Il Giuramento. Джек МарÑЧитать онлайн книгу.
che è possibile che persone con le giuste attrezzature e conoscenze possano farne dell’altro. L’ultima cosa che ci serve è uno sconosciuto gruppo di persone che se ne va a spasso con il virus Ebola utilizzabile come arma, cercando di farne delle scorte.”
Luke guardò di nuovo Susan.
“Accetti il lavoro,” disse Susan. “Scopra cos’è accaduto alla donna scomparsa. Trovi l’Ebola. Quando torna, se vuole davvero ritirarsi, non le chiederò altro mai più. Qualche notte fa abbiamo cominciato qualcosa insieme. Faccia quest’ultima cosa per me e sono pronta a dire che il lavoro è terminato.”
I suoi occhi non lasciarono mai quelli di Luke. Era il tipico politico, per molti versi. Quando ti raggiungeva, ti aveva preso. Era difficile dirle di no.
Luke sospirò. “Posso partire in mattinata.”
Susan scosse la testa. “Abbiamo già un aereo che l’aspetta.”
Luke sgranò gli occhi, sorpreso. Fece un respiro profondo.
“Okay,” disse alla fine. “Ma prima devo mettere insieme delle persone dello Special Response Team. Sto pensando a Ed Newsam, Mark Swann e Trudy Wellington. Newsam è in malattia adesso, ma sono piuttosto sicuro che se glielo chiedo tornerà in servizio.”
Susan e Monk si scambiarono uno sguardo.
“Abbiamo già contattato Newsam e Swann,” disse Monk. “Hanno accettato entrambi, ed entrambi sono per strada diretti all’aeroporto. Temo che Trudy Wellington non potrà esserci.”
Luke si accigliò. “Non sarà nella squadra?”
Monk abbassò lo sguardo su un taccuino giallo che aveva in mano. Prese un breve appunto. Non si sprecò ad alzare lo sguardo. “Non lo sappiamo, perché con lei non ci siamo messi in contatto. Purtroppo usare la Wellington è fuori questione.”
Luke si voltò verso Susan.
“Susan?”
Adesso Monk alzò il capo. Lasciò passare lo sguardo avanti e indietro da Luke a Susan e viceversa. Parlò ancora, prima che Susan dicesse una parola.
“Wellington non è pulita. Era l’amante di Don Morris. Non è proprio possibile che possa partecipare a questo lavoro. Non verrà neanche impiegata nell’FBI per un mese a partire da adesso, e per allora potrebbe anche essere sotto accusa di tradimento.”
“Mi ha detto che non ne sapeva nulla,” disse Luke.
“E lei le crede?”
Luke non si degnò neanche di rispondere alla domanda. La risposta non la conosceva. “La voglio,” disse semplicemente.
“Oppure?”
“Stasera ho lasciato mio figlio a fissare un persico spigola sulla griglia, un pesce che abbiamo pescato insieme. Potrei ritirarmi subito. Mi piaceva essere un docente universitario. Sto pensando di ricominciare. E sto pensando di veder mio figlio crescere.”
Luke fissò Monk e Susan. Loro lo fissarono.
“Allora?” disse loro. “Che ne dite?”
CAPITOLO SETTE
11 giugno
2:15
Ybor City, Tampa, Florida
Era un lavoro pericoloso.
Così pericoloso che andare al piano del laboratorio non gli piaceva proprio.
“Sì, sì,” disse al telefono. “Abbiamo quattro persone, al momento. Ne avremo sei finito il turno. Entro stanotte? È possibile. Non voglio promettere troppo. Chiamami verso le dieci, e avrò un’idea migliore.”
Rimase un attimo in ascolto. “Be’, direi che un furgone è abbastanza grande. Con quelle dimensioni può arrivare tranquillamente alla zona di carico. Questi cosi sono così piccoli che non si vedono a occhio nudo. Nemmeno un bilione di quei cosi prenderebbe troppo spazio. Se proprio dobbiamo, potremmo metterli tutti nel bagagliaio di una macchina. Ma in caso suggerirei due macchine. Una per andare in strada, e una per andare all’aeroporto.”
Riappese. Il nome in codice dell’uomo era Adam. Il primo uomo, perché era il primo uomo assunto per quel lavoro. Ne comprendeva appieno i rischi, anche se gli altri no. Lui solo conosceva l’intero scopo del progetto.
