni tentativi andati a vuoto, Djeek, finalmente riuscì ad articolare la lingua per farfugliare la domanda: «Ma tu, chi sei?»

      La strega, quasi sorpresa, rispose: «Che strano. Un goblin dotato di curiosità e che, per giunta, porta con sé un bastone catalizzatore. Invece di usare le tue misere energie per cercare di colpirmi alle spalle o fuggire, le utilizzi per fare domande. Veramente insolito...»

      Continuò: «Bene, piccoletto: io non so cosa sono ora. So che prima ero un cignano e so che se fallirò nelle mie ricerche, sarò un'arpia come tutti gli altri della mia razza... in quest'epoca e in questi luoghi, sono conosciuta come la Signora della Palude… o la Strega se preferisci.»

      «Cignano? Arpia?» ripeté Djeek interdetto.

      «Veramente insolito. Direi, quasi, che il tuo assomigli a interesse scientifico. Va bene, non so neanche perché perda del tempo con un goblin a raccontare la mia storia, ma penso che mi farà bene conversare con qualcuno. Sorprendentemente, ti stai rivelando un buon animaletto da compagnia: vuol dire che ti sopprimerò dopo.»

      La bizzarra creatura si mise comoda e cominciò a raccontare: «Molti, in Xantis, pensano che gli elfi di cristallo siano figli di Limpa, Dea della Purezza: si sbagliano! Essi non sono altro che creature originarie di questo mondo anche se, come dire, leggermente ritoccate dalla Dea per servirla meglio. I cignani sono la vera prole di Limpa: noi siamo stati direttamente generati dal suo Emissario, il Cigno di Cristallo.»

      «Il Cigno di Cristallo, solcò i cieli con una scia di polvere splendente

      Tutti gli elfi da essa investiti provarono sollievo e gioia: il loro aspetto mutò

      Crebbero in statura e in purezza, i capelli divennero rilucenti come i diamanti» citò Djeek, ricordando il Rito della Nascita.

      «Notevole...veramente notevole, mi chiedo se tu sia realmente un goblin. Il Cigno di Cristallo non è altro che un abitante di Càndore, il Mondo di Limpa. Esso è stato inviato in questa dimensione per permettere alla Grande Dea di contrastare Corrupto. Quello che questo canto non dice è che, prima dell'annichilimento, l'Emissario depose sette uova di diamante tra i ghiacci eterni dell'estremo nord: da esse, nacquero i primi cignani. Noi eravamo in tutto e per tutto suoi figli e quindi creature di Càndore, ma concepite per vivere in questo nuovo mondo. Un tempo, ero molto diversa da come mi vedi: come ora, avevo fattezze umanoidi, ma ero splendida e maestosa come un cigno. Il mio piumaggio era bianco, gli occhi splendevano come gioielli e le mie braccia, come ali candide attraverso le quali librarmi in volo. In quella remota epoca, il mio nome era Aliah.

      La nostra natura era limpida e inalterabile, nessuna malattia poteva deturparci, nulla poteva scalfire la nostra purezza, neanche il tempo poteva influire sulla nostra eterna giovinezza. Eravamo una stirpe forte e dotata di profonde conoscenze scientifiche e alchemiche grazie alle quali iniziammo un'opera di purificazione: le paludi divennero splendidi laghi; le foreste oscure,


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