Quattro Destini. Powell MichaelЧитать онлайн книгу.
che correvano lungo la costa e riempivano una valle poco profonda che percorreva l'isola. Al di sopra c'era una ripida collina dove una fila di torri rotonde, da ognuna delle quali partiva una serie di vele di tela, stava al di sotto di un maestoso castello veneziano.
“Mio Dio, guardate lì!” disse Giuseppe, “che posto fantastico!”
La nave da guerra entrò nella baia e si diresse verso gli edifici appena al di là dell'ingresso. Il capitano si rivolse a Giuseppe e ai suoi compagni.
“Preparate le scialuppe. Ogni ufficiale sarà accompagnato da un gruppo di marinai. Non appena getteremo l'ancora voglio che le barche partano.”
Uno degli ufficiali chiese, “Ci aspettiamo dei problemi?”
“Sinceramente spero di no. Ci è stato detto che qui c'è solo una piccola unità amministrativa, ma possono esserci dei soldati. Stiamo occupando tutte le Sporadi del Sud e apparentemente non ci sono state grosse difficoltà se non a Rodi. I Turchi hanno abbandonato senza opporre resistenza. A meno che non incontriamo problemi, voglio che li trattiate come ospiti non benvenuti e li incoraggiate ad andarsene!”
L'incrociatore gettò l'ancora nella baia. Giuseppe e i suoi compagni erano pronti e in attesa e quando le scialuppe furono messe in acqua vi salirono velocemente. I marinai afferrarono i remi e remarono rapidamente verso la banchina.
Giuseppe, che non era mai stato in missione in precedenza, sentì stringersi lo stomaco per il nervosismo quando abbandonarono la sicurezza della nave. Anche se teoricamente era al comando del tender, sapeva che i marinai ai remi stavano in realtà prendendo gli ordini dall'esperto nostromo seduto al suo fianco. Quando si avvicinarono alla costa vide un piccolo gruppo di uomini assembrato sul molo. Gli uomini seduti sulla barca presero le armi nel caso di un possibile scontro a fuoco.
“Tranquilli, ragazzi, state calmi. Non voglio nessun errore. Non sparate a meno che non ve lo ordini” Gramatika, il loro comandante, gridò da un'altra barca.
Quando la barca di Giuseppe arrivò sulla banchina, la prima della piccola flotta a raggiungere terra, i marinai misero i remi nella barca e lui saltò giù di lato insieme a un agile marinaio che prese abilmente la cima da ormeggio. I soldati scesero disordinatamente, le armi in pugno quando un piccolo uomo dalla pelle scura, che indossava un vecchio e piuttosto malridotto costume turco uscì da un gruppetto con le braccia alzate. “Non vi creeremo problemi – sappiamo di essere in un numero inferiore” disse in inglese – una lingua che Giuseppe aveva studiato a scuola. “Per cortesia venite con me nella casa dell'Amministratore.”
Le altre barche stavano attraccando e facendo sbarcare le guarnigioni di soldati che si stavano allineando sulla riva. C'erano solo cinque turchi, un gruppo raffazzonato, vestiti con vivaci ma rovinati costumi ottomani. Dietro di loro c'era un gruppo più numeroso di greci che stavano salutando i marinai italiani e stavano sventolando la bandiera nazionale greca. “Sembrano in uno stato pietoso,” disse uno dei soldati italiani. “Dove sono i loro soldati?”
“Non sottovalutate i turchi,” disse il comandante vicino a lui, richiamando l'attenzione dei suoi uomini. “Possono sembrare in rovina ma sanno anche essere dei guerrieri molto fieri come abbiamo scoperto in Africa del Nord. Mostriamo loro come sono dei veri soldati.”
Giuseppe fu orgoglioso dei suoi compatrioti quando si misero in riga con le loro armi moderne e si posero sull'attenti pronti a marciare – o a combattere. Il piccolo gruppo di turchi, però, si fece da parte per farli passare, e seguirono il primo uomo verso il piccolo ufficio sul molo.
“Combattiamo contro di loro dall'anno scorso in Libia,” disse Giuseppe “Mi chiedo come diavolo siano riusciti a bloccarci.”
