Contro Ogni Nemico . Джек МарсЧитать онлайн книгу.
A Susan non era importato granché. Si stava divertendo a essere la vicepresidente, e David Halstram – il capo di gabinetto di Thomas – si assicurava che l’agenda di lei rimanesse piena di eventi lontani dal presidente.
Però quel giorno David le aveva chiesto di prendere un aereo per recarsi al fianco del presidente. Gli indici di gradimento di Thomas erano precipitati in una voragine, e il presidente della Camera aveva appena richiesto il suo impeachment. Era sotto assedio, tutto perché non voleva entrare in guerra con l’Iran. Certo, lo speaker era Bill Ryan, uno dei leader del colpo di stato, che in quel momento si trovava in una prigione federale, a prepararsi per essere trasferito nel braccio della morte.
Ricordò lei e Thomas esaminare una mappa del Medio Oriente proprio in quell’ufficio. Non parlavano di niente, chiacchieravano solo di questo o di quello. Era solo un’occasione per una foto, non un vero e proprio meeting strategico.
Improvvisamente, si erano precipitati dentro due uomini.
“FBI!” aveva urlato uno dei due. “Ho un messaggio importante per il presidente.”
Uno degli uomini era l’agente Luke Stone.
La sua vita era cambiata in un istante, e da allora non era più tornata normale. La sua vita precedente poteva anche non tornare mai più, rifletté. Il suo matrimonio era quasi stato distrutto dallo scandalo. Sua figlia era stata rapita. Susan era invecchiata di dieci anni in sei mesi, mentre resisteva a un attacco terroristico o politico dopo l’altro.
Adesso doveva affrontare il sonno in quella vecchia casa piena di spifferi, da sola. Avevano speso un miliardo di dollari per rinnovare quel posto, e lei lì non voleva viverci. Mmm. Avrebbe dovuto parlarne con Kat, o con qualcuno.
“Susan?”
Alzò lo sguardo. Era Kurt Kimball. La sua apparizione improvvisa la riportò di colpo alla realtà. Kurt era alto e ampio, con una testa tonda e liscia come una palla da biliardo. Gli occhi erano luminosi e attenti. Era il ritratto della vitalità e della salute a cinquantatré anni. Era una di quelle persone che pensavano che i cinquanta fossero i nuovi trenta. Finché non era diventata presidente, Susan era stata d’accordo con lui. Adesso non ne era così sicura. Era lei stessa a poco meno di mezzo secolo. Se le cose continuavano così, per quando ci fosse arrivata i cinquanta sarebbero stati i nuovi sessanta.
“Ciao di nuovo, Kurt.”
“Susan, c’è l’agente Stone. Ieri notte ha parlato con Don Morris, in Colorado. Pensa di avere un’informazione che vogliamo sentire. Non ci ho ancora parlato, ma i miei dicono che è rimasto coinvolto in un incidente quando stamattina presto è tornato a Washington.”
“Un incidente? Che significa?” Non suonava bene. Però, d’altronde, quando mai l’agente Stone non rimaneva coinvolto in un incidente?
“C’è stata una sparatoria a Georgetown. Due uomini in un furgone apparentemente hanno cercato di ucciderlo. Luke ne ha ucciso uno. L’altro è fuggito.”
Susan fissò Kurt. “La cosa è legata a Don Morris?”
Kurt scosse la testa. “Non lo sappiamo. Però è accaduto a due isolati dall’appartamento di Trudy Wellington. La Wellington è scomparsa, come sa, ma pare che Stone sia andato al suo appartamento non appena atterrato dopo la visita a Morris. È tutto molto… inusuale.”
Susan fece un respiro profondo. Stone le aveva salvato la vita più di una volta. Aveva salvato sua figlia dai rapitori. Aveva salvato infinite vite durante la crisi del virus Ebola, e durante la crisi con la Corea del Nord. Aveva fatto al mondo un favore e aveva assassinato il dittatore della Corea del Nord, mentre era lì. Era una risorsa inestimabile per l’amministrazione di Susan. Inoltre, era l’arma segreta di Susan. Ma era anche instabile, era violento, e sembrava farsi coinvolgere da cose da cui non si sarebbe dovuto far coinvolgere.
