Lettere di Lodovico Ariosto. Lodovico AriostoЧитать онлайн книгу.
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AVVERTENZA
Nel presentare una terza ristampa delle Lettere di Lodovico Ariosto, mi è grato di averle potuto ordinare cronologicamente (cosa che non ebbi opportunità di fare nell'antecedente di Bologna, 1886), con introdurvi le nove lettere che venni pubblicando negli Atti e memorie di storia patria (Modena, 1868-75), ed accrescerle inoltre di sole altre cinque inedite che riescii a rintracciare da varie parti, più una scritta dall'Ariosto a nome del cardinale Ippolito d'Este, indicandole ai loro luoghi secondo il tempo che mi pervennero, ora cronologicamente ed ora in fine del volume. Tenni però separate le lettere ch'egli scrisse tanto a nome del cardinale suddetto, quanto a nome di Alessandra Benucci vedova Strozzi; e in appendice non lasciai di ripetere con alcune nuove osservazioni ciò che leggesi nell'edizione di Bologna, aggiungendo finalmente otto privilegi accordati per la stampa dell'Orlando Furioso, tratti dalle rarissime edizioni originali 1516 e 1532 e da documenti in parte inediti, formando essi un degno elogio al celebre autore, ma che non raggiunsero il vantaggio ch'egli sperava ricavarne.
Queste lettere riferisconsi in gran parte al suo Commissariato di Garfagnana, giacchè quelle che scrisse a' suoi parenti ed amici scarsamente a noi pervennero: e se le prime non possono sempre interessare per il soggetto e la forma, giova ricordare che furono dettate colla foga d'un imperioso dovere d'ingrato ufficio che non permettevagli di formarne minuta o tenerne copia (v. lett. LXXIII, p. 138), ed hanno poi il pregio di mostrarci nell'Ariosto l'uomo abile ai maneggi di Stato, fecondo di espedienti e zelante in sommo grado della giustizia, con essersi emendato di quell'adulazione che apparisce nel poeta di corte, per assumere un linguaggio francamente sincero e dignitoso.
Le lettere da me ristampate più volte ho un poco riformate alla moderna grafia, ma non ho minimamente toccate quelle che offro per la prima volta o che riproduco da altri editori, e così feci pei documenti a corredo della Prefazione o sparsi nelle note.
Per la Prefazione storico-critica ho cercato giovarmi di alcune pubblicazioni uscite in questi ultimi vent'anni, e importanti mi sono state in particolar modo le Notizie per la vita di L. Ariosto del ch. signor march. Giuseppe Campori (Modena, 1871) perchè tratte da documenti inediti, e ciò dicasi degli Studi e ricerche sulle poesie latine di L. Ariosto del ch. Giosuè Carducci (Bologna, 1875), oltre a vari altri lavori ch'ebbero, come il suddetto, felice impulso a prodursi pel centenario ariostesco celebrato in Ferrara ed in Reggio 1874-75; chè la fama dell'insigne poeta tende sempre ad estendersi, conoscendosi che il prof. Schuchardt lesse e commentò all'Università di Lipsia nel 1872 l'Orlando Furioso, poema tradotto in tutte le principali lingue d'Europa; ed è nostro dovere segnalare le due edizioni di Parigi illustrate coi disegni del lodatissimo artista Gustavo Doré, la prima del 1869 col poema imitato in versi francesi da F. Ragon e la seconda del 1879 con una nuova traduzione del Du Pays: disegni che, gareggiando colla fantasia del poeta, ci trasportano a quel mondo di maraviglie che egli con eccellenza d'opera d'arte seppe rappresentarci, e che noi pure abbiam potuto veder riprodotti col testo originale e con una degna prefazione del Carducci (Milano, Treves, 1880).
Amo dunque licenziarmi dal cortese lettore col riferire i seguenti versi che tolgo da alcune stanze di Anton Francesco Grazzini detto il Lasca, pubblicate per la prima volta dal ch. C. Arlia nel Propugnatore, 1885, vol. XVIII, parte I, p. 358-59:
«Chi ebbe mai più alta e dolce vena
In dir d'arme e d'amor che l'Ariosto?
