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La Ragazza-Elefante Di Annibale Libro Uno. Charley BrindleyЧитать онлайн книгу.

La Ragazza-Elefante Di Annibale Libro Uno - Charley Brindley


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arrostire quel maiale sul fuoco. Non prendere il pino, la linfa rovina il sapore della carne.”

      Jabnet mormorò qualcosa sulla linfa quando passò tra di noi. Yzebel alzò la mano e pensai che l’avrebbe colpito, ma lei scosse la testa e alzò gli occhi al cielo. Mi sorrise e si nascose un ricciolo ribelle dietro l’orecchio.

      Quando finimmo di bere, mi diede due monete di rame, una minuscola catena d’oro e un paio di orecchini d’argento a cerchio. “Va’da Bostar,”mi disse. “Digli che abbiamo bisogno di sette pagnotte.”Esitò per un momento. “No, prendine otto oggi. Mostragli le monete e i gioielli e prenderà ciò di cui ha bisogno. È l’unico commerciante nel campo di cui ti puoi fidare in questo modo. Bostar non prende mai più del valore del suo pane. Impara da lui cosa cercare in un uomo; è uno dei migliori.”Fece cadere il resto delle sue monete e i gioielli su un quadrato di stoffa e mi consegnò la sua borsa vuota.

      “Chi è l’altro?”Chiesi mentre mettevo i gioielli per Bostar nella borsetta.

      Yzebel rise e piegò il panno in una custodia per contenere il resto dei suoi gioielli. “Non importa. Se ne viene uno, te lo indicherò.” Si infilò la borsetta appena fatta dietro le corde del grembiule, poi strinse la cintura del mio vestito. “Vedi dove si trova il sole?”

      Mi protessi gli occhi e guardai il cielo. “È quasi mezzogiorno.”

      “Torna prima che il sole raggiunga le cime degli alberi.”

      “Lo farò. Non ti preoccupare.”

* * * * *

      Sulla strada per la tenda di Bostar, mi imbattei nella ragazza schiava del giorno prima. Era seduta su un piccolo sgabello fuori dalla tenda nera, con un cesto di cotone accanto a lei. Mi fermai a guardarla prendere un bastone affusolato non più lungo del suo avambraccio. Una spirale di argilla, come una piccola ruota, era montata vicino a un’estremità del bastone. Mi fece un sorriso smagliante e prese una capsula di cotone dal cestino, buttò via alcuni semi, dipanò alcuni fili e li unì alla lunghezza di quello già avvolto attorno all’asta del suo strumento. Quindi fece girare la pesante ruota e iniziò adaggiungere le fibre dalla capsula di cotone mentre un nuovo filo si avvolgeva attorno all’asta rotante.

      La ragazza era così esperta nel suo compito, e le sue dita erano così veloci e agili che il filo sembrava allungarsi da solo. Prese altro cotone dal cestino, tolse i semi, dipanò le fibre e lolavorò nel filo di lana, continuando a far girare la ruota.

      Quando lo strumento prese a ruotare più velocemente, si alzò e aggiunsealtro cotone alla fine del filo. Presto fermò l’asta rotante, che si era ingrossata nel mezzo per via del filo che vi si era avvolto intorno, quindi legò l’estremità del nuovo filo a quello già arrotolato in un gomitolo e iniziò a srotolare il filo astaper aggiungerlo al gomitolo crescente.

      “Tin tinbansunia,” mi disse porgendomil’asta.

      Il marchio lerovinava il bel viso. Anche lo schiavo di Lotaz aveva un marchio, ma il suo era un simbolo diverso che si era cicatrizzato molto tempo fa. Il marchio di questa ragazza sembrava una freccia con tre punte e aveva un serpente attorcigliato all’asta. La brutta bruciatura sembrava essere recente e non ancora completamente guarita.

      “Cosa?”Chiesi.

      “Tin tinbansunia.” Tirò il filo ancora avvolto attorno all’asta.

      “Tin bim sole?”

      “Tin tinbansunia.”

      “Tin tinbansunia,”dissi e allentai la presa sulle estremità dell’astache avevo tra le mani in modo che ruotasse liberamente.

      La schiava annuì e tornò a lavorare avvolgendo il filo sul gomitolo mentre io tenevo l’asta dello strumento.

      “Non capisco cosa significhi.”

      Quando finì il filo sull’asta, la prese e ne iniziò a girare uno nuovo.

