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Un’Impresa da Eroi . Морган РайсЧитать онлайн книгу.

Un’Impresa da Eroi  - Морган Райс


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Firth, suo consigliere in affari interni alla corte, un uomo magro con i capelli corti e grigi ed occhi infossati che non stavano mai fermi. Era un uomo per il quale MacGil non aveva mai provato una particolare fiducia, non aveva neanche mai capito quale fosse il suo titolo. Ma suo padre, ed il padre di suo padre prima di lui, tenevano un consigliere per affari di corte, e quindi lui l’aveva mantenuto per rispetto nei loro confronti. C’era Owen, il suo tesoriere; Bradaigh, suo consigliere negli affari esterni; Earnan, il suo esattore delle tasse; Duwayne, suo consigliere sulle masse; e Kelvin, il rappresentante dei nobili.

      Ovviamente il Re aveva autorità assoluta. Ma il suo era un regno liberale, e i suoi predecessori erano sempre stati orgogliosi di permettere alla nobiltà di avere voce in ogni questione per mezzo di un loro rappresentante. Storicamente l’equilibrio di potere tra la regalità e la nobiltà non era mai stato cosa facile. Ora c’era armonia, ma in altri tempi si erano verificate insurrezioni e lotte di potere tra i nobili e la famiglia reale. Quello attuale era un buon equilibrio.

      Osservando la stanza e i presenti, MacGil notò che mancava una persona, proprio l’uomo con il quale desiderava parlare di più. Argon. Come al solito, quando e dove sarebbe apparso non era prevedibile. Questo faceva infuriare MacGil a non finire, ma non c’era altra scelta che accettare la situazione. I modi dei druidi erano imperscrutabili per lui. Senza la sua presenza, MacGil sentì la necessità di concludere ancora più in fretta. Voleva portare a termine quella formalità e fare le altre mille cose che gli spettavano prima del matrimonio.

      Il gruppo di consiglieri sedeva di fronte a lui, attorno al tavolo semicircolare, a dieci piedi l’uno dall’altro, ognuno di loro seduto su una sedia di quercia antica con braccioli di legno decorati da elaborati intarsi.

      “Mio signore, se posso cominciare,” prese la parola Owen.

      “Permesso concesso. E falla breve. Ho i tempi stretti oggi.”

      “Vostra figlia riceverà una grande quantità di doni oggi, che speriamo staranno tutti nei suoi forzieri. Le migliaia di persone che rendono omaggio presentando doni personalmente a voi, e riempiono i nostri bordelli e le nostre taverne, daranno pure un contributo a colmare le casse. Ciononostante i preparativi per le celebrazioni di oggi consumeranno buona parte del tesoro reale. Consiglio quindi un aumento delle tasse sulla popolazione e sui nobili. Una tassa una tantum, per alleviare la pressione generata da questo grande evento.”

      MacGil scorse la preoccupazione sul volto del suo tesoriere, e lo stomaco gli si strinse al pensiero che il tesoro reale potesse esaurirsi. Tuttavia non aveva intenzione di aumentare ancora le tasse.

      “Meglio avere un tesoro povero e dei sudditi leali,” rispose MacGil. “La nostra ricchezza deriva dalla felicità dei nostri sudditi. Non possiamo pretendere di più.”

      “Ma mio signore, se non…”

      “Ho deciso. Altro?”

      Owen si arrese, mortificato.

      “Mio Re,” disse Brom con la sua voce profonda. “Secondo i vostri ordini abbiamo posizionato la maggior parte delle nostre forze all’interno della corte per l’evento di oggi. L’esibizione di potere sarà impressionante. Ma ci diramiamo a breve raggio. Se dovesse verificarsi un attacco da qualche altra parte del regno, risulteremmo vulnerabili.”

      MacGil annuì, soppesando la questione.

      “I nostri nemici non ci attaccheranno mentre gli stiamo dando da mangiare.”

      Gli uomini risero.

      “E che novità ci sono dall’Altopiano?”

      “Non ci sono notizie di alcuna attività da settimane. Pare che le loro truppe siano rimaste in basso per i preparativi per il matrimonio. Forse sono pronti per la pace.”

      MacGil non ne era certo.

