La Macchina Per Scrivere. Andrea LepriЧитать онлайн книгу.
«Non mollare adesso. Avanti, metti su l’altra mano. Tieni duro altri due minuti, per favore. Due minuti soltanto, che ti costa? Ehy, sto parlando con te!» prova comunque a insistere il pompiere.
La mano di Franco, sudata, scivola improvvisamente giù per una ventina di centimetri. La sua discesa si ferma solo quando il polso urta il corrente orizzontale della ringhiera e un “oooohhhh” ansioso sale dal cortile fino alle sue orecchie. Un rivolo di sangue tiepido gli scende lentamente lungo l’avambraccio, arrivato al gomito una goccia stilla e gli cade sulla guancia, richiamandolo improvvisamente alla realtà. Per un attimo lui guarda verso il basso e subito dopo scruta con occhi inespressivi il pompiere, che giurerebbe di aver visto un lampo di paura attraversare i suoi occhi. Come se fosse la cosa più semplice del mondo, Franco dà un colpo di reni e si issa, scavalca la ringhiera e in un attimo si trova di nuovo sul terrazzo. Il fragore di un prolungato applauso liberatorio esplode all’istante dal basso, il Vigile del Fuoco si strofina gli occhi, confuso.
«Sei grande!» gli grida subito dopo, sconcertato. «Ora per favore non fare cazzate. Vai ad aprire la porta, i miei compagni verranno a prenderti e ti porteranno via da lì. Mi senti? Qualsiasi sia il tuo problema lo risolveremo insieme» fa per aggiungere, ma le ultime parole gli muoiono in gola perché la macchina per scrivere gli manda dritto negli occhi un riflesso così intenso da abbagliarlo. Franco entra in casa e si dirige verso la porta d’ingresso, ma giunto davanti alla macchina per scrivere si ferma. Sembra riflettere per qualche attimo, poi, anziché andare ad aprire la porta agli uomini che stavano correndo su per le scale, impila con cura un altro po’ dei fogli dattiloscritti sparsi sulla scrivania. Li raccoglie e torna sul terrazzo, come se niente fosse.
«E ora cosa diavolo vuoi fare?» gli domanda in tono incerto il pompiere vedendo che si sta di nuovo avvicinando al parapetto. «Torna dentro, per amor di Dio! Ti ho detto che stiamo venendo a prenderti, siamo qui per aiutarti. Torna dentro… oh, maledizione! Tu sei tutto matto!» urla spazientito scalciando per la stizza, prima di riprendere a imprecare verso i colleghi che stanno ancora lavorando a quella puleggia. Intanto Franco è tornato a sedersi a cavalcioni della ringhiera, adesso scorre velocemente le pagine del romanzo e lascia cadere giù quelle che ha già letto. Un improvviso prurito al ginocchio attira la sua attenzione, si gratta e sente una crosta sotto le dita.
E questo graffio come me lo sono fatto? si domanda, un attimo dopo gli torna a mente.
Ricorda la fuga dall’ospedale, la vista che lo abbandonava di nuovo e l’urto contro un passante, un vetro conficcato nel ginocchio e il dolore spaventoso. Ricorda i propri occhi che cercano di mettere a fuoco, ridotti a due piccole fessure. E quell’uomo in camice bianco che si avvicina gridando ai passanti di fermarlo, e la gente curiosa che osserva tenendosi a distanza. Si è quasi arreso, l’aria che respirava è troppo poca e troppo calda, le gambe troppo pesanti. Proprio quando è sul punto di cedere vede un prato, allora alza e ricomincia a correre su quel soffice tappeto verde. Il suono di un’altra sirena lo riporta al presente, si stringe nelle spalle e riprende a leggere, sillabando.
CAPITOLO VII (IL LICENZIAMENTO)
«Buongiorno, signor Dini.»
«Buongiorno? Altro che buongiorno, disgraziato! Mi hai lasciato qui da solo proprio ieri che arrivavano i fornitori, ho passato la giornata a scaricare bancali su bancali… hai la minima idea di che inferno sia stato?»
Carpetti sapeva che il principale avrebbe certamente trovato da ridire circa la sua assenza del giorni prima, magari per sfruttarla come pretesto per togliergli qualche spicciolo dallo stipendio o per chiedergli qualche prestazione extra, ovviamente gratis. Gli venne da pensare che se stava recitando la solita parte si era preparato a dovere, non l’aveva mai visto così alterato.
Ricordati che devi lavorare! pensò tra sé ancora una volta, poi rispose.
