Una sfida al Polo. Emilio SalgariЧитать онлайн книгу.
anche sugli animi più audaci. Degli uomini che in pieno giorno montavano all'assalto, sfidando intrepidamente la morte, si sono mostrati sovente vili durante i combattimenti notturni.
Perfino un generale inglese, che nelle guerre dell'India si era acquistata una fama immensa di uomo coraggioso e sprezzante d'ogni pericolo, fu sorpreso una notte, durante un attacco, rannicchiato dietro un albero, più tremante dell'ultimo dei suoi cipai. Eppure aveva guadagnati i suoi galloni, tutti, sui campi di battaglia e l'avevano chiamato il leone!... L'ansietà che divorava il canadese, abbandonato fra quella profonda tenebrìa, in procinto di sentirsi, da un istante all'altro, spaccare il cuore senza avere alcuna possibilità di parare il colpo, era quindi scusabile.
Sempre rannicchiato presso il pianoforte, col braccio destro armato, teso, pronto a tentare una parata disperata, come abbiamo detto, ascoltava sempre, cercando di sorprendere un qualunque rumore.
Si trovava là da qualche minuto, sempre in attesa d'un colpo di coltello, quando uno scricchiolìo secco lo fece trasalire.
Che cosa poteva essere stato? Si sarebbe detto che qualcuno aveva fatto scattare a vuoto il cane di una grossa rivoltella.
Il canadese si era raddrizzato, dilatando spaventosamente le pupille. Cercava, cercava nell'oscurità che si stendeva dinanzi a lui, implacabile, impenetrabile.
— Sarà stato il legname, — mormorò, dopo alcuni istanti d'angosciosa attesa. — Vi sono delle travi sul soffitto. —
Si terse colla sinistra la fronte, copertasi subito d'un freddo sudore, poi tornò a rannicchiarsi a lato del pianoforte.
Nell'abbassarsi però, la punta del coltello urtò sulla tastiera ed una nota ruppe bruscamente il profondo silenzio che regnava nella sala.
Quel suono, un do profondo, aveva fatto vibrare l'aria tenebrosa, ripercuotendosi lungamente sotto il soffitto e negli angoli della sala.
Il canadese ebbe un sussulto.
— Mi sono tradito, — mormorò.
Pronto come un lampo si gettò sul tappeto e scivolò silenziosamente verso il centro, almeno così credeva, della sala, poi si raddrizzò.
L'americano, avvertito da quel suono non ancora del tutto spento, doveva ormai essersi diretto verso l'istrumento, per sorprendere l'avversario e forse inchiodarlo, con una tremenda coltellata, sulla tastiera.
Passò un altro minuto, lungo quanto un secolo. Le ultime vibrazioni del do si erano a poco a poco affievolite ed un silenzio di tomba era piombato nuovamente sulla vasta sala.
Ad un tratto l'udito piuttosto acuto del canadese, raccolse un rumore indistinto. Pareva ora che un piede nudo strisciasse sul soffice tappeto ed ora che invece fosse una mano che strisciasse lungo una parete.
Si era bruscamente voltato, aguzzando invano gli sguardi.
Proprio in quel momento nella via sottostante si udirono delle voci umane miste a scoppi di risa.
Una brigatella di persone allegre passava dinanzi all'albergo cantando l'yankee-dodle.
Quando quelle voci si perdettero in lontananza, lo stropiccìo che aveva allarmato il signor di Montcalm era cessato. Il silenzio era nuovamente piombato nella sala.
— Me l'hanno fatto perdere, — mormorò il canadese, mordendosi con rabbia le labbra. — Quegli ubbriaconi potevano passare di qui un po' più tardi.
Dove sarà ora quel dannato yankee? Dove sorprenderlo? Che si sia fermato e che al pari di me tenti di raccogliere il rumore dei miei piedi? Ah no, può aspettarmi, perchè non mi muoverò così presto.
