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Il Morbo Di Parkinson In Tempi Di Pandemia. Juan Moisés De La SernaЧитать онлайн книгу.

Il Morbo Di Parkinson In Tempi Di Pandemia - Juan Moisés De La Serna


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riporta che non ci sono differenze tra i gruppi di età in termini di nessuna delle tre misure, cioè né nella gravità del Morbo di Parkinson, né nella velocità né nella capacità di parlare.

      Uno dei limiti dello studio è non aver separato i pazienti in base ai punteggi ottenuti nelle misure neuropsicologiche, cioè in base alla gravità della malattia.

      Nonostante ciò, lo studio si concentra su un aspetto a volte dimenticato rispetto al Parkinson, la capacità di comunicare, fondamentale in una società basata sulla comunicazione orale.

      I dati mostrano che l’età non è una variabile rilevante nei problemi di linguaggio associati al Morbo di Parkinson, il che indica che a qualsiasi età dovrebbe essere possibile intervenire attraverso una terapia specifica eseguita da un logopedista per aiutare a compensare le perdite dovute alla malattia.

      “Se guardiamo al morbo di Parkinson da un punto di vista neurologico, c’è un compromesso nel cervelletto che è anche associato al deterioramento dovuto all’età, il che conclude che in generale si potrebbe dire che ci sono difficoltà nelle capacità motorie volontarie, in particolare del gli organi fonoarticolanti che hanno a che fare direttamente con la pronuncia dei diversi fonemi associati alla parola.

      Questo deterioramento è anche associato all’espressione genetica. Non si sa quando inizierà questa difficoltà, tutto dipende dall’ambiente, dalla qualità della vita, dalla diagnosi e dall’intervento precoci e dalla genetica.

      I sistemi di intelligenza artificiale sono attualmente utilizzati per scoprire quali mutazioni genetiche sono correlate alla comparsa del Parkinson.

      Questo sarà fondamentale nel trattamento del Parkinson nel prossimo futuro.

      Pertanto, i modelli predittivi di AI (intelligenza artificiale) basati su reti neurali sono già in fase di sviluppo e con la capacità, oltre a metodi di analisi statistica che utilizzano AI, come il Deep Learning aiuteranno i neurologi a identificare i pazienti candidati a ricevere eventuali cure attraverso la medicina personalizzata e la telemedicina, in base alle loro caratteristiche genetiche e cliniche.” Dra. Mabel Velandia Ramos Audiologa Colombia.

      Va notato che a volte il pubblico in generale ha maggiori conoscenze sulle malattie a causa delle conseguenze nelle fasi avanzate, come nel caso del Morbo di Parkinson.

      Essendo il Morbo di Parkinson neurodegenerativo, nel tempo gli effetti peggioreranno gradualmente, progredendo dai primi sintomi dello Stadio I, con lievi movimenti in una sola parte del corpo, trascinando un po’ i piedi, cominciando a mostrare i primi sintomi di rigidità.

      Nello Stadio II, la persona inizia a piegarsi in avanti, cominciano i problemi di equilibrio e le difficoltà ad iniziare i movimenti (bradicinesia).

      Nello Stadio III e IV i sintomi si complicano, rendendo difficile l’equilibrio e la deambulazione.

      Fino all’ultima fase dello Stadio V, dove la dipendenza è massima, richiedendo una terza persona per svolgere qualsiasi attività della vita quotidiana, il paziente trascorre buona parte del suo tempo seduto o sdraiato a causa dei continui tremori.

      Va tenuto presente che con il progredire della patologia le opzioni di trattamento per il Parkinson si riducono, a partire da quello farmacologico e riabilitativo fino a quello chirurgico. Tra questi ultimi, è possibile distinguere tra le cure reversibili come la stimolazione cerebrale profonda, e quelle irreversibili, che includono la chirurgia in cui si interviene in alcune parti del cervello.

      Per quanto riguarda questi interventi chirurgici, la pallidotomia è la più comune, dove viene praticata un’incisione nel globo pallido del cervello, un intervento che invece è stato osservato avere conseguenze emotive nei pazienti operati, ma un intervento chirurgico nel cervello del paziente con il Morbo di Parkinson porta cambiamenti emotivi?

      A questo si è cercato di rispondere con un’indagine condotta dall’Hospital de Santa María (Portogallo) [18].

      Lo studio ha coinvolto 30 pazienti che hanno subito un intervento chirurgico per curare gli stadi avanzati del Parkinson.

