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Un’esca per Zero. Джек МарсЧитать онлайн книгу.

Un’esca per Zero - Джек Марс


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facile", ammise Zero. Gli ci erano volute otto settimane per localizzare quella casa nascosta, un tempo molto superiore rispetto alla durata di qualsiasi missione dell'Agente Zero. “Sono andato nel tuo appartamento dopo che sei scomparso, e dopo che la CIA ha fatto un sopralluogo. Ho guardato cosa avevi preso, e cosa non avevi preso. Hai fatto un ottimo lavoro a coprire le tue tracce, ma ho visto che tutti i tuoi vestiti per la stagione fredda erano scomparsi. Non sono nemmeno sicuro che l'agenzia sapesse che ne possedessi una. Sapevo anche che non saresti rimasto negli Stati Uniti, quindi abbiamo pensato ai paesi che, molto probabilmente, potessi aver scelto.

      “Abbiamo?” Bixby lo interruppe bruscamente.

      "Reidigger mi ha aiutato", ammise Zero. Quando si trattava di trovare persone, Alan era quasi abile quanto lui era bravo a farle sparire. "Mi sono anche ricordato di quell'inverno davvero difficile in cui ti lamentavi dell'artrite alle mani", continuò. “Dicevi che il Trexall era l'unico farmaco che aiutava quando faceva così freddo. Mettendo insieme tutto ciò, e con l'aiuto di un hacker danese che entrambi conosciamo, abbiamo rintracciato tutte le nuove prescrizioni di Trexall dal nostro elenco di paesi in cui potevi essere fuggito e poi li abbiamo incrociati con le identità dei pazienti finché non ne abbiamo trovata una fittizia. Erano migliaia di nomi. Ci sono volute diverse settimane. Ma poi abbiamo trovato un uomo nel Saskatchewan di nome Jack Burton, che stranamente aveva lo stesso nome del protagonista del tuo film preferito”.

      L'angolo della bocca di Bixby si piegò in un accenno di sorriso. "Te lo ricordi?"

      "Sì. Quindi sono venuto qui e sono stato alla farmacia che ti ha dato le pillole. Ho cercato di corrompere il farmacista con mille dollari per sapere dove avrei potuto trovarti. Ma ha rifiutato. Ho pensato di essere in un vicolo cieco, fino a quando non mi è venuta un'idea. Ho chiesto al farmacista se avesse mai sentito l'ultima sulla Cintura di Orione".

      A questo punto Bixby fece un vero sorriso. "Che è una vita nello spazio".

      Zero sapeva che c'erano poche cose che Bixby amava più delle freddure e delle barzellette, ed essendo uno dei pochi altri esseri umani con cui aveva interagito in otto settimane, il farmacista doveva avere ascoltato tutte le sue battute migliori.

      "Questo lo ha convinto che ti conoscevo e che dovevo trovarti", concluse Zero.

      "Ma perché?" Chiese Bixby.

      "Perché siamo amici".

      L'ingegnere annuì, sebbene il suo sguardo fosse perso nel vuoto. "Sì. Lo siamo. Ma non torno indietro, Zero. Non posso, e lo sappiamo entrambi".

      "Lascia che Alan ti aiuti", lo supplicò Zero. “È molto bravo a far sparire le persone, a farle davvero sparire, non come fa la CIA. Può darti una nuova identità, una nuova vita. Migliore di…" Zero indicò il piccolo prefabbricato in cui si trovavano. migliore di questa".

      Bixby prese la seconda sedia di legno, di fronte al tavolino tra loro, e si sedette con un sospiro pesante. "Lavori ancora per loro?"

      "Devo farlo. Lo sai". L'unico motivo per cui Zero non si trovava in prigione in un luogo peggiore, come la base H-6 in Marocco, era perché aveva accettato di tornare alle operazioni speciali.

      "Amici o meno", disse Bixby, "se sei ancora con loro, allora il fatto che tu sia qui è un problema per me. Non posso farmi aiutare da te. E nemmeno da Alan. Ho fatto una scelta e la porterò avanti. Oltretutto…" Sorrise di nuovo. "Non si sta così male qui. Ed è solo la prima tappa di un lungo viaggio. Credimi".

      Zero fece un lungo sospiro, ormai rassegnato. Ma convincere Bixby ad accettare il suo aiuto era solo una parte del motivo per cui si trovava lì; il suo aiuto voleva essere una merce di scambio per una necessità ben più personale.

      "C'è dell'altro. Ho bisogno di… aiuto".

      Bixby lo guardò sorpreso. "Cosa?"