Il sole è ben lontano ed in dieci ore possono scannarsi anche diecimila uomini.... —
Si era bruscamente interrotto ed aveva fatto un mezzo giro su sè stesso, tornando a dilatare le pupille, poi si era lentamente abbassato stendendosi del tutto al suolo ed accostando un orecchio sul tappeto.
Aveva udito un altro fruscìo, ma che pareva provenisse dall'opposta direzione. L'americano, approfittando di quello schiamazzo, aveva fatto il giro della sala portandosi dall'altra parte?
Il canadese ascoltava sempre, premendo l'orecchio contro il tappeto.
Il suo udito raccoglieva, di quando in quando, dei crepitii appena percettibili. Dei piedi premevano, con precauzione, il pesante tessuto, diventando sempre più distinti.
Dunque il yankee si avvicinava, avanzandosi forse anche lui verso il centro della sala? Probabilmente, attratto da quella nota mandata dal pianoforte, aveva raggiunto l'istrumento e non avendo trovato l'avversario, doveva avere seguite le pareti per poi lasciarle.
Ora doveva cercare verso il centro, brancolando nel buio ed avanzandosi naturalmente a casaccio.
Il canadese lo udiva avvicinarsi sempre più, poichè i crepitii della stoffa, per quanto leggieri, giungevano più distinti al suo orecchio.
Dove sarebbe passato l'avversario? Dinanzi o di dietro? A destra od a sinistra? Ecco quello che chiedeva con una certa angoscia.
Non gli sarebbe invece caduto addosso, inciampando in quel lungo corpo disteso?
Il signor di Montcalm riflettè un istante, si compresse colla mano sinistra il petto come se volesse imporre silenzio ai forti battiti del cuore, poi lentamente si sollevò e si mise in ginocchio, girando intorno a sè la destra armata.
Sentiva il nemico, ma per quanti sforzi facesse per raccogliere meglio il rumore di quella marcia silenziosa, non riusciva a stabilire la direzione che teneva.
D'improvviso udì, a brevissima distanza, un lieve sospiro, ma nello stesso tempo il crepitìo del tappeto cessò.
Si era fermato il yankee? Si era accorto anche lui che il suo avversario gli stava così vicino? Lo aveva forse fiutato? Anche questo poteva, fra le tante cose, ammettersi.
Il canadese non fiatava più. Girava solamente, con lentezza, il bowie-knife intorno a sè, pauroso di agitare l'aria e di tradirsi.
Passarono parecchi secondi, forse invece parecchi minuti.
Un'angoscia estrema si era impadronita del canadese, angoscia che si tramutava in un vero supplizio assolutamente insopportabile.
.... si erano precipitati nella sala, chiamando angosciosamente: — Mister Torpon! Signor di Montcalm! (Cap. IV).
Nessun uomo di certo avrebbe potuto mantenersi tranquillo dinanzi a quel pericolo che non poteva vedere, e che pure gli girava d'intorno, minacciando di sopprimerlo quando forse meno se l'aspettava.
Era meglio slanciarsi, cercarlo, assalirlo coll'impeto della disperazione, dovesse pure quello scatto riuscire fatale.
— Basta, — aveva mormorato fra sè il canadese. — Non posso più resistere.... la paura mi assale.... agiamo prima che mi privi di tutta la mia energia.... —
Balzò in piedi, mandando un grido di belva ed avventando all'impazzata dei colpi furiosi.
Non si nascondeva più, non voleva più precauzioni: voleva la lotta a qualunque costo.
Al suo grido un altro aveva risposto, non meno rabbioso, non meno feroce e vicinissimo. Anche mister Torpon si trovava nelle medesime condizioni di spirito e cercava di dare o di ricevere la morte.
Per alcuni istanti i due uomini brancolarono nel buio profondo, cercandosi ed avventando sempre colpi, senza sapere dove potessero andare a finire, poi i due corpi, s'incontrarono furiosamente.
Due grida di dolore ruppero bruscamente il silenzio che regnava nella sala, poi si udirono due tonfi.... Erano caduti!... Morti entrambi forse?.......
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I due partners che avevano origliato dietro alle porte, sussultando al più lieve rumore ed asciugandosi