Non resta che scappare. Блейк ПирсЧитать онлайн книгу.
la portiera mentre scendeva dall’auto, prendendosi tutto il suo tempo. La donna si fermò sul marciapiede, poi schioccò le dita come se le fosse venuto in mente qualcosa, si rigirò verso l’auto, aprì la portiera e iniziò a frugarvi dentro.
Adele rimase a fissarla: ci volle quasi un minuto perché la Paige trovasse quello che stava cercando. Poi riprese il cammino verso la porta dell’appartamento, ovviamente a passo di lumaca. Fece un evasivo segno di saluto in direzione di Adele.
Adele represse l’impazienza. Avrebbe dovuto lavorare con la Paige per tutta la durata del caso, e partire con il piede sbagliato non l’avrebbe aiutata. Ma sembrava quasi che la collega che le avevano assegnato stesse forzando la mano appositamente.
“Pensavo avessimo concordato di venire subito qui,” disse Adele, cercando di mantenere un tono neutrale.
La Paige la guardò di sottecchi. “Sì? Di solito non vado di fretta quando si tratta di uno spreco di tempo. Gli addetti alla scena del crimine ci hanno già lavorato. Non sono sicura del motivo per cui siamo qui.”
Adele si girò del tutto, voltando le spalle alla porta dell’appartamento e al campanello per guardare la collega dritto in faccia. “Siamo qui,” le disse a denti stretti, “perché voglio esaminare la scena del crimine con i miei occhi. Ti può andare bene?”
La Paige si mangiucchiava le unghie, guardando qualsiasi cosa potesse trovare sul marciapiede. “Non scoprirai niente di nuovo.”
“Magari no, o magari anche sì.”
Adele poteva sentire il profumo della donna, anche se chiamarlo profumo era un po’ un’esagerazione. La sua collega sapeva di sapone. Non sapone profumato, ma piuttosto un lieve odore di pulito che parlava di igiene e semplicità. L’agente Paige non indossava orecchini, né alcun gioiello di sorta. Aveva un profilo forte, con un naso romano e zigomi netti. Adele ricordava il suo primo anno al DGSI, mentre lavorava in una task force con lei: allora si era sentita intimidita dalla donna, e a giudicare dallo stomaco che le si contorceva, la sensazione non era svanita.
Adele non aveva mai conosciuto la famiglia di Sophie, ma dalle discussioni con altri agenti sapeva che la Paige aveva cinque figli suoi, tutti adottati. Eppure, nella sua esperienza, Adele non aveva mai visto la donna perdere un solo giorno di lavoro. Aveva dovuto fare qualche ricerca, quando era al DGSI, ma da come sembravano essere messe le cose, il marito dell’agente Paige stava a casa e si prendeva cura dei bambini, mentre sua moglie faceva lunghe ore di lavoro al servizio del governo.
La Paige guardò Adele con il medesimo sguardo irritato e, in risposta, Adele premette il pollice sul pulsante del campanello del locatore. Ci volle un secondo, poi la porta si aprì. Sophie spinse la porta, entrò e lasciò che si richiudesse dietro di sé.
Adele dovette mettere velocemente il piede sulla soglia per impedire che si chiudesse del tutto. Poi guardò frustrata la nuca della collega, davanti a lei. Di nuovo, non c’era un singolo capello fuori posto. I vestiti della Paige erano perfettamente stirati, la giacca grigio antracite, abbinata ai pantaloni.
Adele non aveva mia particolarmente gradito la compagnia della donna che le aveva fatto un tempo da supervisore. L’ultima volta che aveva interagito con lei, durante il precedente caso in Francia, la Paige si era rivelata piuttosto scontrosa.
“Scusami,” le disse Adele, tenendo la voce bassa. “Dobbiamo parlare?”
La Paige si comportò come se non avesse sentito e continuò ad avanzare verso le scale.
Adele camminò velocemente e la raggiunse, allungando una mano e posandola sul braccio della donna. Come se si fosse scottata, la Paige si girò di scatto, le labbra piegate in una smorfia. “Non mi toccare!” le disse con tono secco.
Gli occhi di Adele scattarono alla fondina che si intravedeva sotto alla giacca semiaperta dell’agente. Tolse la mano, sollevando le braccia in gesto di resa. “Le mie scuse.”
