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Il Cielo Di Nadira. Mongiovì GiovanniЧитать онлайн книгу.

Il Cielo Di Nadira - Mongiovì Giovanni


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il buio completo, il muezzin echeggiò l’adhān della notte. Idris allora si sedette sul muretto, abbastanza distante da non sentire la ragazza, ma abbastanza vicino per intervenire se lei si fosse avvicinata come in precedenza.

      «Un paio d’ore e ti porto a casa.» disse sorridendo Apollonia.

      Tuttavia ritornò seria quando si accorse di non sentire più le dita dei piedi e quando immaginò un effetto ancora peggiore che quel freddo poteva causare su suo fratello. Cominciò a tremare per la temperatura e cercò di riscaldarsi le mani soffiando dentro i pugni.

      «Ragazza, va’ a casa! Non vedi che tremi?» l’incoraggiò Idris, vedendola in quello stato.

      «Non me ne vado… manca poco ormai.» rispose invece a Corrado.

      I suoi occhi nocciola guardavano all’insù, al viso di suo fratello, mentre le lacrime si raggelavano appena sotto le palpebre, non avendo la giusta inclinazione per scorrere giù.

      «Quanto ti gioverebbe adesso che tu avessi un po’ di fede in Dio…» chiese tra sé e sé Apollonia in relazione a Corrado, conoscendo la sua apatia nei confronti degli argomenti religiosi.

      «Lo so, fratello mio, che ti rifiuti di credere che esista un Dio capace di permettere tutto il male che ti è capitato. Lo so che Cristo e tutti i santi ti delusero già una volta, quando le tue preghiere non vennero accolte mentre speravi nel ritorno di tuo padre.»

      «Rabel de Rougeville.» borbottò Corrado.

      Apollonia si zittì improvvisamente; suo fratello era ancora cosciente. Che avesse sentito la sua dichiarazione d’amore di poco prima…

      «Corrado, fratello, ebbene tu sei vivo!»

      «Rabel de Rougeville!» ripeté lui con tono più elevato e tutto d'un fiato, quasi piangendo e quasi gridando.

      «Ricorda il santo che protegge tuo padre, appellati a lui!» lo invitò Apollonia, nel tentativo di tenerlo sveglio e impegnato.

      «Sant’Andrea…»

      «‘Agìou Andréas39.» ripeté Apollonia in greco, ovvero nella lingua della liturgia cristiana in Sicilia.

      In famiglia Apollonia si esprimeva in una sorta di volgare latino, e lo stesso faceva sia con i cristiani di Qasr Yanna che con molti indigeni convertiti all’islamismo. Quando tuttavia si trattava di pregare, rispolverava il vecchio greco... a dire il vero neppure tanto compreso. Diversamente, al Rabaḍ, essendo un luogo ristretto e abitato prevalentemente da circoncisi, Apollonia e famiglia si esprimevano in arabo; quello di Sicilia ormai peculiare rispetto alla lingua del Profeta. Talune volte usavano pure qualche parola berbera che avevano appreso sentendo parlare le donne di tale stirpe al pozzo e gli uomini nei campi.

      Apollonia chiuse gli occhi e a mani giunte cominciò a recitare le sue preghiere, invocando Maria madre di Dio, la Vergine, in favore di Corrado. Ovviamente pregava a bassa voce, essendo proibito per un non seguace dell’Islam far sentire le proprie orazioni alle orecchie di un credente… ed Idris se ne stava anche fin troppo vicino.

      «Mariám Theotókos, ‘e Parthénos40...» cominciò.

      Corrado avvertiva la voce di Apollonia così come avvertiva in quel momento la voce dei suoi ricordi, ridestati da quell’immagine della Madonna e dei santi a cui sua sorella si appellava.

      Capitolo 8

      Inizio estate 1040 (431 dall’egira), vallate ad est di Tragina

      I vessilli sventolavano indomiti al vento; un vento incerto quel giorno, forse neppure Dio sapeva da che parte stare… così come, al giudizio dei posteri increduli, Dio era confuso su chi dovesse sostenere in quella battaglia. Da un lato, al grido di “Allahu Akbar41”, i saraceni di Sicilia e d’Africa - arrivati in supporto dei primi - pronti a ricacciare via l’invasore. Dall’altro lato, inneggiando “Cristo vince”, gli uomini al soldo di Costantinopoli, per i quali gli invasori erano quegli altri.