      Zero sospirò, pensando attentamente a cosa dire. "Il soppressore della memoria", disse. “Hai contribuito a realizzarlo. E ultimamente ho riscontrato alcuni… effetti collaterali, diciamo così. Molto negativi".

      "Zero…"

      Lui ignorò Bixby e proseguì. “Ci deve essere qualcosa che possa aiutarmi. O, non lo so, un modo per risolvere il problema. Deve esserci qualcosa che sai che io non…"

      "Zero…"

      "Ho bisogno di aiuto, dannazione!" Diede un forte pugno sul tavolo per la disperazione.

      "Zero", disse Bixby di nuovo, con forza. "Per favore, ascoltami. Quello che ti è successo non ha precedenti. Voglio dire, ti hanno strappato quella cosa dalla testa con un paio di pinze. Nessuno se lo aspettava. Nessuno ci avrebbe mai pensato. Ad essere sincero, sono sorpreso che tu ti sia rimesso. Anche se potessi aiutarti…" Bixby indicò la minuscola casa in cui si trovavano. "Non ho alcuna strumentazione qui".

      "Sì", disse Zero piano. Fissò la superficie del tavolo di legno. Era venuto fino a lì per niente. Aveva passato settimane a cercare un uomo che non voleva essere trovato. Non c'erano risposte da trovare né lì né altrove. Il suo cervello lo avrebbe ucciso, e doveva convivere con questa idea fino alla fine dei suoi giorni.

      Rimasero un minuto in silenzio prima che Bixby si schiarisse la gola. Quando Zero alzò lo sguardo, l'ingegnere gli stava porgendo la giacca.

      “Mi dispiace”, disse. "Ti inviterei a passare la notte qui, ma sai che non posso correre rischi".

      Zero capiva. Nonostante tutta la sua attenta pianificazione, l'agenzia avrebbe trovato un modo di trovarlo se avesse voluto. Satelliti, chip di tracciamento sottocutanei, buone reti di spie vecchio stile… ogni minuto in quella casa avrebbe messo in pericolo Bixby.

      Prese la giacca, si alzò e se la infilò lentamente. "Suppongo che se qualcuno dovesse tornare in questo posto, non troverebbe nulla".

      Bixby sorrise con tristezza. "Supponi bene". E poi disse di nuovo: "Mi dispiace".

      Zero annuì e si diresse verso la porta. "Abbi cura di te, Bixby".

      "Aspetta".

      Zero si bloccò immediatamente, con una mano protesa verso la maniglia, immaginando ci fosse un'altra trappola dimenticata.

      "Aspetta un momento". Bixby si tolse gli occhiali, si stropicciò gli occhi e se li rimise a posto. "Io… Ti ho mentito. Prima. Quando ti ho detto che sei la prima persona a cui sia mai stato installato il soppressore".

      Zero si girò di scatto. "Cosa? Mi hai mentito?"

      “Sotto minaccia di morte? Sì. Ma, tutto considerato, sembra che il pericolo sia passato". Non riuscì a trattenere una risatina. “Il soppressore che è stato installato in te non è il prototipo. Prima ne è stato costruito un altro. Ed è stato utilizzato su una persona. Circa un anno prima che il tuo soppressore sparisse dal mio laboratorio. Un uomo sui trentacinque anni. Legato all'agenzia".

      Un'altra persona a cui è stato installato un soppressore? Improvvisamente il viaggio fino a lì sembrò acquisire un senso.

      "Un agente?" Chiese Zero.

      "Non lo so".

      "Dove si trova?"

      "Non lo so".

      "Chi era?"

      "Non so nemmeno quello".

      "Che cosa sai?" Chiese Zero esasperato.

      "Senti, per me non era altro che il soggetto A", disse Bixby sulla difensiva. “Ma c'è una cosa che posso dirti. Dopo l'operazione, appena risvegliato dall'anestesia, il chirurgo lo ha chiamato Connor. Lo ricordo perfettamente. Gli disse, "sai chi sei, Connor?"

      "Connor è un nome o un cognome?" Chiese Zero rapidamente.

      "Non lo so. Questo è tutto ciò che so”, gli disse Bixby. “Sappiamo entrambi come opera l'agenzia; probabilmente è morto da tempo. Qualsiasi informazione legata a lui sarà stata cancellata. Ma… forse puoi tirarne fuori qualcosa. Se provi a seguire quella traccia".

      Zero annuì. Sicuramente ne avrebbe tirato fuori qualcosa, ma non sapeva ancora cosa. "Grazie". Tese la mano e Bixby gliela strinse, forse per l'ultima volta. L'ingegnere non era stato facile da trovare la prima volta, e non avrebbe commesso gli


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