      “Conosci la donna chiamata Lotaz?”Le chiesi.

      La ragazza schiava fece girare la ruota e lavorò il filo sempre più a lungo, apparentemente ignorandomi.

      “Lotaz ha i capelli lunghi e ricci,” dissi. “E si tinge le labbra ele guance.”

      Presi una capsula di cotone dal cestino, rimossi i semi e dipanai alcune fibre come avevo visto fare alla ragazza. Mi prese il cotone e lo lavorò rapidamente in tutta la sua lunghezza. Presi un’altra capsula e continuammo a lavorare, ma lei non reagì a nessuna delle mie parole.

      “Senti quello che sto dicendo?”

      Nessuna risposta.

      “I tuoi capelli sono in fiamme!”

      Prese un’altra capsula di cotone dalla mia mano ma non disse nulla.

      “C’è un soldato orribile che corre qui per tagliarci a pezzetti e darci da mangiare ai leoni!”

      Ancora nessuna risposta. Alla fine, dissi,“Tin tinbansunia.”

      La ragazza sorrise. Apparentemente, poteva sentire ed era soddisfatta di ciò che le avevo detto, anche se non avevo idea di cosa le avessi detto.

      Continuammo in questo modo, lei filava, mentre io dipanavo il cotone e parlavo del campo, Yzebel, Obolus e la mia avventura con la brocca di vino. Le ho anche raccontato di aver visto Annibale e di quanto fosse bello.

      Pensavo avesse circa la mia età, dodici estati, forse un po’più giovane, snella e alta meno di due frecce. La sua carnagione era più profonda del colore di una pesca color cannella, con gli occhi scuri come la notte nella foresta. Non disse una parola e non mi prestò alcuna attenzione se non per prendere le capsule di cotone dalle mie mani per lavorarle.

      Presto trasformammo il cestino di cotone in tre grandi gomitoli di lana. La ragazza li mise nel cestino, poi lo raccolse e mi passò accanto.

      “Tin tinbansunia,” mi disse.

      Per quanto ne sapevo, avrebbe potuto significare “Arrivederci, piacere di averti conosciuta” oppure“Ho finito, ora puoi andare” oppure“Per favore, non disturbarmi di nuovo.”

      Mentre sedevo a gambe incrociate sul tappetino quadrato dove ero stata per gli ultimi due gomitoli di lana, fissavo la ragazza che si allontanava da me, sentendomi sola.

      Dopo qualche passo, si fermò, guardò indietro e con un grande sorriso disse, “Tin tinbansunia.” Inclinò la testa nella direzione in cui si era diretta, come per dire: “Dai, vieni. Cosa stai aspettando?”

      Mi alzai di scatto e corsi a camminare accanto a lei. “Tin tinbansunia?”

      Indicò il sentiero e mi diedeun manico del cestino, così lo portammo tra di noi. Il sentiero conduceva su una ripida salita, dove poi si snodava attraverso una pineta sul lato oscuro dellaCollina Rocciosa. Le tende e le baracche sottostanti lasciavano il posto a capanne fatte di tronchi, con tetti di rami di paglia. Sembrava che avessimo lasciato il quartiere più povero e fossimo entrati in uno più ricco.

      Le capanne erano distanziate e nessuno sembrava esserci nei paraggi. In basso, il rumore delle attività continuava, con molte persone che si occupavano delle loro faccende, ma lì nella foresta, tutto ciò che sentii fu la brezza tra le cime degli alberi e un corvo solitario gracchiare in lontananza.

      “Chi abita qui?”

      Non mi aspettavo alcuna risposta, ma pensai di poter leggere qualcosa nell’espressione della ragazza. E infatti così fu. Il semplice sorriso della ragazza era sparito, sostituito da uno sguardo di apprensione.

      “Tin tinbansunia,” sussurrò e indicò una piccola capanna alla fine di un sentiero laterale, lontano dagli altri. Era circondato da alberi alti e scuri.

      L’apprensione sul viso della ragazza divenne un’espressione di terrore. Capii che non voleva andare lì.

      “Torniamo indietro.”Indicai il sentiero.

      Guardò dove avevo indicato ma poi si trascinò verso la capanna. Tenevo ancora il manico opposto del cestino, quindi andai con lei, ma senza alcun entusiasmo.

      Quando ci avvicinammo alla capanna, la porta si aprì cigolando sui cardini di cuoio


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