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Comando Primario: Le Origini di Luke Stone—Libro #2. Джек МарсЧитать онлайн книгу.

Comando Primario: Le Origini di Luke Stone—Libro #2 - Джек Марс


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disse Speck. “Ma con questo presidente non si sa mai cosa abbia in mente.”

      “Che altro?”

      “Il gruppo di azione politica ha iniziato a cercare modi per rimuoverlo,” continuò lui. “L’impeachment è fuori questione per via di una divisione nel Congresso. Oltretutto il portavoce della Camera è un alleato di David Barrett ed è d’accordo con lui per la maggior parte delle questioni importanti. È improbabile che dia il via all’impeachment o che permetta che accada sotto il suo controllo. Pare che non sia impossibile anche la rimozione per il venticinquesimo emendamento. Secondo me Barrett non vorrà ammettere l’incapacità di eseguire il proprio lavoro, e se il vice presidente tentasse…”

      L’uomo anziano sollevò una mano. “Ho capito. Salti avanti. Mi dica questo: abbiamo degli agenti dei Servizi Segreti che si occupino delle operazioni notturne nei terreni della Casa Bianca? Uomini che siano leali a noi?”

      “Certo,” rispose lui. “Sì.”

      “Bene. Ora mi parli dell’operazione di salvataggio in Russia.”

      Speck scosse il capo. “Non abbiamo dettagli. Don Morris è notoriamente riservato con le sue informazioni. Ma non hanno molti agenti da mandare in campo, almeno non ancora, quindi possiamo supporre che l’abbia affidata ai suoi due agenti migliori, Luke Stone ed Ed Newsam, entrambi giovani, e tutti e due ex operativi della Delta Force con grande esperienza nel combattimento.”

      “Quelli che hanno salvato la sfortunata figlia del presidente?”

      Lui annuì. “Sì.”

      L’anziano sorrise. I suoi denti erano zanne gialle. Poteva passare per il più vecchio tra tutti i vampiri, uno che non assaggiava il sangue da molto, moltissimo tempo. “Sono dei cowboy, vero?”

      “Ah… credo che abbiamo la tendenza a sparare prima e poi…”

      “Abbiamo intenzione di intervenire? Deragliare la loro operazione in qualche modo?”

      “Ah…” disse Wallace Speck. “È stata considerata tra le opzioni. Voglio dire, al momento non abbiamo molto…”

      “Non fatelo,” ordinò il vecchio. “Levatevi dalla loro strada e lasciate che si scatenino. Magari si faranno ammazzare. Magari daranno il via a una guerra mondiale. In ogni caso per noi andrà bene. E se David Barrett fa qualcosa di folle, e intendo folle davvero, tenetevi pronti a prendere il controllo della situazione.”

      Wallace Speck si alzò per andarsene.

      “Sì, signore. C’è altro?”

      Il vecchio lo guardò con gli occhi antichi di un demone. “Sì. Cerchi di sorridere un po’ di più, Speck. Non è ancora morto, quindi si sforzi di godersi il suo tempo su questa terra. Dicono che dovrebbe essere divertente.”

      CAPITOLO OTTO

      11:20 p.m. Ora legale di Mosca (3:20 p.m. Ora legale orientale)

      Porto di Adler, Distretto di Sochi

      Krasnodar Krai

      Russia

      “Siamo certi che ci vogliano a suonare a questo concerto?” chiese Luke al telefono satellitare blu che aveva in mano. “Secondo me faremo un bel casino.”

      Si appoggiò a una vecchia berlina Lada nera, di produzione ungherese. Il modello squadrato gli ricordava una vecchia Fiat o la Yugo, solo meno elegante. Sembrava fatta di lastre di metallo di scarto saldate insieme. Emetteva un vago odore di olio bruciato. Più veloce avanzava e più forte vibrava, come se stesse per andare in mille pezzi. Per fortuna non era il loro mezzo per la fuga.

      Poco distante, un ceceno corpulento di nome Aslan stava fumando una sigaretta e urinando attraverso una rete metallica. Aslan preferiva essere chiamato Frenchy. Questo era perché dopo il collasso della Cecenia era scappato dai russi nascondendosi a Parigi per qualche anno. I suoi tre fratelli e suo padre erano morti in guerra. Ora Frenchy era tornato e odiava i russi.

