L’anello dei draghi. Морган РайсЧитать онлайн книгу.
era cercare di mantenere il controllo del castello, ma la verità era che erano troppo pochi per farlo. Poteva dare una lancia a ciascun domestico e insistere affinché i nobili si schierassero sulle mura per cercare di respingere l’imminente marea di nemici, ma non sarebbe bastato. I compiti che assegnava alle persone erano più finalizzati a farle sentire utili in un momento come quello, che non dovuti al fatto che pensava davvero che sarebbe servito a qualcosa opporre resistenza quando fosse arrivato l’esercito di Re Ravin.
Forse avrebbe potuto farci qualcosa se avesse saputo di più sulla strategia. Attualmente, tutto ciò che aveva ordinato, era un frammento di ricordo che richiamava solo per metà, perché Erin aveva insistito affinché giocassero insieme a difendere il posto da nemici immaginari quando erano piccole, o perché Rodry o il loro padre avevano raccontato storie di come avevano combattuto contro l’uno o l’altro nemico. Alcune di quelle cose le erano sembrate ovvie, ma molte non lo erano affatto.
Desiderò per quella che sembrava la centesima volta che vi fosse qualcun altro lì al suo posto e che prendesse in mano la situazione. Vars avrebbe dovuto essere re ora, ma non era lì a comandare. Rodry e suo padre erano entrambi morti, morti proprio nel momento in cui tutti avevano più bisogno delle loro capacità di guerra. Erin era fuori in città, a dare il massimo nel luogo dove poteva essere più utile. Nonostante Lenore ne capisse il senso e sapesse che con così poche truppe, colpire e correre in città era meglio che aspettare al castello, desiderava che sua sorella fosse lì accanto a lei.
Si ritrovò persino a desiderare che vi fosse Finnal, anche se Lenore non sapeva cosa pensare di suo marito. Era l’uomo buono che a volte sembrava o era crudele come lo dipingevano gli altri? Nel racconto di un bardo, questo sarebbe stato il momento in cui sarebbe arrivato di corsa per assumere il comando di tutto e dimostrare a Lenore quanto la amasse. Invece, non c’era nessuna traccia di lui. Forse era fuori a fare la sua parte nella difesa della città?
Ancora più di Finnal, però, Lenore si ritrovò a desiderare che vi fosse Devin. Era intelligente e gentile, e ogni volta che pensava a lui si sentiva… si sentiva al sicuro. Forse se fosse stato lì, avrebbe usato un qualche trucco che aveva appreso dal Maestro Grey, qualche strategia per tenere tutti al sicuro. Ancor più di quella di suo marito, Lenore si sorprese a desiderare la sua presenza. Forse era un bene che lui non fosse lì, però. Forse stava meglio in giro per il mondo, a intraprendere qualsiasi strano compito lo stregone gli avesse assegnato. Forse lì sarebbe stato più al sicuro. Sicuramente più al sicuro di quanto Lenore fosse al castello.
Stava ancora riflettendo su questo, quando sua madre entrò a grandi falcate nella stanza. Fu proprio il suo passo lungo ad attirare la sua attenzione per primo; da così tanti giorni, la Regina Aethe aveva camminato come una sagoma gobba e rotta. Ora, nonostante indossasse ancora il nero da lutto, camminava verso il centro della sala con l’autorità di un generale.
“Chi è al comando qui dentro?” chiese e tutti gli occhi guardarono Lenore.
“Penso… penso di esservi io, Madre,” rispose Lenore.
Sua madre le mise una mano sulla spalla. “Allora non dovresti farlo da sola. Tu,” si rivolse a un nobile e lo indicò. “Perché te ne stai lì impalato? Trova qualcosa di utile da fare, anche se si tratta solo di tagliare quegli striscioni per fare delle bende.”
Ovviamente aveva compreso ciò che Lenore aveva in mente per loro, anche se non era stata presente a quella discussione.
“Ma gli striscioni,” disse l’uomo. “Portano lo stemma reale.”
“Credi che a mio marito interessassero di più gli striscioni o le persone?” scattò in risposta Aethe. “Sono la moglie di un re e la matrigna di un altro. Se un uomo muore dissanguato perché non abbiamo abbastanza bende, ti riterrò responsabile.”
Il nobile si affrettò a svolgere il suo compito, mentre Lenore non riusciva a distogliere lo sguardo da sua madre.
“Sono ore che cerco di convincerli a farlo,” disse Lenore.
