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Le Tessere Del Paradiso. Giovanni MongiovìЧитать онлайн книгу.

Le Tessere Del Paradiso - Giovanni Mongiovì


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Io invece cerco di riempire questa assenza ravvisando la figura di un padre negli uomini che incontro durante le mie giornate. Voi, Mastro Alessio, mi date questa idea più di ogni altro uomo con cui mi sia rapportato. La mia non è più semplice curiosità o la risposta ad un’esigenza del Re… io voglio aiutarvi a ritrovare la vostra Zoe.»

      Alessio era confuso e al tempo stesso lusingato.

      «Dite davvero?»

      «Sì, ma voi ditemi prima il nome dell’uomo che l’ha strappata dalle braccia di sua madre anni or sono.»

      Alessio stava per dirglielo, poi parve pensarci. In tutta questa storia era finito prigioniero e quasi impiccato proprio per fidarsi troppo della gente.

      «No, Signore, datemi prima un segno che vi interessate davvero della mia causa. Trovatelo voi il nome di costui!»

      Dunque l’eunuco, invece di offendersi, sorrise.

      «È una richiesta ragionevole. D’altronde, come potrei dimostrarvi il mio affetto se non vi fosse alcuno sforzo in quello che faccio…»

      Quella fu l’ultima frase prima di lasciare la sala e l’artista che avrebbe dovuto abbellirla.

      Capitolo 4

      7 Novembre 1160 (Anno Mundi 6669), Balermus, Palazzo Reale

      Passati due soli giorni Mattia entrò nella sala e, mentre Alessio ed altri tre operai se ne stavano sull’impalcatura, urlò:

      «Mastro Alessio, venite giù!»

      Ci volle qualche minuto prima che l’abile maestro d’arte si calasse fino al pavimento.

      «Giordano di Rossavilla!» esordì l’eunuco.

      Alessio si stranì in viso; era più il disgusto che provava per quel nome che la sorpresa per la scoperta di Mattia.

      Onesimo si avvicinò curioso. Sapeva benissimo quali fossero i sentimenti del suo mentore nei confronti della persona in questione.

      Alessio diede quindi le spalle all’eunuco e cercò un pretesto per troncare lì quella conversazione. Prese in mano la cazzuola sporca di malta e si mise a ripulirla con un altro arnese identico.

      «Come può esservi utile conoscere il nome della persona che mi ha rovinato?» chiese sempre Alessio, trovando il coraggio per affrontare l’argomento.

      «Egli trattiene pure vostra figlia.» rispose Mattia.

      «Questo lo sapevo anche prima che salpassi per questa terra.»

      Dunque l’eunuco, entusiasta, prese per il braccio Alessio e lo accompagnò fino alla balaustra della loggia. Da lì era possibile vedere tutta Palermo.

      «Quel palazzo laggiù, quello con le merlature presso la via Marmorea; lo vedete?»

      «Lo vedo.»

      «È lì che abita il vostro nemico, ed è lì che se ne sta anche la vostra Zoe. In vita vostra non vi è mai stata così vicina! Io ci sono stato giusto stamattina.»

      Alessio si voltò e, afferrando per le spalle l’uomo del Re, gli chiese:

      «L’avete vista?»

      E Mattia, sorridendo:

      «È una donna splendente!»

      «Descrivetemela, vi prego.»

      «Occhi azzurri come i vostri e capelli lunghi e profumati. Vi somiglia molto… È così bella!»

      Alessio piangeva mentre l’altro gli parlava di Zoe.

      «Le avete parlato?»

      «Oh no… non è stato possibile parlarle. Mi è stata descritta da un uomo che mendica da quelle parti e io ho aspettato che si affacciasse sugli scaloni dell’ingresso per vederla.»

      Alessio abbracciò Mattia e gli disse:

      «Ve ne sono grato, mio Signore!»

      «Quando riuscirò a parlarle, le dirò di voi.»

      «No, non fatelo! Non voglio che sappia che questo condannato a morte sia suo padre. Però, se davvero volete farmi piacere, continuate a portarmi sue notizie. Io guarderò da oggi in avanti le merlature di quel palazzo, immaginandola secondo la vostra descrizione.»

