I Corsari delle bermude. Emilio SalgariЧитать онлайн книгу.
portavoce e gridò con voce tonante:
– Non vi trattengo più, ragazzi! Coprite le inglesi di ferro e di piombo!
La corvetta che, più rapida delle due pesantissime navi d’alto bordo ed infinitamente più maneggevole, stava per oltrepassare le due poderose avversarie, si coprì di fiamma e di fumo.
Sparavano le batterie di dritta e di sinistra ed i quattro grossi pezzi da caccia. Appena cessato quel frastuono, seguì una terribile scarica di moschetteria. I cinquanta americani della giunca, ammassati sul castello di prora saettavano con una tempesta di palle le due navi inglesi, spazzandone gli altissimi ponti.
Le due navi d’alto bordo non indugiarono a rispondere.
Quella che si trovava sopravvento fu la prima a scatenare tutti i suoi pezzi di dritta; ma sia che in quel momento gli artiglieri si fossero ingannati sulla velocità della corvetta, o che qualche improvvisa ondata avesse fatto perdere loro le mire, la bordata passò a venti passi dalla poppa della fuggitiva senza recarle nessun danno.
L’altra però, che si trovava a miglior portata, essendo più avanti, fu pronta ad imitare la consorella. Un uragano di ferro e di ghisa passò sulla tolda della corvetta, massacrando o storpiando una diecina d’uomini.
Una palla passò vicinissima al viso del Corsaro, mozzandogli per un istante il respiro. L’alberatura per altro non aveva subito danno alcuno, sicché la nave aveva potuto continuare la sua velocissima marcia.
– Per San Patrick! – esclamò il Corsaro. – Tirano come novizi! Signor Howard! Testa di Pietra! Sotto, a palle incatenate!
Per la seconda volta la corvetta si coprì di fuoco e di fumo.
Per cinque o sei minuti un frastuono orrendo coprì i muggiti delle onde. Le tre navi si scambiavano, incessantemente, palle incatenate, bordate di mitraglia, nembi di piombo, sparati però alla cieca, poiché la notte era oscurissima e la corvetta filava rapida, cambiando spesso di rotta con brevi bordate, per far perdere agli avversari il punto di mira.
I ventotto pezzi della corvetta, manovrati da abili artiglieri che stavano fermi dietro ai sabordi, tiravano meravigliosamente, aspettando il momento opportuno per tempestare le navi nemiche. Alternavano palle e mitraglia, fracassando pennoni e rompendo manovre; ma forse il maggior danno lo recavano i cinquanta americani. Dietro le murate del castello di prora sparavano senza posa colle loro lunghe e pesanti carabine colpendo, ad ogni scarica, con precisione incredibile.
Già la corvetta si credeva fuori di portata delle artiglierie avversarie, quando il treponti che veleggiava sottovento, con una manovra rapidissima le attraversò il passo.
Sir William soffocò una bestemmia, poi imboccò il portavoce e gridò:
– Timone all’orza!… Cazza la randa! Contrabbraccio a sinistra! Pronti per l’abbordaggio! Tuoni per San Patrik! Prenderemo il treponti, se non lo caleremo a fondo. Testa di Pietra! Signor Howard! Palle incatenate dentro l’alberatura. Rasatemi quel colosso come una ciabatta.
La risposta fu pronta. La corvetta virò sulla sinistra e scaricò i suoi dodici pezzi contro i treponti, poi virò sulla dritta e sparò una fianconata terribile. Nel medesimo istante i quattro pezzi da caccia scagliavano le loro palle incatenate attraverso l’alberatura dell’avversario.
Fra il tuonare delle artiglierie si udì un crac secco, poi una voce alzarsi sul castello di prora.
– Per il borgo di Batz! L’ho preso il volteggiatore maledetto. Era tempo! La catena ha segato o tagliato la maestra. Ala ferita non vola! Ci corra dietro, l’uccellaccio!
Un urrà fragoroso salutò quel colpo maestro del vecchio.
– All’abbordaggio! All’abbordaggio! – urlano centocinquanta e più voci.
Il treponti si è inclinato sulla dritta, oppresso dal peso dell’altissimo albero che, troncato quasi alla base da due palle incatenate, bagna il suo mostravento in acqua.