Tutti i maggior poeti e più fecondi
Gli vanno sotto, e sono a lui secondi.
. . . . . . . . . . . . . . .
Fe' l'Ariosto le Comedie prima,
Come si può veder gioconde e belle,
E le Satire poi di tanta stima,
Che in tutto il mondo se n'udì novelle;
Dopo con chiara e gloriosa rima
Fe' il Furioso che passa le stelle:
E se potesse Aristotil vedello,
Lo terrebbe d'Omero assai più bello.»
A. C.
PREFAZIONE STORICO-CRITICA INTORNO A LODOVICO ARIOSTO E IL SUO TEMPO
La famiglia degli Ariosti è di antica nobiltà di Bologna, e il cognome ebbe forse origine da una terra del bolognese detta Riosto. Nel 1156 un Ugo figlio di Alberto fu console di Bologna quando questa città si reggeva a repubblica. La bella Lippa discendeva dalla stessa famiglia, e il nostro poeta non manca di ricordarla nel suo Orlando furioso[1]. Veduta dal marchese Obizzo III d'Este quando pe' suoi contrasti col papa dimorava in Bologna, se ne invaghì somma mente, e la fece sua amica. Conciliatosi poi con Giovanni XXII che nel 1329 scelse per minor male investirlo del vicariato di Ferrara, Obizzo persuase agevolmente la Lippa a seguirlo in quella città, ov'essa andò in compagnia de' suoi fratelli Bonifazio[2] e Francesco. Seguìta poi anche dal cugino paterno Nicolò, la famiglia Ariosti fu trapiantata in Ferrara, col formarne tre rami che vi ebbero lunga discendenza. La bella Lippa rimase sempre concubina di Obizzo, e in 20 anni lo fece padre di 12 figli. Non avendone avuto alcuno dalla moglie Giacoma Pepoli, morta nel 1341, e desiderando legittimare nel più valido modo i figliuoli bastardi, aspettò egli che la madre loro fosse in estremo pericolo della vita, e la sposò (come narrasi) la sera del 27 novembre 1347. Poche ore dopo la povera Lippa era morta; nè potè godere un sol giorno di quegli onori principeschi, forse tanto ambiti e promessi da prima; onori che il marchese serbava alla salma di lei con un pomposo mortorio!
D'allora in poi gli Ariosti ebbero di frequente impieghi autorevoli e vantaggiosi presso gli Estensi, sapendoli meritare pei loro zelanti servigi e non per titoli di una parentela salita in tanto orgoglio e potenza. Alcuni vennero anche fatti cavalieri; e nel 1469 trovandosi l'imperatore Federico III in Ferrara, diede titolo di conte ai tre fratelli Francesco, Lodovico e Nicolò Ariosti e loro discendenti[3]. Francesco fu scalco di Borso d'Este, poi ambasciatore ed anche capitano di Modena; e venendo a morte nel 1505, il nipote e poeta Lodovico compose a di lui memoria un epitaffio che leggesi fra le sue poesie latine[4]. L'altro fratello Lodovico fu prima dottore e canonico, indi arciprete della cattedrale di Ferrara. Il duca Ercole I voleva farlo anche vescovo di Reggio, ma il papa vi si rifiutò, nominando invece Bonfrancesco Arlotti ch'era stato spedito a Roma per raccomandare l'Ariosto[5]. Nicolò, il più giovane dei fratelli suddetti, fu padre del nostro poeta, e perciò di questo parleremo più a lungo.
Essendo stato molto famigliare di Borso d'Este, Nicolò Ariosto divenne ancora maggiordomo del novello duca Ercole I, il quale essendosi impadronito dello Stato contrastatogli a ragione da Nicolò figliuolo di Leonello, diede incarico all'Ariosto di recarsi a Mantova ove il nipote erasi riparato presso il marchese Federico suo zio, e veder modo di avvelenarlo. L'Ariosto non rifuggi di addossarsi l'iniquo mandato, e provveduto di quanto facevagli di bisogno partì sui primi del dicembre 1471 col pretesto di presentare al Marchese di Mantova uno zibetto (animale muschiato). Colà giunto ebbe campo di accordarsi con Cesare Pirondoli siniscalco di