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Il Guerriero Sfregiato. Brenda TrimЧитать онлайн книгу.

Il Guerriero Sfregiato - Brenda Trim


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per trovare una cura?” Domandò poi Zander al guaritore quando questi si avvicinò alla cella di Shae.

      Jace si guardò indietro verso il Re Vampiro. “In realtà abbiamo preso la cura su cui stavamo già lavorando e l’abbiamo adattata alla struttura del veleno che abbiamo rilevato nel loro sangue. Abbiamo un antidoto che possiamo testare. Sfortunatamente al laboratorio non possiamo fare altro senza dati empirici. Il problema è che non abbiamo idea degli effetti collaterali che l’antidoto potrebbe avere su un essere vivente”. Shae sentì la speranza gonfiarle il petto; forse avrebbe avuto la possibilità di tornare a com’era prima dell’incubo. Non le fregava un cazzo degli effetti collaterali, voleva la cura.

      CAPITOLO CINQUE

      “Non sapevo avessimo fatto così tanti progressi!” esordì Zander in tono entusiasta.

      Jace si avvicinò alle sbarre della cella di Shae e rispose al Re nel sistemare il kit a terra. Aveva diversi oggetti in mano.

      “Lascia che ti aiuti” mormorò Zander raggiungendo il Guerriero.

      “Nel corso dei secoli abbiamo sviluppato diversi antidoti che credevamo che avrebbero funzionato, ma solamente dopo aver avuto a che fare con Jessie abbiamo realizzato qualcosa di efficiente. Puoi per favore portare il braccio tra le sbarre in modo che possa prendere un campione di sangue?” Domandò Jace a Shae.

      “Cosa vi fa pensare che possa funzionare su queste donne?” Chiese Zander.

      “È accaduto qualcosa che non era mai successo prima. Il siero che abbiamo aggiunto ai campioni di sangue ha neutralizzato il veleno presente”.

      Shae ascoltò con attenzione nel portare il braccio tra le sbarre. “Pensate che sia veramente possibile?” Voleva crederci. Avrebbe sempre avuto addosso delle cicatrici e i ricordi l’avrebbero sempre tormentata, ma sarebbe stata una donna libera se solo fosse stata capace di non provare più sete di sangue.

      “Come ho detto” rispose il guaritore nel portarle un laccio emostatico intorno al braccio, poi disinfettò l’area interessata e alzò lo sguardo su di lei. “Non abbiamo modo di sapere se è veramente efficace, ma i test iniziali sono promettenti”.

      “Wow, è la notizia migliore di tutto il giorno, cazzo!” esclamò Zander porgendo a Jace una siringa e un tubo per far defluire il sangue nella provetta. L’uomo inserì l’ago senza darle fastidio. “So che non ce ne avresti parlato se non fossi preparato per proseguire”.

      “Sì, ho una dose con me”. Shae perse un battito all’affermazione del guaritore, e le presero a sudare le mani dall’entusiasmo. Improvvisamente non le importò di essere un ratto da laboratorio. “Io e gli scienziati” proseguì Jace “crediamo di doverla usare su una delle ragazze con i livelli più bassi di veleno nel sangue”. L’entusiasmo di Shae lasciò spazio alla delusione di non essere adatta alla prova.

      Jace rimosse il laccio emostatico e la siringa, quindi le pulì il braccio. “Mi dispiace, Shae. So che vuoi offrirti volontaria, ma i tuoi livelli sono troppo alti”.

      Shae non si preoccupò di nascondere la propria rabbia e la delusione. “Immaginavo. Promettimi che farai tutto ciò che serve per guarire le altre”.

      “Non ho intenzione di lasciare nessuna di voi in questo stato” la rassicurò Jace, quindi si spostò con Zander alla cella successiva.

      Shae cercò di portare la testa tra le sbarre per osservare ciò che stavano facendo. Ringhiò dalla frustrazione quando si rese conto di non riuscire a farlo, quindi si concentrò su ciò che stavano dicendo. Li sentì chiedere a un’altra ragazza se fosse stata disposta a farsi iniettare l’antidoto. Shae non fu sorpresa di apprendere che avevano scelto la prigioniera più recente. Era stata imprigionata solamente qualche giorno prima e Shae non sapeva nemmeno come si chiamava.

      Udì del movimento contro il metallo e dei mormorii quando Jace le spiegò che cosa avrebbe fatto. Sembrava tutto molto cinico, qualcosa che non prendeva in considerazione l’importanza di ciò che stava per succedere. Non sopportava il fatto di non riuscire a vedere quello che stavano facendo. Sembrava che tutti nelle segrete fossero in attesa della reazione della ragazza. Improvvisamente esplose il caos; udì delle urla e vide Jessie affrettarsi verso la cella.