Osservò il pavimento del piccolo magazzino attraverso la grande finestra dell’ufficio. Lavoravano ventiquattr’ore su ventiquattro, su tre turni. Le persone che adesso erano lì, tre uomini e una donna, indossavano camici bianchi da laboratorio, occhialini, mascherine per l’aria, guanti di gomma e stivali ai piedi.
Gli operai erano stati selezionati per la loro abilità di fare semplice microbiologia. Il loro lavoro consisteva nel far crescere e moltiplicare un virus usando il campione fornito da Adam, per poi liofilizzare i campioni per il trasporto e la trasmissione via aerosol successivi. Era un lavoro noioso, ma non difficile. Qualsiasi assistente di laboratorio o studente di biochimica al secondo anno avrebbe potuto farlo.
Il programma di ventiquattr’ore faceva sì che le scorte dei virus liofilizzati crescessero molto velocemente. Adam faceva rapporto ai suoi datori di lavoro ogni sei o otto ore, e loro esprimevano sempre il loro piacere per il ritmo che tenevano. Nell’ultimo giorno il piacere aveva ceduto il posto alla gioia. Il lavoro sarebbe stato completato presto, forse addirittura oggi.
Adam sorrise al pensiero. I suoi datori di lavoro erano contenti, e lo ripagavano molto, molto bene.
Sorseggiò il caffè da una tazza termica e continuò a osservare i dipendenti. Aveva perso il conto della quantità di caffè che aveva consumato negli ultimi giorni. Tanto. I giorni stavano cominciando a mescolarsi. Quando era esausto si stendeva sulla branda dell’ufficio per dormire un pochino. Indossava la stessa tenuta protettiva degli operai nel laboratorio. Ormai non se la toglieva da due giorni e mezzo.
Adam aveva fatto del suo meglio per costruire un laboratorio di fortuna nel magazzino in affitto. Aveva fatto del suo meglio per proteggere gli operai e se stesso. Avevano degli indumenti protettivi da indossare. C’era una stanza in cui buttare via gli abiti dopo ogni turno, e c’erano delle docce perché dopo gli operai si lavassero via ogni residuo.
Ma c’erano anche i limiti temporali e dei fondi da prendere in considerazione. Il programma aveva tempi stretti, e ovviamente c’era la questione della segretezza. Sapeva che le protezioni non rispettavano gli standard dei centri americani per il controllo delle malattie – se avesse avuto un milione di dollari e sei mesi per costruire quel posto, ancora non sarebbe bastato.
Alla fine aveva costruito il laboratorio in meno di due settimane. Si trovava in una zona accidentata di vecchi e bassi magazzini, nei recessi di un quartiere che per molto tempo era stato un centro di immigrazione cubana e di altro genere negli Stati Uniti.
Nessuno gli avrebbe dato una seconda occhiata. Non c’era insegna sull’edificio, ed era fianco a fianco con un’altra dozzina di costruzioni simili. L’affitto era stato pagato per i sei mesi successivi, anche se ne avevano bisogno solo per un periodo di tempo brevissimo. Aveva il suo piccolo parcheggio, e gli operai andavano e venivano come fanno gli operai di ogni magazzino e fabbrica di ogni luogo – a intervalli di otto ore.
Venivano pagati bene e in contanti, e alcuni non parlavano inglese. Gli operai sapevano cosa fare con il virus, ma non sapevano esattamente di che virus si trattasse né perché. Un’incursione della polizia era improbabile.
Comunque lo rendeva nervoso trovarsi così vicino al virus. Sarebbe stato sollevato di terminare quella parte del lavoro, ricevere il pagamento finale e poi evacuare il posto come se mai fosse stato lì. Dopo, avrebbe preso un volo per la costa occidentale. Per Adam, in questo lavoro c’erano due parti. Una qui e una… da qualche altra parte.
E la prima parte presto sarebbe terminata.
Oggi? Sì, forse addirittura oggi.
Avrebbe lasciato il Paese per un po’, così aveva deciso. Una volta finito tutto avrebbe fatto una lunga e bella vacanza. La costa meridionale della Francia in quel momento gli sembrava invitante. Con i soldi che stava facendo sarebbe potuto andare