“Sì, beh, loro sono più abituati a vedere me che faccio la dura,” replicò la regina Aethe e guardò sua figlia negli occhi. “Come sono stata dura con te riguardo a Finnal. Una madre dovrebbe essere presente per sua figlia e non solo quando fa quello che reputa giusto.”
Dopo il modo in cui le aveva parlato l’ultima volta, quando non l’aveva ascoltata e le aveva schiaffato in faccia il suo lutto, come se le difficoltà di Lenore non avessero importanza alcuna di fronte a esso, questa era l’ultima cosa che la principessa si aspettava di sentirle dire.
“Grazie,” affermò, coprendo la mano della madre con la sua.
“Non devi ringraziarmi per essermi comportata come dovrebbe fare una madre,” disse. “Avevi ragione quando mi hai detto che c’era dell’altro al mondo oltre al mio dolore.”
“Mi dispiace,” replicò Lenore. “Sono stata dura a dirlo. Anche a me manca molto, Papà.”
“Lo so,” ribatté la Regina Aethe. “Ma avevi ragione. Ci sono cose più grandi. Il suo regno, il nostro regno, è in pericolo ed io non resterò a guardare. Farò tutto il necessario per proteggerlo, e uguale farai tu. Qualsiasi cosa sia necessaria.”
CAPITOLO TERZO
Erin era inginocchiata in cima a un muro pronta a scattare, mentre guardava con repulsione tre soldati di Re Ravin passare lì sotto. Nell’oscurità del primo mattino, non potevano vederla e, probabilmente, era meglio così. Erin non si era mai preoccupata molto del suo aspetto; portava da sempre i capelli scuri tagliati corti, per evitare che le oscurassero la vista, e quando possibile indossava tuniche e brache invece che abiti femminili. Adesso, però, sembrava un mostro.
Non era solo per il sangue che copriva la sua armatura o per le ammaccature dove i nemici avevano affondato i colpi. Si era anche ricoperta l’armatura e il volto di polvere, per confondersi meglio nel buio. Oltre a ciò, però, si trattava anche di tutto quello che provava. Odd poteva passare tutto il suo tempo a cercare di insegnarle a combattere con serenità, ma in quel momento tutto ciò che Erin poteva sentire era rabbia verso gli uomini che avevano invaso la sua casa.
Saltò giù dal muro, gridando quell’ira mentre guidava la sua lancia, facendola precipitare nel primo soldato di quel trio. Altro sangue si unì alla patina che già le tingeva l’armatura, schizzando mentre impalava il suo nemico. Colpì forte il terreno e rotolò a tornare in piedi, abbandonando per il momento la lancia a favore di un lungo coltello che afferrò stretto con una mano.
I due soldati rimasti si stavano già girando verso di lei ma, presi dallo shock dell’attacco, erano lenti; Erin era già vicina al secondo e cominciò a pugnalarlo con entrambe le lame corte, troppo vicina perché lui potesse brandire la spada.
Tenne l’uomo morente tra lei e il terzo, usandolo come scudo per bloccare il colpo di un’ascia. Lasciò cadere il suo nemico già morto, trascinandogli dietro l’ascia del suo compagno, e notò che quest’ultimo uomo aveva avvolto l’arma intorno al polso con un pezzo di corda per non farla cadere nel mezzo della battaglia. Significava che era piegato ed esposto mentre Erin scattava all’attacco, affondandogli il suo coltello nella parte laterale del collo.
Quanti erano ora? Al calare della sera, Erin aveva cercato di tenere il conto del numero e aveva persino provato a fare un gioco con gli uomini che la seguivano. Adesso, però, aveva perso il conto; erano semplicemente troppi perché potesse tenerlo.
La situazione era molto lontana dai giochi cavallereschi che aveva a volte praticato da piccola insieme a Rodry; era molto lontana persino dal tipo di violenza rapida e virtuosa che aveva compiuto con Sir Til e Sir Fenir nel villaggio assediato dai Taciturni di Ravin. Questa era cruda, di casa in casa, dove doveva colpire e correre, uccidere e svanire di nuovo nell’ombra.
Erin andò a recuperare la sua lancia, mise un piede sulla schiena del primo soldato e tirò fino a liberarla con un brutto rumore umido. Stava pulendo giusto il grosso del sangue, quando sentì il rumore dei passi che si avvicinavano e vide quelle che dovevano essere altre venti truppe di Ravin che avanzavano rapide dietro alla luce di una lampada.
“Dannazione,” imprecò e si mise a correre.