La gran nave è immobile. Non può più bordare e si presenta magnificamente per una grande bordata. Fra le urla della ciurma e degli americani che domandano di correre all’abbordaggio, la voce metallica del Corsaro si fa udire:
– Fuoco di bordate e filate all’ovest! Passiamo!
La corvetta, abilmente guidata, sfugge ancora una volta alla fiancata del secondo treponti che giunge troppo in ritardo, scaglia quattordici palle nel ventre della immobilizzata e con una magnifica bordata sfugge alla stretta, scaricando i suoi due pezzi da caccia di poppa, carichi a mitraglia. Qualche palla passa, ronzando sordamente, attraverso alla sua attrezzatura, ma ormai è troppo tardi. Fugge con pieno vento in poppa, ridendosi ormai del fuoco di quei centoventi pezzi.
Howard continua a sparare i due pezzi da caccia poppieri, per proteggere la ritirata. Testa di Pietra invece ha fatto gettare in mare i morti, trasportare i feriti all’infermeria, poi ha caricato tranquillamente la sua pipa, l’ha accesa ed è salito sul ponte di comando, dicendo al Corsaro:
– È finita. Gliel’abbiamo fatta a quei signori dalle giacche rosse e dalle calottine minuscole… La rotta capitano?
– Diritti su Boston – rispose William. – Quanti morti?
– Ne ho fatti gettare quattordici nella grande tazza – rispose il bretone con un sospiro.
– E feriti?
– Ve ne sono sette all’infermeria e disgraziatamente uno rimarrà storpio per tutta la sua vita.
– Mille sterline a sua disposizione.
– Per il borgo di Batz! Mi sarei lasciato portare via anch’io una gamba per guadagnare una tal somma. Anche zoppo avrei potuto comprarmi una grossa barca da pesca e guidarla attraverso la Manica.
– Fa’ sfondare quattro barilotti di rhum, e dà da bere ai miei bravi. Bada che non si ubriachino. Boston non è lontana e chissà che cosa ci attende dinanzi alla sua baia. Non sarà facile forzare il blocco; tuttavia non dispero.
Le cannonate erano cessate e le due navi di alto bordo erano scomparse nel tenebroso orizzonte. Solamente il vento sibilava attraverso l’attrezzatura.
E la corvetta filava sull’Atlantico colla prora verso la costa americana
4. L’INSURREZIONE AMERICANA
Coll’atto memorabile del 4 luglio 1776, le colonie inglesi dell’est dichiaravano la propria indipendenza e la loro ferma volontà di staccarsi finalmente dalla madre patria, che da due secoli ne suggeva il sangue migliore, senza dare compensi.
Gli enormi balzelli che l’Inghilterra imponeva, sempre più gravi, alle sue colonie d’America per far fronte alle spese della guerra contro i Borboni di Francia e di Spagna e la negazione dei diritti politici ai coloni, furono le due cause da cui scaturirono le prime scintille, le quali non dovevano tardare a mettere in fiamme tutti gli Stati dell’est, poiché allora quelli dell’ovest e del sud si trovavano ancora sotto la dominazione spagnola.
Quantunque a corto di denaro, privi d’artiglierie e male armati, gli americani avevano salutato con entusiasmo la convenzione del luglio che proclamava l’indipendenza delle vecchie colonie inglesi.
Improvvisano generali, alla cui testa mettono il grande Washington, improvvisano colonnelli ed ufficiali, chiamano a raccolta la balda gioventù e dichiarano guerra alla possente Inghilterra.
La Francia e la Spagna, di sottomano, li aiutano. Corsari arditi li forniscono di artiglierie, di polvere, di fucili, e abili ufficiali francesi guidati dal giovane marchese Lafayette, accorrono in buon numero per offrire a quei coloni, ignari delle cose guerresche, la loro spada, la loro esperienza ed il loro sangue.
L’Inghilterra da principio non si era gran che preoccupata della proclamazione dell’indipendenza delle sue colonie d’oltremare. Si stimava troppo forte per non dover subito domare quegli insolenti piantatori di cotone e di tabacco e quei meschini mercanti che avevano osato sfidare la sua potenza.
Disgraziatamente per lei, s’ingannava. Aveva dinanzi a sé un nemico altrettanto formidabile, tenace, risoluto a tutto, pronto a sopportare con animo fiero tutti