      “Cosa sta succedendo?” Esclamò Shae, ma non le rispose nessuno. Udì Jace tuonare degli ordini, dicendo di tenere ferma la donna, e le vennero i brividi lungo la schiena. Non era il guaritore che aveva sperato fosse.

      Vide passare Jessie davanti alla propria cella dopo un’attesa agoniante. “Jessie, cos’è successo? Ditemi qualcosa!” La implorò Shae, ma la ragazza avanzò senza risponderle né guardarla negli occhi. Qualche minuto più tardi Zander e Jace le passarono davanti portando con sé la ragazza. Lo spettacolo le fece venire la nausea. Urlò dalla disperazione e fece agitare le sbarre. La poveretta era irriconoscibile.

      Sanguinava dagli occhi, dal naso e dalle orecchie, così come da ciò che una volta era stata la bocca. La carne del suo corpo aveva iniziato ad annerirsi e a marcire, lasciando intatte solamente qualche macchia della sua pelle color caramello. A Shae venne da vomitare quando la raggiunse il tanfo che emanava. Era chiaro che la donna stesse marcendo da dentro. Aveva abbandonato la testa indietro e la carne bruciata metteva in mostra i nervi del collo di lei, ed era come se le fossero stati dislocati gli arti. Le venne un conato quando vide cadere un pezzo del mignolino di lei sul pavimento di pietra. Le vennero le lacrime agli occhi al pensiero che la donna era morta per nessuna buona ragione. Si sentì ribollire di rabbia.

      “L’avete uccisa. Come avete potuto farlo?!” Jace si voltò all’accusa di lei, e lesse il rimorso nei suoi occhi color ametista. Non l’aveva fatto apposta e chiaramente soffriva a causa dell’accaduto. Shae sapeva che i Guerrieri Oscuri erano dei bravi uomini che si meritavano il rispetto e la fiducia, e nonostante la rabbia che provava in quel momento, la sua opinione su di loro non era cambiata.

      “Non sapevo sarebbe successo” rispose Jace prima di salire al piano superiore. Shae fissò le scale per un lungo istante prima di raggiungere il letto dove vi si abbandonò, ignorando i pianti e le domande delle altre donne. Era sempre stata quella che aveva rassicurato le altre, dicendo loro che qualcuno le avrebbe portate in salvo, ma non aveva più niente da offrire loro. Era appena stata privata dell’unico bagliore di speranza che aveva provato in sette mesi. Non sarebbe mai più uscita da quella cella. Le venne voglia di abbattere i muri e scattare di corsa fino a che l’avrebbero retta le gambe. Non sarebbe mai più stata la donna di prima e non c’era speranza nemmeno per le altre, quindi perché avevano mentito?

      Si coricò nel riflettere sulle implicazioni che ciò avrebbe avuto sul proprio futuro. Si era preparata a morire in infinite occasioni nel giro dei mesi precedenti, ma le era sempre stata negata la possibilità. Maledì silenziosamente la Dea per aver giocato alla carota e il bastone con lei. Non si era calmata dallo sfogo che aveva avuto, e quel pensiero la fece solamente arrabbiare di più.

      L’ira peggiorò, ed era come se avesse avuto il proverbiale diavolo sulla spalla che le sussurrava all’orecchio di vendicarsi. Si ammonì; era ridicola e doveva calmarsi. Cercò di respirare a fondo come aveva suggerito Jessie, eppure affondò con le unghie nelle lenzuola fino ad arrivare al materasso.

      Venne distratta da qualcuno che bussò alle sbarre. Era stata talmente presa dai propri pensieri da non rendersi nemmeno conto che qualcuno stava scendendo le scale. Inizialmente vide una figura arancione-rossiccia, e poi distinse l’odore del maschio. Dovette sbattere le palpebre diverse volte prima di vedere distintamente il volto sfregiato di Gerrick. Aveva ancora la vista a infrarossi, ma riconobbe il cupo insieme della sua bocca e gli occhi del colore del ghiaccio. Stranamente la sua rabbia svanì come polvere nel vento. La mera presenza di lui la tranquillizzava, e Shae si godette la sensazione.

      “Ti ho portato da mangiare. Le altre hanno mangiato mentre tu dormivi” la informò porgendole un vassoio di metallo. Le prese a brontolare lo stomaco quando la raggiunse il profumo emanato dal piatto. Le venne voglia di privarlo del vassoio in fretta e furia prima che la propria sete di sangue


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