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Il Peso dell’Onore . Морган РайсЧитать онлайн книгу.

Il Peso dell’Onore  - Морган Райс


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girarono stupiti e di nuovo calò il silenzio mentre tutti si fermavano per osservare il confronto.

      “Vattene dalla mia bottega!” ringhiò Fervil.

      Alec lo ignorò. Gli passò invece oltre portandosi al tavolo più vicino, raccolse una spada lunga, la sollevò e la esaminò.

      “È un tuo lavoro?” chiese.

      “E tu chi sei per permetterti di farmi domande?” chiese Fervil.

      “Si o no?” insistette Marco portandosi dalla parte dell’amico.

      “Sì, è mia,” rispose Fervil sulla difensiva.

      Alec annuì.

      “È una schifezza,” concluse.

      Nella stanza si udì un sussulto.

      Fervil si alzò in tutta la sua altezza guardandolo con espressione accigliata e livida.

      “Voi ragazzi ora potete andare,” ringhiò. “Tutti. Ho abbastanza fabbri qui.”

      Alec rimase al suo posto.

      “E nessuno vale niente,” ribatté.

      Fervil arrossì e si fece avanti con fare minaccioso. Marco mise una mano tra loro.

      “Ce ne andiamo,” disse.

      Alec improvvisamente abbassò la punta della spada a terra, sollevò un piede e con un colpo la spezzò a metà.

      Le schegge volarono ovunque lasciando tutti di stucco.

      “Una buona spada dovrebbe fare così?” chiese Alec con un sorriso ironico.

      Fervil gridò e si lanciò addosso ad Alec, ma quando gli fu vicino lui sollevò l’estremità appuntita della lama spezzata e lui si fermò di scatto.

      Gli altri ragazzi, vedendo il confronto, sguainarono le spade e accorsero per difendere Fervil, mentre Marco e i suoi amici si mettevano dalla parte di Alec. Tutti i ragazzi erano ora lì in posizione, uno di fronte all’altro in un teso momento di stallo.

      “Cosa stai facendo?” chiese Marco ad Alec. “Condividiamo tutti la stessa causa. Questa è una follia.”

      “È proprio per questo che non posso lasciarli combattere con della robaccia,” rispose Alec.

      Alec lanciò a terra la spada rotta e lentamente sguainò una spada lunga dalla sua cintura.

      “Questa l’ho fatta io,” disse a voce alta. “L’ho plasmata con le mie mani nella forgia di mio padre. Un lavoro la cui fattura non vedrai mai in giro.”

      Alec girò improvvisamente la spada, afferrò la lama e la porse dalla parte dell’elsa verso Fervil.

      In un teso silenzio Fervil abbassò lo sguardo, chiaramente non aspettandosi un gesto del genere. Afferrò l’elsa lasciando Alec indifeso e per in momento sembrò stesse pensando a colpire Alec con essa.

      Ma Alec rimase fermo, fiero e privo di paura.

      Lentamente il volto di Fervil si ammorbidì, chiaramente rendendosi conto che Alec si era reso indifeso e guardandolo ora con maggiore rispetto. Abbassò lo sguardo ed esaminò la spada. La soppesò tra le mani e la sollevò alla luce. Alla fine, dopo un lungo tempo, guardò nuovamente Alec, impressionato.

      “Lavoro tuo?” chiese con voce incredula.

      Alec annuì.

      “E posso forgiarne molte altre,” rispose.

      Si avvicinò e guardò Fervil con sguardo intenso.

      “Voglio uccidere i Pandesiani,” aggiunse. “E voglio farlo con armi vere.”

      Nella stanza c’era ora un denso silenzio. Alla fine Fervil scosse lentamente la testa e sorrise.

      Abbassò la spada e allungò una mano, che Alec afferrò. Lentamente tutti i ragazzi abbassarono le loro armi.

      “Suppongo,” disse Fervil con un largo sorriso, “che possiamo trovarti un posticino.”

      CAPITOLO OTTO

      Aidan camminava lungo la strada nel mezzo della foresta, allontanandosi quanto non aveva mai fatto, sentendosi completamente solo al mondo. Se non fosse stato per il suo cane selvatico che lo accompagnava, sarebbe stato disperato, privo di speranza. Ma Bianco gli dava forza, anche seriamente ferito com’era. Aidan gli accarezzava la corta pelliccia bianca. Entrambi zoppicavano, entrambi acciaccati dopo l’incontro con quel selvaggio conduttore del carro. Ogni passo che facevano provocava loro dolore mentre il cielo si faceva più buio. A ogni passo claudicante che Aidan faceva, giurava che se mai avesse posato di nuovo gli occhi su quell’uomo lo avrebbe ucciso con le sue stesse mani.