      Tutti sono stati sottoposti ad uno studio precedente e a un follow-up di un anno dopo l’intervento in cui hanno dovuto rispondere a un questionario standardizzato per il rilevamento delle emozioni chiamato Comprehensive Affect Testing System [19] in cui vengono valutate 7 emozioni di base nelle attività di riconoscimento facciale e 4 sul linguaggio (prosodia).

      I risultati mostrano che non ci sono cambiamenti significativi tra i dati ottenuti prima e dopo l’intervento chirurgico. Nonostante ciò, una sintomatologia di apatia o depressione era stata osservata in 6 dei partecipanti prima dell’intervento, e che successivamente il numero è aumentato fino a 14 dopo un anno dall’intervento.

      Quello che senza dubbio dovrebbe essere oggetto di studio è il motivo per cui il numero di persone con sintomi depressivi è raddoppiato in un anno, e se questo corrisponde a un’evoluzione “normale” della malattia o è il prodotto di un intervento chirurgico.

      Come carenze dello studio, va notato che non è stato istituito un gruppo di controllo con cui confrontare l’evoluzione della malattia nel tempo, e che non è stata effettuata una valutazione esaustiva dell’umore del paziente né prima né dopo l’intervento chirurgico.

      A causa dei limiti dello studio, i risultati non possono essere generalizzati fino a quando il numero di partecipanti non verrà ampliato, includendo un gruppo di controllo e verrà analizzata l’evoluzione dell’umore dei pazienti che hanno subito un intervento chirurgico come misura per affrontare la fase più avanzata del Morbo di Parkinson.

      Sebbene i sintomi più evidenti del morbo di Parkinson siano proprio i tremori, ce ne sono altri non legati ai movimenti, come i disturbi del sonno, con una prevalenza che colpisce tra il 40 e il 90% di chi soffre di questa malattia sia con insonnia, sia con eccessiva sonnolenza diurna, apnea notturna o problemi durante il sonno.

      Quelle persone che non soffrono di questo tipo di disturbi, tendono a non capire quanto sia invalidante non riposare e non poter iniziare una nuova giornata.

      A questo proposito, va notato che una delle difficoltà che hanno i pazienti con Morbo di Parkinson è che quando compaiono problemi di sonno, non possono essere trattati adeguatamente, poiché il farmaco utilizzato in questi casi è solitamente incompatibile con quello adottato nel trattamento del Parkinson stesso.

      Allo stesso modo, alcuni esercizi indicati per questi pazienti non sono così promettenti come ci si aspetterebbe, mantenendo così le difficoltà del sonno, ed i problemi che questo comporta per chiunque, ma ora aggravati dal Parkinson, ma i disturbi del sonno causati dal Parkinson possono essere superati?

      Questo è proprio quanto si è cercato di scoprire con un’indagine congiunta svolta dall’Ospedale “S. Isidoro”; la Fondazione IRCCS S. Maugeri, Ospedale “Le Terrazze”; l’Ospedale Moriggia Pelascini, l’Istituto di Perfezionamento Clinico (Italia); e il JFK Johnson Rehabilitation Institute; insieme al Center for Movement Disorders della City University di New York (USA) [20].

      Hanno partecipato allo studio 138 pazienti con un’età media di 69 anni, di cui 77 donne. I partecipanti sono stati divisi in due gruppi, il primo con 89 pazienti, che hanno ricevuto congiuntamente cure farmacologiche e allenamento fisico, e l’altro, con 49 partecipanti, che hanno ricevuto solo cure farmacologiche. Tutti sono stati esaminati per verificare la loro diagnosi, attraverso la scala dei sintomi del Morbo di Parkinson denominata Hoehn and Yahr Scale [10] ed il Mini-Mental State [12].

      Dopo 28 giorni, tutti i partecipanti sono stati riesaminati per vedere se c’erano effetti differenziali tra i due gruppi, questa volta utilizzando la scala standardizzata chiamata Unified Parkinson’s Disease Rating Scale [17].

      I risultati mostrano miglioramenti significativi nel trattamento congiunto tra il trattamento farmacologico e gli esercizi studiati per questo scopo, producendo una diminuzione dei disturbi del sonno, d’altra parte non sono state riscontrate differenze nel gruppo di controllo che ha ricevuto solo un trattamento farmacologico per trattare i problemi del sonno associati. Tra i limiti dello studio c’è il non avere


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