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Tornanti. Pamela Fagan HutchinsЧитать онлайн книгу.

Tornanti - Pamela Fagan Hutchins


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dottor Greybull. Ci siamo incontrati a quella colazione con i pancake per i vigili del fuoco, mi pare?»

      «Sì, effettivamente. Ho appena cercato Patrick in ospedale e non l’ho trovato. Può farmi chiamare da lui?»

      «Mi dispiace. Starà tornando a casa. Saprà di cosa si tratta?»

      «Ho qualche ultima domanda da fargli prima di rilasciare il referto dell’autopsia della Jones.» Le diede un numero di telefono.

      Susanne sapeva di che caso si trattava. Suo marito era di malumore da quando non era riuscito a salvare la vita dell’anziana donna. Patrick era un medico brillante e lei sapeva che aveva fatto del suo meglio. A volte le brutte cose accadevano e basta. Senza motivo. La gente viveva, moriva e i medici non erano Dio, ma pochi lo capivano. «Nessun problema.»

      «Grazie.»

      Susanne rimise giù il telefono. La sua mente andò alla notte in cui Bethany Jones morì. Patrick aveva pianto tra le sue braccia. Lei aveva gli occhi che le bruciavano. Era stata così fortunata a trovare un marito come lui, in molti modi. Forse il Wyoming non sarebbe stato per sempre.

      Il cucchiaio di Trish cadde rumorosamente sul tavolo, fuori dalla tovaglietta. Con la bocca piena, chiese: «Comunque, perché papà ci fa andare a caccia di cervi con lui?»

      Bella domanda. Una a cui preferì non rispondere. Le discussioni con le ragazzine adolescenti andavano evitate a tutti i costi. «Togli quel cucchiaio bagnato dal mio tavolo.»

      Trish lo fece, lentamente.

      Susanne fu colpita da un pensiero. Capiva perché Patrick voleva andarci. Amava cacciare. Capiva anche quanto volesse trascorrere del tempo con i figli e fare insieme a loro quella attività che amava. Ma perché lei doveva andare con loro? Lei era sempre con i bambini. Enumerò mentalmente i punti a sfavore della caccia. Odiava, in nessun ordine particolare, avere freddo, dormire sul terreno duro, sparare, i cavalli e le cose morte. In un lampo, comprese perché non aveva fatto fare i bagagli ai bambini o finito di preparare le sue cose.

      Non ci sarebbe andata.

      «Mamma, mi hai sentita? Ti ho chiesto perché papà ci fa andare con lui?»

      La porta d’ingresso si aprì e si chiuse. Patrick era a casa. Ferdinand trotterellò di sotto per andare ad accoglierlo. Susanne lo udì salutare, poi mandare fuori il cane.

      «Chiedi a tuo padre.»

      Perry era così preso dalla TV che non aveva sentito suo padre entrare. Se se ne fosse accorto, sarebbe saltato in piedi e avrebbe spento il televisore. Patrick e Susanne di solito limitavano i bambini a guardare Il mondo sottomarino di Jacques Cousteau o Mutual of Omaha’s Wild Kingdom, e un cartone animato a settimana. Con il suo morale a terra, Susanne aveva chiuso un occhio e lasciato Perry guardare la TV più del consentito.

      La testa dai capelli castano chiaro di Patrick apparve in cima alle scale, che davano sul soggiorno, e su Perry. «Tutti pronti per la caccia?» Il suo bel viso appariva tirato e gli occhi azzurri infossati, ma la sua voce era allegra.

      «Ehi, tesoro», disse Susanne. «Una lunga notte?»

      Trish tornò ai suoi cereali. Ogni risucchio di latte e ogni sbattere di denti sollevava l’ira di Susanne. Si sentiva sull’orlo di un brutto sbalzo d’umore, per cui si incollò un sorriso sul viso.

      «Incredibilmente dura. Ti racconterò tutto mentre andiamo in montagna.» Mentre si avvicinava a Susanne, Patrick si chinò per evitare una lampada che pendeva dal basso soffitto, aggrottando la fronte. Era alto non più di un metro e ottanta, ma la lampada era posizionata in modo strano. «Perché Perry sta guardando il football?»