      Invitati dal loro comandante, al riparo tra il Jebel42 e le Caronie, gli uomini di Abd-Allah si prostravano verso La Mecca e involontariamente verso l’esercito nemico. Raccolti in preghiera lo erano pure gli altri, tuttavia, non in un unica orazione armoniosa, ma chi in latino e chi in greco.

      L’accampamento era stato montato a circa venti miglia a levante del monte su cui è arroccata la cittadina di Tragina43, e qui, tra le tende, Conrad aveva osservato il padre allontanarsi con l’intero esercito appena qualche ora prima.

      Eccetto per la presenza di un modesto villaggio di mercanti e contadini, si trattava di una zona lontana dai centri abitati, ricca di boschi da un lato, sui versanti dei monti più alti, e di colline erbose adatte al pascolo dall’altro. Un fiume scorreva proprio nel punto più basso della valle, e di questo un rivolo perdurava nonostante l’estate, assicurando l’approvvigionamento idrico ai soldati.

      Ora Conrad fissava il punto in fondo alla strada in cui aveva visto suo padre per l’ultima volta. La mattina l’aveva aiutato ad indossare, sulla lunga tunica bianca, la pesante cotta di maglia, la quale aveva sul petto una croce rossa. Faceva già caldo nelle prime ore successive all’alba, per cui aveva tenuto l’elmo al riparo dal sole, affinché risultasse più fresco quando suo padre l’avrebbe messo. Come ultimo gesto, prima di salire in groppa al suo cavallo, Rabel aveva stropicciato i capelli del figlio e in cambio Conrad gli aveva passato lo stendardo e l’elmo. Poi uno sguardo e via a confondersi nella marea umana di soldati in avanzamento verso la radura appena fuori dal campo; qui Giorgio Maniace aveva arringato le sue truppe. Conrad era salito perciò sullo sgabello appena lasciato libero da un frate benedicente e aveva cercato di individuare Rabel tra gli uomini radunati lì in fondo. Poi aveva visto Roul, testa e spalle svettare oltre gli altri, ed aveva immaginato che suo padre fosse lì vicino.

      Sapevano tutti che quella sarebbe stata la battaglia più importante dell’intera campagna siciliana, tuttavia Rabel aveva cercato di nascondere la sua tensione per tutte le ore in cui quel giorno era stato insieme al figlio.

      «Sono in molti quegli altri?» aveva chiesto Conrad.

      «Le vedette parlano perlopiù di fanteria. Noi abbiamo un cavallo!»

      «Potrei assistere alla scena questa volta...»

      «Conrad, figliolo, te l'avrò ripetuto cento volte: tu resti qui con le donne, la servitù e i monaci…» chiosò Rabel, che pure continuò:

      «Ma se le cose dovessero mettersi male, alle prime avvisaglie, scappa sulle colline e nasconditi.»

      «C'è questa possibilità? Tancred e Roul dicono che le cose andranno come sono andate finora… Vinceremo e porteremo a casa lauti compensi.»

      «E hanno ragione… non c'è nulla di cui preoccuparsi. Il nostro è un mestiere difficile, è vero, ma sappiamo il fatto nostro. E poi, guai a portare sconforto tra i soldati!»

      Così Rabel aveva rincuorato il figlio.

      Era già mezzogiorno e per l’accampamento si respirava tutta l’apprensione per quell’attesa snervante. Ogni tanto qualcuno tornava dal campo per venire a dare notizia circa l’andamento della battaglia. Qualcuna tra le ragazze della servitù piangeva, per certo affezionata a qualche soldato con cui era nata una tresca. Poi un prete da campo avvicinò Conrad, il quale se ne stava ancora seduto sullo sgabello sotto il sole, e gli disse:

      «Figliolo, tuo padre non tornerà anzitempo se te ne resti qui a fissare il fondo della strada.»

      Cornrad lo guardò dal basso verso l’alto.

      «To’ un pezzo di pane!» completò sempre quello.

      Quindi il ragazzo l’afferrò e l’addentò.


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