      Erano in un parcheggio vuoto vicino alla foce del fiume Mzymta. L’odore umido e pungente di acque reflue non trattate si alzava dal canale. Da lì iniziava un tetro viale pieno di magazzini, che portava dalla riva fino a un piccolo porto di carico sorvegliato da una guardiola e una recinzione acuminata. Nel chiarore delle deboli lampade a sodio giallastre si intravedevano degli uomini in movimento attorno al posto di blocco.

      Le antiche e grandiose dacie del Partito Comunista, i nuovi alberghi e i ristoranti, e le luccicanti spiagge sul Mar Nero di Sochi erano ad appena otto chilometri di distanza. Ma Adler era un luogo deprimente e scombinato quanto solo un porto russo sapeva essere.

      La voce di Mark Swann arrivava al suo telefono con un certo ritardo, perché prima rimbalzava per tutto il mondo, da un network segreto e un satellite spia all’altro, e tremava per l’eccitazione nervosa.

      Luke scosse la testa e sorrise. Swann era in una suite penthouse con la bellissima Trudy Wellington, in un albergo a cinque stelle a Trabzon, in Turchia. La loro storia di copertura li voleva una coppietta di giovani sposini della California. Se avessero cominciato a volare proiettili, Swann li avrebbe guardati da uno schermo del computer, quasi ma non esattamente live, via satellite. Era per quello che gli tremava la voce.

      “Ci hanno dato il via libera,” confermò il ragazzo. “Sanno che i vicini potrebbero lamentarsi.”

      “E la palla da discoteca?”

      “Proprio dove avevamo chiesto che fosse.”

      Luke lanciò un’occhiata a una vecchia e arrugginita nave da carico di media grandezza, la Yuri Andropov II, ormeggiata al molo. Pensò che un vecchio specialista della tortura del KGB come Andropov si sarebbe rivoltato nella tomba se avesse saputo che quella cosa portava il suo nome. Qualcuno doveva aver pensato che fosse divertente.

      La palla da discoteca, ovviamente, era il sommergibile sequestrato, il Nereus. Il suo chip GPS segnalava che era ancora dentro la stiva della nave.

      “E gli strumenti?” Valeva a dire l’equipaggio del Nereus.

      “Al piano di sopra nel guardaroba, per quanto ne sappiano.”

      “Aretha? E lei cosa ha da dire?”

      La voce di Trudy Wellington risuonò a telefono, solo per un istante.

      “I tuoi amici stanno già festeggiando in spiaggia.”

      Luke annuì. Appena a sud di lì c’era il confine con l’ex Repubblica Sovietica della Georgia. In quel momento i georgiani e i russi erano ai ferri corti. Trudy sospettava che uno di quei giorni si sarebbero fatti la guerra, ma con un po’ di fortuna non sarebbe iniziata quella sera.

      Il centro balneare georgiano di Kheivani era subito a destra di quel confine. Era un posto più tranquillo e sonnolento rispetto a Sochi. Là sulla spiaggia scura c’era una squadra di recupero, in attesa di ricevere i prigionieri salvati, sempre che fossero riusciti ad arrivare fino a quel punto.

      Dalla spiaggia, i prigionieri sarebbero stati allontanati dal confine per essere portati più dentro alla Georgia, e infine fuori dal paese. Eventualmente, quando avessero raggiunto un posto sicuro, sarebbero stati aggiornati su tutta la faccenda.

      Quella faccenda non era problema di Luke. Per sua esplicita scelta non sapeva niente di cosa sarebbe successo. Don e Paparino Cronin si erano occupati di quella parte e lui non aveva neanche idea di chi fosse coinvolto. Gli avrebbero potuto tagliare le dita e strappare gli occhi, e Luke non avrebbe potuto dire niente.

      “Il grand’uomo si è unito al gruppo?” chiese.

      La voce di Ed Newsam risuonò. L’ululato del vento e il ruggito dei motori dei macchinari quasi la soffocavano. “È nello spogliatoio e pronto a salire sul palco. Prima è e meglio è, per quel che lo riguarda.”

      Luke sospirò. “Va bene,” disse, e il peso della decisione gli piombò


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