      Udendo il proprio nome, Perry finalmente notò la presenza di suo padre e balzò in piedi. Indietreggiò fino alla TV e la spense.

      «Gliel’ho lasciata accendere un attimo mentre mangiava.» Susanne incrociò le dita in grembo e sperò che i bambini non facessero la spia.

      Patrick baciò sua moglie sulla guancia, poi posò il portafogli e le chiavi sul bancone della cucina. «Le borse sono pronte per essere caricate sul pick-up?»

      Perry si avvicinò al tavolo. Abbassò il capo. «Non ancora.»

      «Ehi, campione, pensavo fossi emozionato di essere finalmente abbastanza grande per cacciare.»

      «Lo ero. Sono. Sarò pronto in fretta. Ma, papà, come mai non posso giocare a football? Sono abbastanza grande anche per questo.»

      «Perché non voglio che ti spacchi il cranio. Ne abbiamo già parlato. Potrai giocare quando sarai alle superiori.» Distolse lo sguardo dal figlio e lo portò su Trish e Susanne. «Ora preparatevi. Tutti voi. Stiamo sprecando la luce del giorno e si va a caccia!» Disse le ultime parole quasi cantando e mancò poco che inciampasse per la fretta.

      «Devo proprio?» chiese Trish, con la voce dolce per convincerlo.

      Suo padre si fermò. «Farò finta che tu non me l’abbia chiesto. Muovetevi.»

      I ragazzi se ne andarono in fila, Perry in punta di piedi ed eccitato, Trish con le spalle curve e la faccia imbronciata.

      «Che cos’ha?» chiese Patrick. Si versò una ciotola di cereali e una tazza di caffè.

      «È una ragazza di quindici anni. Vuole stare con i suoi amici. E, visto come corre ogni volta che squilla il telefono, penso che potrebbe esserci di mezzo un ragazzo.»

      «È troppo giovane per avere un ragazzo.»

      «La stessa età che avevo io quando ho iniziato a uscire con te.»

      «È esattamente questo il punto.»

      Susanne gli sorrise. «Forse è come me sotto molti punti di vista.»

      «Cosa intendi dire?»

      Era impossibile che quello che stava per dirgli gli andasse bene, ma doveva dirglielo. «Odio la caccia.»

      «Non odi la caccia.»

      Si fece forza. «Sì, invece. Non mi piacciono per niente i fucili. E i cavalli. Cindy inciampa continuamente. Mi spaventa. E ho deciso che non verrò a questa gita.»

      La ciotola di Patrick cadde sul pavimento e si ruppe, facendo schizzare latte e cereali sul linoleum e sugli armadietti, arrivando fino al tappeto. «Tu hai cosa?» Gli occhi che le rivolse erano tempestosi.

      No, non la stava affatto prendendo bene.

      TRE

      BUFFALO, WYOMING

      18 settembre 1976, ore 11 di mattina

       Trish

      Trish sollevò la cornetta del telefono a ciambella giallo che i suoi genitori le avevano regalato per il suo quattordicesimo compleanno. Compose il numero, fece confusione e lo compose di nuovo. Mentre la linea squillava, si sedette sulla sua sedia a uovo sospesa e si dondolò, ammirando il fondo dei suoi jeans a zampa di elefante. Sua madre non le permetteva di indossare i sandali con la zeppa che desiderava ardentemente, ma i pantaloni non stavano male con i suoi finti stivali Dingo.

      Sentì voci alterate al piano di sopra. Piantando i piedi nel tappeto, trattenne il respiro per poter sentire.

      «Ho detto che non vengo.» La voce di sua madre era ferma. Non teneva testa a suo padre tanto spesso, ma quando lo faceva, lo faceva alla grande.

      «Vuoi rovinare la vacanza a tutti?» chiese suo padre.

      La voce di una donna all’orecchio interruppe il suo origliare. «Pronto?»

      «Posso parlare con Brandon, per favore?» chiese Trish, usando il tono educato che riservava agli adulti non della famiglia e parlando a bassa voce in modo che i suoi genitori non la sentissero. Ma di che si preoccupava? Suo


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