«L’avevo avvisata che ieri dovevo andare dal dottore…»
«Non me ne frega un fico secco di ciò che avevi da fare, ho dovuto prendere una persona che ti sostituisse e ho dovuto pagarla, e quei soldi li detrarrò dalla tua paga» replicò l’altro, come previsto.
«Ma non è giusto, i permessi sono un mio diritto. In tanti anni non ne ho mai preso uno.»
A quel punto il principale finse di andare su tutte le furie. Aveva usato da sempre questa strategia con lui, fare in modo che si sentisse un inetto: avrebbe lavorato molto e avrebbe avuto poche pretese.
«Tu qui non hai diritto proprio a niente, hai capito?» gli gridò in faccia l’altro senza notare che le sopracciglia di Carpetti si stavano lentamente abbassando mentre le sue labbra si increspavano. «Ti faccio già un favore a farti lavorare!» continuò a sbraitare il signor Dini, i colleghi di Carpetti si fermarono tutti quanti e si avvicinarono per godersi la scena.
Devo lavorare si ripeté lui per l’ennesima volta, ma intanto la sua mente aveva cominciato a ripensare a tutte le volte che quell’uomo lo aveva vessato, a tutti gli straordinari non pagati cui lo aveva costretto, alle ferie negate e a molte altre cose.
Devo lavorare provò a convincersi una volta di più, ma proprio in quell’istante l’altro gli gettò addosso la sua cappa azzurra da lavoro, che gli rimase appesa sulla testa a coprirgli la faccia. I colleghi esplosero in un coro di sghignazzi.
«E ora al lavoro, fila» gli ordinò Dini per tagliare corto.
Senza dire una parola Carpetti tolse via la cappa azzurra e la lasciò cadere a terra, poi afferrò il signor Dini per il colletto della camicia e lo tirò a sé. Lo guardò dritto negli occhi, da molto vicino.
«Dammi tutto ciò che mi spetta. Subito» ringhiò, l’altro lo guardò incredulo.
«Ma come,» rispose disorientato dalla sua reazione, «te la prendi così dopo anni che lavoriamo gomito a gomito? Come ti ho detto ieri è stata una giornata infernale, e allora…»
«Non lo ripeterò» lo interruppe Carpetti, stringendo un po’ di più la presa. «Voglio tutto quello che mi spetta, e lo voglio adesso!»
In pochi istanti aveva fatto due calcoli, il risultato cui era giunto era che la sua dignità non aveva prezzo. Il denaro che avrebbe riscosso, tra arretrati e liquidazione, gli avrebbe permesso di giungere dignitosamente alla fine. E forse, con qualche sacrificio, anche di comprarsi le medicine per un po’di tempo… anche se sospettava che questo sarebbe servito soltanto ad allungare la sua agonia. Il signor Dini era davvero spaventato, tirò fuori il libretto degli assegni da una tasca e cominciò a compilarne uno con mano tremante.
«Tieni, la ragioniera farà i conti ma questa cifra dovrebbe coprire tutto. E comunque, lo sai che per te qui c’è sempre posto. Se dovessi ripensarci…»
«Se ripenso che mi hai gettato la cappa in faccia torno qui e spacco tutto!» replicò Carpetti guardandolo torvo, poi si incamminò verso l’uscita.
«Avete visto tutti quanti, non è vero? Lo avete visto come mi ha aggredito… ma io lo denuncio, lo rovino!» disse il signor Dini agli altri dipendenti, mentre si allontanava Carpetti lo sentì gridare. E nonostante tutto, per quanto di divertente non ci fosse proprio nulla, per la prima volta dopo tanto tempo si sorprese a sorridere.
Bene, la sua prima piccola rivincita il nostro Carpetti l’ha avuta! Adesso sarà sorpreso di come sia stato facile, di come sia stato sufficiente tirare fuori l’orgoglio. E questa cosa gli darà una sensazione gradevole, che gli farà bene ma lo spaventerà un po’ perché non ci è abituato! Finora ha scelto di vivere come in una bolla di sapone, delicata e facile a rompersi ma abbastanza forte da tenerlo al riparo dalle emozioni e dal Mondo, e tanto leggera da poterlo portare poco più in là con un semplice soffio quando una certa situazione non gli piaceva. E quella bolla di sapone l’ha sempre tenuto lontano dai grandi guai e dai grandi rischi, ma di contro anche dalle soddisfazioni, piccole o grandi. Ma se io fossi lui, adesso che cosa farei? Non lo so, non lo so proprio… comunque ora devo cominciare a dargli un po’ d’azione, a questo racconto, a scuoterlo un po’, altrimenti scrivendolo mi addormenterò! Eppure,