Sala Operativa . Джек МарсЧитать онлайн книгу.
Susan, sarebbe tornata in California per prepararsi per l’anno scolastico. Li avrebbe persi ancora, ma era solo una perdita temporanea, e averli lì era stato fantastico. Così fantastico che aveva quasi paura di pensarci.
“A cosa stai pensando?” disse Pierre.
Erano sul letto grande della camera padronale. La luce del mattino filtrava dalle finestre affacciate a sudest. Susan teneva la testa sul suo petto nudo, col braccio attorno alla sua vita. Era gay, e allora? Era suo marito, e il padre delle sue due figlie. Lo amava. Avevano condiviso tantissimo insieme. E quello, la domenica mattina, era il loro momento di tranquillità.
Le ragazze, in quanto gemelle, stavano entrando negli anni dello stare alzate fino a tardi. Sarebbero rimaste a letto fino a mezzogiorno se Pierre e Susan glielo avessero permesso. Diamine, anche Susan sarebbe rimasta a letto, non fosse stato per il dovere. Quello del presidente degli Stati Uniti era un lavoro sette giorni su sette, con poche ore di pigrizia la domenica mattina.
“Sto pensando che sono felice,” disse. “Per la prima volta dal sei giugno, sono felice. È stato fantastico avervi qui. Proprio come ai vecchi tempi. E, con tutto quello che è successo, mi pare finalmente di riuscire a gestire questa cosa della presidenza. Non pensavo che ne sarei stata capace, ma invece è così.”
“Ti sei indurita,” disse Pierre. “Sei diventata più cattiva.”
“È un male?” disse.
Scosse la testa. “No, non è per niente un male. Sei maturata molto. Eri ancora una ragazza quand’eri vicepresidente.”
Susan annuì di fronte a quella verità. “Ero una ragazzetta.”
“Sicuro,” disse. “Ti ricordi di quando Mademoiselle ti ha fatto quell’articolo mentre facevi jogging con quei pantaloncini yoga arancione brillante? Molto sexy. Ma all’epoca eri la vicepresidente degli Stati Uniti. Sembrava un po’… informale, possiamo dire così?”
“È stato divertente fare la vicepresidente. Mi piaceva davvero un sacco.”
Lui annuì e rise. “Lo so. Ho visto.”
“Ma poi le cose sono cambiate.”
“Sì.”
“E non possiamo tornare indietro,” disse.
Abbassò lo sguardo su di lei. “Lo vorresti, se potessi?”
Lei ci pensò, ma solo per un secondo. “Se tutte quelle persone potessero essere ancora vive, quelle che hanno perso la vita a Mount Weather, rimetterei il lavoro a Thomas Hayes in un battito di ciglia. In caso contrario, no. Non tornerei indietro. Ho ancora un paio di anni prima di decidere se candidarmi per la rielezione. Mi pare che la gente stia cominciando a sostenermi, e se ottengo un altro mandato penso che faremo cose davvero fantastiche.”
Lui sollevò le sopracciglia. “Un altro mandato?”
Rise. “Ne parliamo un’altra volta.”
Allora suonò il telefono. Susan si allungò per prenderlo, sperando che fosse qualcosa di insignificante.
Non era mai qualcosa di insignificante.
Era il suo nuovo capo dello staff, Kat Lopez. Susan ne riconobbe la voce immediatamente. E, subito, non le piacque il suo tono.
“Susan?”
“Ciao, Kat. Lo sai che non sono neanche le otto di domenica, vero? Persino Dio ha riposato un giorno la settimana. Hai il permesso di farlo anche tu.”
Il tono di Kat era serio. In generale Kat non era altro che seria. Era una donna, era un’ispanica, e aveva lottato per arrivare in cima partendo da umili origini. Non era arrivata fin lì a suon di sorrisi. Susan pensava che fosse un peccato. Kat era super competente. Ma aveva anche un viso davvero molto carino. Non le avrebbe fatto male sorridere ogni tanto.