“Cosa vuoi,” le chiese la Paige guardandola torva. “Stiamo facendo a modo tuo, no? Siamo qui a sprecare tempo invece di parlare con i testimoni.”
“Quali testimoni?” disse Adele ribattendo senza esitazioni.
“L’americana. Quella che ha trovato il corpo.”
Adele scosse la testa. “Ha trovato la vittima, ma non ha visto niente.”
La Paige corrucciò le labbra. “Sarebbe un modo migliore di usare il nostro tempo invece che venire su una scena del crimine vuota. Hai letto il rapporto, no? Nessuna prova materiale. Non c’è niente per noi, qui.”
Adele sbuffò, scuotendo la testa. Allungò una mano come a volersi mantenere in equilibrio, afferrando il corrimano in legno che fiancheggiava i gradini che salivano all’appartamento.
Sentì il tintinnare di chiavi e il rumore di passi che si avvicinavano mentre il locatore attraversava il corridoio. Adele guardò oltre la sua collega, al di là del corrimano e attraverso la ringhiera di legno, scorgendo un uomo anziano e calvo con la pancia un po’ prominente e un maglione macchiato che veniva verso di loro.
Adele abbassò la voce, cercando di mantenere la calma. “Puoi contattare gli agenti con l’americana. Sono in attesa. Di’ loro di portarla qui, se vuoi. La interrogheremo dopo. Meglio qui che alla centrale, comunque.”
“Bene,” disse la Paige. “Forse lo farò.” Prese il telefono e cincischiò con l’apparecchio per un momento.
Adele aspettò mentre il locatore si avvicinava, sperando che questo fosse l’ultimo scambio così acceso, per il momento. Non sarebbe stato carino apparire poco professionali davanti agli occhi indiscreti di un pubblico esterno.
L’uomo guardò le due donne, apparentemente ignaro della tensione tra loro. Fece un finto e forzato sorriso e disse: “Posso mostrarvi la stanza.” Esitò un momento, il sorriso che gli tendeva le labbra in modo quasi innaturale. “Solo per curiosità…” Esitò ancora, come se stesse aspettando un dovuto numero di secondi. Poi proseguì: “Quando potrò riaffittare l’appartamento? Ci sono le bollette da pagare…”
“Sono l’agente Sharp,” lo interruppe Adele. Scrutò l’uomo. “Questa è l’agente Paige.” Mise la mano in tasca e mostrò il suo cartellino, come anche le credenziali dell’Interpol che Robert le aveva dato.
Il locatore fece un gesto di noncuranza senza neanche guardare il badge. La Paige stava ancora guardando il suo telefono, ignorando l’uomo.
“Posso farvi vedere,” ripeté.
Adele fece segno con la mano di avanzare su per le scale e permise al locatore di fare strada, seguendolo a passo lento e sentendolo respirare affannosamente, man mano che faceva un gradino alla volta. Quando raggiunsero il pianerottolo del terzo piano, l’uomo inserì la chiave nella serratura e la girò, aprendo la porta. Adele esaminò le chiavi, poi guardò il locatore. “Non è entrato nell’appartamento un paio di giorni fa, vero?”
Il locatore la guardò e poi, passato un momento, il suo volto assunse un’espressione inorridita. Si mise immediatamente a scuotere la testa furiosamente, facendo ballonzolare le guance. “No,” disse ansioso. “Certo che no. Non entro mai negli appartamenti. Le chiavi sono solo per emergenza.”
Adele sollevò le mani. “C’è qualcun altro che ha accesso a un mazzo di chiavi?”
Il locatore scosse la testa con fermezza. “Solo chi affitta l’appartamento. E io. E non le uso,” ripeté.
Adele annuì per mostrare che aveva sentito, guardando l’uomo che spingeva la porta dell’appartamento e si faceva di lato, indicando alle due agenti di entrare.
Le donne passarono sotto al nastro di delimitazione che sbarrava la porta. Adele andò avanti e osservò il pavimento piastrellato.
La maggior parte del sangue era stato rimosso. Erano state fatte foto della scena, e gli investigatori precedenti avevano proceduto a catalogare ogni cosa. Adele si guardò attorno nella cucina: notò alcune macchie di sangue sul mobiletto accanto al frigorifero, come anche lungo le piastrelle del pavimento. Passò oltre le macchie e guardò il frigorifero. Ora era chiuso.
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