      Così Mattia si conquistava la fiducia di Alessio ed instaurava nel suo cuore quel tipico senso di gratitudine che assoggetta gli uomini sinceri a chi è datore di bene.

      «Maestro, sembra che a quell’eunuco gli stiate a cuore.» commentò Onesimo, vedendo Mattia andarsene.

      «Vedi quelle merlature laggiù, ragazzo?» indicò Alessio, interrompendo il più giovane.

      «Le vedo.»

      «Devi fare una cosa per me. Va’ fin lì e informati se quel palazzo è davvero quello di Giordano di Rossavilla.»

      «Non vi fidate dell’eunuco?»

      «In vita mia non ho mai ricevuto del bene disinteressato e intendo valutare se costui è sul serio un’anima sincera e pura come dice.»

      «Vi ha fatto il nome di Giordano di Rossavilla benché voi non glielo aveste detto; perché pensate che vi stia mentendo?»

      «Non lo penso, desidero solo accertarmi del contrario. E poi il nome di quel farabutto non sarebbe difficile scoprirlo, visto che è colui che mi ha accusato dell’omicidio del giudeo.»

      Lo stesso pomeriggio Onesimo andò e tornò dal palazzo indicato da Mattia e diede conferma circa l’effettiva proprietà di Giordano di Rossavilla, ovvero il nobile che aveva testimoniato contro Alessio e che tratteneva Zoe. Adesso il maestro d’arte non aveva più motivo di dubitare di Mattia e attribuì l’interesse nei suoi confronti ad una forma di attrazione verso la figura di uomo-padre che lui rappresentava.

      Venne tuttavia presto il momento in cui la fiducia e la gratitudine di Alessio nei confronti di quell’uomo dovette essere provata.

      Il 7 di novembre Mattia si presentò con le stesse dinamiche della prima volta. Il rumore della chiave nella serratura svegliò Alessio e questi immaginò che fosse proprio l’eunuco. Il servitore del Re aveva alcuni graffi sul collo e i vestiti strappati in più parti, inoltre piangeva e si copriva la bocca come farebbe un bambino che ha subito un’ingiustizia e intende trovare conforto nel genitore.

      «Cosa vi è capitato?» chiese Alessio, mettendosi in piedi e porgendogli una spalla.

      Lo fece poi accomodare e gli porse dell’acqua.

      «Parlatemene, vi prego.» lo esortò ancora.

      «Il gaito23 Luca, è stato lui a ridurmi così.»

      «Chi sarebbe costui?»

      «Uno degli eunuchi del Re la cui parola vale molto a Palazzo.»

      «E perché l’avrebbe fatto, figliolo?»

      «Perché ho rifiutato di sottostare alle sue angherie.»

      «Di cosa state parlando?»

      «È dalla mia tenera età che il gaito Luca si approfitta della mia fragilità… e io ho sbagliato a crederlo come un padre e a fidarmi delle sue carezze.»

      Alessio comprese quale sorta di storie scabrose si consumassero tra le mura del Palazzo. Si chiese come un eunuco potesse abusare sessualmente di qualcun altro, ma trattenne la sua curiosità pur di non scoprire la vergogna di quegli uomini.

      «L’avete rifiutato?»

      «Sì, e lui ha reagito così perché non era mai successo che lo respingessi… Ma, credetemi, non potevo acconsentire dopo quello che ho scoperto.»

      Dunque Mattia avvicinò il viso e disse a bassa voce:

      «Cose pericolose… cose che vi riguardano!»

      «La gente dovrebbe smetterla di interessarsi di me, piccolo e insignificante uomo quale sono! Parlate! Cos’altro succede che dovrei sapere?»

      «Prima prendete questo.» invitò Mattia, porgendo sulla


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<p>23</p>

Gaito: dall’arabo qā’id, letteralmente “capo”, “leader”. Nella Sicilia normanna indicava i funzionari di Palazzo e i membri della Regia Curia. Di norma i gaiti erano musulmani convertiti al cristianesimo e poteva trattarsi di eunuchi. La parola entrò nella lingua latina come gaytus, volgarizzato gaito.

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