      “Questo può significare che l’organizzazione del matrimonio ha funzionato, oppure che aspetteranno di attaccarci in un altro momento. Quale pensi sia la risposta giusta, vecchio mio?” chiese MacGil, rivolgendosi a Aberthol.

      Aberthol si schiarì la voce, che uscì roca: “Mio signore, vostro padre, e il padre di vostro padre prima di lui, non si sono mai fidati dei McCloud. Il semplice fatto che stiano dormendo, non significa che non si sveglieranno.”

      MacGil annuì, apprezzando la schiettezza.

      “E da parte della Legione?” chiese, rivolto a Kolk.

      “Oggi abbiamo dato il benvenuto alle nuove reclute,” rispose Kolk con un rapido cenno della testa.

      “Anche mio figlio tra di loro?” chiese MacGil.

      “Ha preso fieramente il suo posto tra di loro, e si tratta per certo di un ragazzo in gamba.”

      MacGil annuì, poi si rivolse a Bradaigh.

      “E cosa si dice oltre il Canyon?”

      “Mio signore, le nostre pattuglie hanno visto maggiori tentativi di attraversare il Canyon nelle ultime settimane. Potrebbe significare che le Terre Selvagge si stanno preparando per un attacco.”

      Un sussurro sommesso serpeggiò fra gli uomini. A quel pensiero MacGil sentì lo stomaco che gli si stringeva. Lo scudo di energia era invincibile, tuttavia aveva un cattivo presentimento.

      “E cosa succederebbe se di dovesse verificare un attacco in piena regola?” chiese.

      Fintanto che lo scudo è attivo non abbiamo nulla da temere. Le Terre Selvagge non riescono ad oltrepassare il Canyon da secoli. Non c’è ragione di pensare che possano farcela ora.

      MacGil non si sentiva così sicuro. Un attacco dall’esterno non si verificava da tempo e non poteva fare a meno di chiedersi quando sarebbe potuto succedere.

      “Mio signore,” disse Firth con voce nasale, “sento l’obbligo di aggiungere che oggi la nostra corte è piena di dignitari del regno di McCloud. Sarebbe interpretato come un insulto da parte vostra se non vi intratteneste con loro, rivali o no. Consiglierei di utilizzare le vostre ore pomeridiane per salutarli tutti. Hanno portato un grande seguito, molti doni e, gira voce, anche molte spie.”

      “Chi ci dice che le spie non siano già qui?” ribatté MacGil guardando con attenzione Firth, mentre poneva la domanda, e chiedendosi, come sempre, se potesse essere proprio lui una di quelle.

      Firth aprì la bocca per rispondere, ma MacGil sospirò e sollevò il palmo della mano: ne aveva avuto abbastanza. “Se è tutto, ora me ne vado per partecipare al matrimonio di mia figlia.”

      “Mio signore,” disse Kelvin schiarendosi la voce, “ovviamente c’è un’altra cosa. La tradizione, nel giorno del matrimonio della vostra primogenita. Ogni MacGil ha nominato un successore in questo giorno. Il popolo si aspetterà che voi facciate altrettanto. Sono in fermento. Non è consigliabile lasciarli a bocca asciutta. Soprattutto con la Spada della Dinastia ancora immobile.”

      “Dovrei nominare un erede mentre sono ancora al trono?” chiese MacGil.

      “Mio signore, non intendo offendere sua maestà,” balbettò Kelvin, preoccupato.

      MacGil alzò una mano. “Conosco la tradizione. E in effetti, nominerò qualcuno oggi.”

      “Potrebbe informarci su chi sarà?” chiese Firth.

      MacGil lo fissò, seccato. Firth era un pettegolo, e poi non si fidava di quell’uomo.

      “Avrete la notizia a tempo debito.”

      MacGil si alzò, e così fecero anche gli altri. Si inchinarono, si voltarono e si affrettarono fuori dalla stanza.

      MacGil rimase lì, pensieroso, per un po’. In giorni come quelli avrebbe voluto non essere re.

      *

      MacGil scese dal suo trono, con la suola degli stivali che faceva risuonare i suoi passi nel silenzio, e attraversò la stanza. Aprì da sé l’antica porta di quercia, tirando bruscamente la maniglia di ferro, ed entrò nella stanza adiacente.

      Godette


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