“Susan, una grossa diga si è rotta in una remota zona occidentale della Carolina del Nord. I nostri analisti dicono che potrebbe trattarsi di un attentato terroristico.”
Susan sentì la familiare accoltellata di terrore. Era una cosa di quel lavoro a cui non si sarebbe mai abituata. Era una cosa della sua nuova vita che non avrebbe augurato neanche al suo peggior nemico.
“Vittime?” disse.
Vide lo sguardo negli occhi di Pierre. Quello era il lavoro. Quello era l’incubo. Appena un minuto prima aveva spensieratamente preso in considerazione l’idea di candidarsi per un altro mandato.
“Sì,” disse Kat.
“Quante?”
“Nessuno lo sa, per il momento. Verosimilmente centinaia.”
Susan sentì l’aria uscirle dai polmoni come da una gomma appena squarciata.
“Susan, un gruppo si sta raccogliendo in questo momento in sala operativa.”
Susan annuì. “Scendo tra quindici minuti.”
Riappese. Pierre la stava fissando.
“Va male?” disse.
“Quand’è che non va male?”
“Okay,” disse. “Fa’ quello che devi. Io mi occupo delle ragazze.”
Susan era in piedi diretta alla doccia quasi prima che finisse di parlare.
CAPITOLO TRE
10:23
Perpendicular Trail, Southwest Harbor, parco nazionale di Acadia, Maine
“Come te la cavi, mostriciattolo?”
“Bene, papà.”
Luke Stone e suo figlio Gunner salivano lenti i ripidi gradini irregolari del sentiero. Era una mattinata umida, calda e che sarebbe diventata ancora più calda, e Luke era consapevole che Gunner aveva solo dieci anni. Affrontavano la montagna lentamente, e Luke si assicurava di fermarsi per pause frequenti e per bere.
Continuavano a salire attraverso l’enorme campo morenico. Le rocce massicce erano disposte in modo intricato per creare una scalinata tortuosa, quasi bizantina, come se un dio norreno dei fulmini fosse sceso dai cieli per intagliarle con le sue gigantesche mani. Luke sapeva che le rocce erano state piazzate lì da giovani disoccupati strappati alle città della East Coast dal Civilian Conservation Corps un’ottantina di anni prima, nelle profondità della grande depressione.
Ancora un po’ più su arrivarono su dei pioli di ferro imbullonati alla roccia. Salirono la scala, poi percorsero un tracciato a tornanti intagliato nel masso. Ben presto il sentiero tornò piano ed entrarono in una fitta foresta, prima di un’arrampicata finale fino al panorama della sommità. Uscirono dalla salita sulle rocce.
Proprio davanti a loro c’era un burrone scosceso, probabilmente profondo cinquanta piani, che si tuffava su un gran precipizio che arrivava al grande lago dove avevano parcheggiato. Più oltre il posto offriva una maestosa vista dell’oceano Atlantico, a forse cinque miglia di distanza.
“Che ne dici, mostriciattolo?”
Gunner era sudato per il caldo della giornata. Sedette su una roccia, si sfilò lo zaino e ne prese una bottiglia d’acqua. La sua t-shirt nera di Zombi era zuppa di sudore. Aveva i capelli biondi arruffati. Prese un sorso dalla bottiglia e la porse a Luke. Era un ragazzino sicuro di sé.
“È meravigliosa, papà. Mi piace davvero.”
“Voglio darti una cosa,” disse Luke. “Avevo deciso di aspettare finché non saremmo arrivati in cima alla montagna. Non so perché. Ho solo pensato che sarebbe stato un bel posto, questo.”
Gunner sembrava solo leggermente allarmato. Gli piaceva ricevere regali, ma, in termini generali, preferiva quelli che aveva chiesto lui.
Luke prese il dispositivo dalla tasca. Era solo un pezzettino di plastica nera, grande circa quanto una chiave elettronica.