“Comunque,” disse Kurt. “Lo abbiamo qui, e deve fare rapporto. Penso che dovremmo fare subito il rodaggio della nuova sala operativa e chiamarlo.”
Susan annuì. Era quasi un sollievo aver qualcosa in cui affondare i denti. La sala operativa lì alla Casa Bianca era uno spazio dedicato, nulla in confronto alla sala conferenze adattata che avevano usato all’Osservatorio navale. Era un centro di comando totalmente rinnovato e aggiornato, con le ultime stregonerie in fatto di alta tecnologia. Avrebbe espanso tremendamente le loro capacità strategiche – o così le avevano detto.
L’unico problema? Era sottoterra, e a Susan piacevano le finestre.
“Dammi qualche momento per cambiarmi, okay?” Susan indicò l’elegante abito di marca unico nel suo genere che indossava. “Non so se questa cosa va bene per una riunione dell’intelligence.”
Kurt sorrise. Fece un po’ scena, e la squadrò dall’alto in basso.
“Na. Suvvia. Ha un aspetto magnifico. La gente resterà colpita – dritta dalla consacrazione e subito al lavoro.”
* * *
Luke scese in ascensore con una folla di gente in giacca e cravatta, giù alla sala operativa. Era stanco – aveva trascorso due ore parlando con i poliziotti di Washington, DC, poi si era fatto qualche ora di sonno intermittente. Si era perso completamente la cerimonia di consacrazione.
Cose come la ricostruzione della Casa Bianca e la sua riapertura non erano proprio nella sua testa. Aveva appena fatto caso al posto, o alle folle che facevano ooh e aah dappertutto. Era perso in una foresta di pensieri oscuri – su se stesso e la sua vita, su Becca e Gunner, e su Don Morris, le sue scelte e alla fine a cui era giunto. Luke aveva anche ucciso un uomo la notte precedente, e ancora non aveva idea del perché.
L’ascensore si aprì nella sala operativa a forma di uovo. Era più piccola e più angusta dell’ex sala conferenze che avevano usato all’Osservatorio navale. Era anche meno arrangiata, meno imbastita alla meglio. Quel luogo sembrava il modulo di comando di una nave spaziale di Hollywood. Era organizzato per il massimo uso dello spazio, con ampi schermi incassati nei muri ogni qualche metro, e uno schermo di proiezione gigantesco sul muro in fondo alla fine del tavolo. Tablet e microfoni a scomparsa sorgevano da slot che uscivano dal tavolo da conferenze – potevano essere rimessi all’interno del tavolo se il partecipante voleva usare un dispositivo proprio.
Ciascuna sfarzosa sedia in pelle al tavolo era occupata – per lo più da menti di mezz’età e sovrappeso. I posti lungo i muri erano pieni di giovani assistenti e assistenti persino più giovani, la maggior parte dei quali scriveva messaggi sui tablet, o parlava al telefono.
Susan Hopkins sedeva su una sedia al posto a capotavola più vicino della tavola oblunga. All’altro capo se ne stava in piedi Kurt Kimball, il consigliere per la sicurezza nazionale di Susan. I soliti sospetti, spaparanzati, occupavano i posti tra di loro.
Kurt notò Luke entrare e batté le grosse mani. Fece il suono di un pesante libro che veniva lasciato cadere su un pavimento di pietra. “Ordine, tutti quanti! In ordine, per favore.”
Il luogo si calmò. Qualche assistente continuò a parlare lungo la parete.
Kurt batté di nuovo le mani.
CLAP. CLAP.
Nella stanza si fece un silenzio di morte.
“Salve, Kurt,” disse Luke. “Mi piace il vostro nuovo centro di comando.”
Kurt annuì. “Agente Stone.”
Susan si voltò verso Luke e si strinsero le mani. La grossa mano di Luke ingoiava la sua, minuscola. “Signora presidente,” disse. “Bello rivederti.”
“Benvenuto, Luke,” disse. “Che cos’hai per noi?”
Guardò Kurt. “È pronto per il mio rapporto?”
Kurt si strinse nelle spalle. “È per questo che siamo qua. Se non fosse per lei, saremmo tutti di sopra a goderci i festeggiamenti.”
Luke annuì. Era stata una giornata lunga, ed era ancora presto. Voleva finire quella cosa e andarsene nella casa in campagna