“Sono stato uno dei primi a sbarcare a Tripoli” disse il soldato. “Non sembravano per nulla pronti a lottare e prendemmo subito il controllo. Proprio quando pensavamo che sarebbero caduti, arrivò un gruppo di arabi – la cavalleria. Dio, avevano dei cavalli meravigliosi! Ma sono anche estremamente sanguinari, glielo assicuro. Non fanno prigionieri e son sicuro che non vorrebbe vedere cosa fanno a chi cerca di arrendersi, “l’uomo tremò al ricordo. “Comunque, quasi ci batterono. Ci assediarono. Cominciammo con 20000 uomini ma ne rimasero solo circa 1000 quando riuscimmo a venirne fuori.
“Per nostra fortuna, noi” disse indicando la San Marco, “la Marina, siamo troppo forti per loro. Non hanno nessuna nave moderna per combatterci.”
Gramatika, accompagnato da un piccolo gruppo di soldati, seguì l'ufficiale turco all'interno dell'edificio per incontrare l'amministratore dell'isola. Dopo pochi minuti, uscì accompagnato da un turco dall'aria trasandata che parlò al suo piccolo triste gruppo. Il comandante italiano aspettò fino a quando ebbe finito. Poi si rivolse alla folla, le sue parole furono tradotte in greco da un interprete che era venuto a riva con loro dalla San Marco.
“Rivendichiamo quest'isola in nome del governo italiano. L'amministrazione turca se ne andrà. Dovranno essere trattati con rispetto e dovranno ricevere tutta l'assistenza necessaria per la loro partenza. Istituiremo subito una nuova amministrazione e l'ordine sarà mantenuto.”
I greci, sentendo questo, acclamarono gli italiani e fischiarono gli ottomani abbattuti mentre scendevano verso una barca che li stava aspettando per portarli verso la terraferma turca poco più a est.
Gramatika ritornò nell'edificio e chiamò all'interno gli ufficiali. “C'è un sacco di lavoro da fare qui e voglio che rispettiate la gente del posto che stiamo liberando dagli Ottomani. Lasceremo qui un gruppo per prendersi in carico l'amministrazione e mantenere la pace. La nostra priorità, una volta che ci saremo assicurati che gli ottomani se ne siano andati, sarà quella di mantenere l'ordine. Nel frattempo, voglio che troviate degli alloggi per gli uomini.”
Giuseppe tornò fuori con Gramatika e l'interprete. La sua piccola compagnia era ancora allineata e in attesa di ordini. L'interprete tornò alla nave per riferire al loro capitano. “Qualcuno qui parla greco?” chiese Gramatika ai suoi uomini. Nessuno si fece avanti.
“Come troveremo degli alloggi se non siamo in grado di parlare alle persone?” chiese al suo amico.
Proprio allora, un vecchio greco si fece avanti. “Mi scusi signore” disse in inglese.
Giuseppe si girò, “sì?”
“Lei parla inglese,” l'uomo sembrò sollevato. “Sono un insegnante. I miei amici vogliono sapere cosa sta succedendo qui.”
“Come ho spiegato, stiamo liberando queste isole dai Turchi.”
“Ma non abbiamo bisogno di essere liberati,” disse l'uomo. Sembrava confuso e indicò i turchi che se ne stavano andando. “Ci hanno lasciati per conto nostro e non si sono mai immischiati con noi. Non erano abbastanza.”
Giuseppe era confuso. “Ma governavano l'isola, no? Li stiamo sostituendo e vi stiamo liberando.”
“Ma liberarci da cosa? Non siamo prigionieri!”
“Mi dispiace, non sono veramente in grado di spiegare, sono solo un marinaio. Cercherò di far venire una dei nostri ufficiali a parlare con voi. Nel frattempo, mi è stato chiesto di trovare delle sistemazioni per i miei uomini. Può aiutarmi?”
“Sistemazioni?”
“Alloggi – stanze per loro dove soggiornare.”
“Intende hotel? In realtà non abbiamo nulla del genere qui.” Guardò in basso e pensò per un attimo, poi alzò lo sguardo, “I turchi avevano delle case. Se se ne sono andati, potreste mettere lì i vostri uomini. Ma non credo ci siano abbastanza stanze per tutti voi.”
“Allora dovremo ospitare alcuni uomini nelle case private.”
“Pagherete un affitto?”
“Non so. Non credo.”
L'uomo sembrò infastidito. “Affermate di venire a liberarci, ma mi sembra che siate peggio dei Turchi.” Si girò verso il gruppo di greci che erano in attesa dietro di lui e disse velocemente qualcosa in greco. Girandosi di nuovo disse, “vi porteremo dal sindaco. Dovrete spiegargli tutto.”
Gramatika ordinò a Giuseppe di andare col vecchio, che condusse l'italiano in un altro ufficio