Ariion XXIII. Charley BrindleyЧитать онлайн книгу.
di alluminio nel sacco della spazzatura.
“Pensavo che tutti i bambini mandassero messaggi di testo.”
“Non mi piacciono i messaggi.”
“E il tuo fidanzatino?”
Ariion gli lanciò un’occhiataccia e sbuffò col naso.
“Cosa significa? Non hai il fidanzatino, o non ti manda messaggi?”
“Nessun ragazzo mi manderà mai dei messaggi, o mi telefonerà.”
“Certamente scherzi. Una bella ragazza come te, deve esserci una bella fila di ragazzi che ti vengono dietro.”
Sbuffò una risata. “Sì, proprio.”
“Hai la lebbra o cosa?”
La ragazza fece un profondo sospiro. “Perché il giudice ti ha dato lavori socialmente utili?”
“Immagino che il giudice avrà pensato che questo mi renda una persona responsabile.”
“E funzionerà?”
“Diavolo, Central Park è casa mia. Non mi da nessun fastidio andare in giro a raccogliere la spazzatura.” Alzò lo sguardo sulla collina. “Ehi, guarda, l’incarto di un Big Mac. Vuoi l’involucro o quel biglietto del parcheggio?” Puntò il bastone sulla sua sinistra.
“Uhm… prenderò il biglietto del parcheggio.” Aprì il suo sacco della spazzatura. “Ho già due Big Mac.”
Il secondo giorno di servizi socialmente utili, Cameron e Ariion si occuparono del lato sud del lago di Central Park.
“Hai detto che sei qui per vandalismo,” disse Cameron. “Cos’hai combinato?”
“Hai presente quelle telecamere sui pali?”
Cameron infilzò una bottiglia di plastica con il suo bastone, facendola frusciare. “Certo, sono ovunque oggigiorno.” Infilò la bottiglia dentro il sacco della spazzatura.
“Odio quelle cose. Cosa da loro il permesso di guardarci tutto il tempo?”
“La sicurezza?”
“Spiarci è più probabile,” disse Ariion. “Non puoi passeggiare per strada senza che uno di questi gadget ti fissi. E in ogni stupido negozio in cui entri, ci sono tre o Quattro di queste scatole con un solo occhio che seguono ogni tuo movimento. E ci c’è dietro? Potrebbero essere una manica di pervertiti.”
“Immagino che sia—”
“E dov’è scritto nella Costituzione che il governo può spiarci? Non siamo in Cina, grazie al cielo.”
“Ma se un ladro—”
“Ne ho rotta una con un sasso.”
Cameron si fermò di colpo, fissandola.
Ariionfece qualche altro passo, poi si fermò e si girò verso di lui. “Cosa?”
“Sai quanto sono alte queste telecamere?”
“Sì, undici o dodici metri.”
“E ne hai colpita una con un sasso?”
“Ho proprio rotto la lente di quell’arnese infernale.” Infilzò un involucro di caramella che si trovava sull’erba.
“Wow, hai una buona mira.”
“Già,” disse la ragazza, lasciando cadere l’involucro dentro al sacco della spazzatura. “Una buona mira.”
“Non avevi capito che quelli della sicurezza potevano identificarti?”
“Questo prova la mia tesi; perché mi stavano osservando?”
“Forse sembravi sospetta.”
“Certo, io e i miei amici provenivamo dalla gelateria. Eravamo davvero pericolosi.”
“Cos’ha detto tua madre?”
“Mi ha mandato un messaggio al centro giovanile per dirmi che era delusa.”
“Davvero?”
“Sì. Era a una riunione.”
Camminarono lungo un sentiero, poi superarono una fontana di marmo.
“Sei abbastanza vecchio, eh?” disse Ariion.
Cameron le lanciò un’occhiata. “Quanti anni pensi che abbia?”
La ragazza studiò il suo viso per un momento, osservando la barba disordinata e i capelli lunghi. “Non lo so. E’ difficile per me indovinare l’età di una persona.” Si inginocchiò per raccogliere la carta di gomma da masticare.
“Fai un tentativo.”
“Uhm… Cinquanta?”
“Santo cielo!” Cameron si fermò sul sentiero e si toccò il mento barbuto. “Sembra davvero che abbia cinquant’anni?”
“Sessanta?” Si strinse nelle spalle. “Quanti anni pensi che abbia io?”
Lui la guardò inclinare la testa e sorridere, mostrando un apparecchio d’argento.
“Dodici.”
“In realtà, il primo dicembre c’è stato il mio tredicesimo compleanno.”
“Ci sono andato molto vicino.”
“Quanti anni hai, in realtà?” Infilzò una tazza di carta blu.
“Crederesti che ne ho trentadue?”
Ariion si bloccò con la tazza di carta a metà strada verso il sacco della spazzatura. Fissò Cameron ad occhi sgranati. Dopo un momento, si infilò il bastone sotto il braccio destro, prese la tazza con la punta delle dita della mano destra, poi la lasciò cadere nel sacco.
“Non hai trentadue anni. Mia mamma ha trentadue anni, e lei sembra molto più giovane di te.”
“Bè…” Cameron si interruppe e si guardò le mani. Le sue unghie erano rotte e sporche, ma la sua pelle non era rugosa né macchiata. “Non prendertela con me solo perché sono sensibile.”
Lei ridacchiò.
“E tuo padre? Quanti anni ha?”
“Non lo so.”
“Più o meno,” disse lui.
“Non ne ho idea. L’ho cacciato.”
“Sei solo una ragazzina. In che modo l’hai cacciato?”
“In realtà ero una neonata, all’epoca.”
Lui la guardò, in attesa.
“Avevo circa due anni. Lui ha detto a mia madre che non ne poteva più e ci ha abbandonate. Non lo abbiamo più sentito da allora.”
Cameron infilzò un sacchetto di carta bianco e giallo. “Dubito che sia stata colpa tua. Probabilmente lui e tua madre non andavano più d’accordo.”
“Lui mi odiava. E’ per questo che se n’è andato. Mi odiava perché lo stavo legando, costringendolo a essere padre. Non era in grado di affrontare la responsabilità di occuparsi di una figlia difettosa di una figlia difettosa, quindi se l’è svignata.” Si interruppe per sedersi su una panchina di pietra vicino alla statua del Generale Sherman a cavallo. “Qual è la tua storia?”
Si sedette vicino a lei e strofinò la punta del suo bastone chiodato sul cemento. “Quale mia storia?”
“Hai figli?”
Cameron scosse la testa e fissò la punta del suo bastone.
“So che sei cresciuto all’Orfanatrofio di St. Lawrence. Com’è stato?”
“Puoi crederci o no, ma non era così male. Si prendevano buona cura di noi, e avevo circa trentacinque fratelli e sorelle con cui giocare, a seconda di chi veniva adottato e chi veniva lasciato alla porta.”
“Ma ti mancavano tua madre e tuo padre.”
“Non li ho mai conosciuti, quindi non mi mancavano affatto.”