      Bianco mugolava accanto a lui e Aidan allungò una mano per accarezzargli la testa. Il cane era alto quasi quanto lui, più una bestia selvatica che un cane. Aidan gli era grato non solo per la sua compagnia, ma anche per il fatto che gli aveva salvato la vita. Aveva salvato Bianco perché qualcosa dentro di lui non gli avrebbe permesso di voltargli le spalle e andarsene, e in cambio aveva ricevuto in ricompensa la sua vita stessa. Avrebbe rifatto tutto di nuovo, anche se sapeva che questo significava trovarsi ora piantato là fuori, nel mezzo del nulla, alle prese con fame e morte. Nonostante tutto ne valeva la pena.

      Bianco piagnucolò ancora e anche Aidan iniziò a sentire le fitte allo stomaco per la fame.

      “Lo so, Bianco,” gli disse. “Anche io ho fame.”

      Aidan abbassò lo sguardo per osservare le ferite di Bianco, ancora fresche di sangue, e scosse la testa sentendosi orribile e inutile.

      “Farei qualsiasi cosa per aiutarti,” disse. “Mi piacerebbe sapere come.”

      Si chinò e lo baciò sulla testa, tra il pelo morbido. Bianco chinò la testa contro la sua. Era l’abbraccio di due individui che percorrevano insieme un cammino di morte. I versi di creature selvagge si levarono producendo una vera e propria cacofonia nella foresta che si faceva più buia e Aidan sentì che le sue piccole gambe gli facevano male, sentì di non poter andare molto oltre, sentì che sarebbero morti lì. Erano ancora distanti intere giornate da qualsiasi posto e con la notte che calava si trovavano ad essere vulnerabili. Bianco, ferito com’era, non era in forma per combattere contro niente e Aidan, disarmato e ferito, non era certo da meglio. Non passavano carri da ore e Aidan sospettava che non l’avrebbero fatto per giorni.

      Aidan pensò a suo padre che si trovava là fuori da qualche parte e sentiva di averlo tradito. Se stava per morire, sperava almeno di poterlo fare da qualche parte al fianco di suo padre, combattendo per una buona causa. Oppure a casa, nel conforto di Volis. Non lì da solo, nel mezzo del nulla. Ogni passo sembrava trascinarlo più vicino alla morte.

      Aidan rifletteva sulla sua breve vita fino a quel momento, considerando tutte le persone che aveva conosciuto e amato, suo padre e i suoi fratelli, e soprattutto sua sorella Kyra. Pensò a lei, si chiese dove fosse in quel preciso momento, se avesse attraversato Escalon, se fosse sopravvissuta al viaggio verso Ur. Si chiedeva se lei mai pensasse a lui, se sarebbe stata fiera di lui in quel momento, mentre lui cercava così assiduamente di seguire i suoi passi, anche lui nel tentativo di attraversare Escalon per la sua strada, per aiutare suo padre e la sua causa. Si chiese se avrebbe mai vissuto abbastanza per diventare un grande guerriero e provò una profonda tristezza al pensiero di non rivederla mai più.

      Aidan si sentiva sprofondare a ogni passo che faceva e non c’era molto che potesse fare eccetto cedere alle sue ferite e all’estrema stanchezza. Procedendo sempre più lentamente guardò versò Bianco e vide che anche lui trascinava le zampe. Presto avrebbero dovuto sdraiarsi e riposare su quella strada, andasse come andasse. Era un’idea spaventosa.

      Aidan pensò di aver udito qualcosa, inizialmente debole. Si fermò e tese l’orecchio mentre anche Bianco si immobilizzava guardandolo con espressione interrogativa. Aidan sperava e pregava. Aveva le traveggole?

      Poi lo sentì di nuovo. Questa volta ne era certo. Un cigolio di ruote. Di legno. Di ferro. Era un carro.

      Aidan si voltò con il cuore che perse quasi un battito mentre strizzava gli occhi per vedere nella penombra. Poi, lentamente e con sicurezza,


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