Tornanti. Pamela Fagan HutchinsЧитать онлайн книгу.
scettica.
«Trish Flint.»
«Flint?» La signora Lewis enfatizzò la t finale, emettendo un suono che parve a Trish quello di una cavalletta sputata fuori, come quando gliene era volata una piccola in bocca.
«Sì.»
Trish poteva sentire la donna respirare mentre rifletteva sulla sua richiesta. La signora Lewis era un’infermiera e Trish aveva udito i suoi genitori parlare del suo licenziamento il mese prima. Doveva aver rubato qualcosa e il padre di Trish l’aveva colta sul fatto. Non doveva avere molta simpatia per lui. Questo voleva dire che non vedeva di buon occhio nemmeno la figlia? Non aveva il tempo di cercare di farsela amica, se non chiamava subito Brandon, non avrebbe avuto la possibilità di parlargli prima che suo padre la costringesse a marciare fuori dalla porta per quella stupida gita in campeggio.
«Un attimo, per favore.»
Un forte rumore metallico disse a Trish che la signora Lewis aveva lasciato cadere la cornetta sul bancone. Poco gentile, signora. Iniziò a contare. Se fosse arrivata a cento senza che la donna avesse fatto venire Brandon al telefono, avrebbe riattaccato. Suo padre non sarebbe stato contento se fosse sceso e l’avesse trovata al telefono invece di fare i bagagli.
La madre di Trish gridò così forte che anche i vicini potevano udirla, cosa che normalmente non avrebbe fatto. «Odio la caccia. E i fucili. E il campeggio. E sentirmi dire cosa fare. E tu sapevi tutto questo prima di decidere di fare questa gita.»
Brava, mamma! Se lei non ci va, papà non costringerà nemmeno me! Poi si ricordò che quel fine settimana c’erano un sacco di attività in parrocchia. Se fosse rimasta a casa, sua madre l’avrebbe fatta andare là. Obbligava i figli a partecipare a tutto quello che organizzava la loro chiesa. La scuola domenicale, lo studio della bibbia durante le vacanze e ora il gruppo giovanile. L’unica cosa che le piaceva dello studio della bibbia era che poteva memorizzare i versi per vincere dei premi, perché vinceva sempre: settimane in campeggio, autolavaggi, prodotti da forno. La famiglia di Brandon apparteneva alla stessa parrocchia, ma non si faceva quasi mai vedere. Che cosa era meglio: evitare quello o non dover cacciare?
Suo padre si stava innervosendo sempre di più. «Non vedevo l’ora di fare questa gita. Non passo mai del tempo con i bambini.»
Niente faceva più paura della voce di suo padre quando era arrabbiato. Trish rabbrividì, ma Susanne non aveva paura di Patrick.
«Io sì. Potrei prendermi una pausa.»
Bello, mamma. Ti voglio bene.
Poi udì Brandon: «Senti... ciao.» Aveva un tono sorridente.
Trish sentì calore al viso. Non riusciva a credere di aver trovato il coraggio di chiamarlo. Non aveva mai chiamato un ragazzo prima. Dimenticò completamente il litigio dei genitori. «Senti, ciao a te.»
«Come butta?»
Con Brandon, Trish si sentiva così fuori moda. Andava matta per il modo in cui parlava. Come se fosse californiano o qualcosa del genere, anche se era nato e cresciuto a Buffalo. «Mio padre ci porta a caccia con l’arco. Per i cervi, sai, no?»
«È lontano.»
Trish valutò se dire che era d’accordo con lui. Brandon era un vero fusto e più grande di lei, due anni più avanti a scuola. Piaceva a tutte le ragazze. Era piuttosto sicura di piacergli, ma l’aveva chiamata solo poche volte e non le aveva mai chiesto di andare con lui da qualche parte né altro. Le sue amiche ritenevano che fosse importante lasciare i ragazzi parlare di se stessi e comportarsi come se si amassero le stesse cose che facevano loro. Ma Trish non era molto brava a fingere, e questo poteva rovinare le cose.
«Non lontano. Ma ci farà perdere la scuola e tutto il resto.»
«“Miss voti perfetti” rischia di prendere un otto?»
Trish udì un clic sulla linea telefonica. «Qualcuno ha appena preso su la cornetta?»
«Non credo», rispose Brandon. «Pronto, pronto, c’è qualcuno?»
Non ci fu risposta.
Trish ruotò la sedia verso la finestra e parlò più piano. «Anche mia madre non vuole andarci, ma lascia che mio padre mi ci porti. È tipo complice di un rapimento. Dovrei scappare e basta.»
«Esatto. Non lasciare che l’uomo ti metta i piedi in testa.» Trish udì una risata nella sua voce.
«Mi stai prendendo in giro?»
«Sì, un pò. Rilassati. Sarà un bel viaggio. Che culo.»
«Cioè, se lo dici tu.» Si sentiva stupida a cercare di parlare come lui, e non era nemmeno sicura di farlo bene.
«Dove andate?»
«Non lo so. Da qualche parte vicino ad Hunter Corral è quello che ha detto a mia madre.»
«Vi portate tutto con lo zaino?»
«A piedi?»
«No, a cavallo, scema.»
«Oh. Sì. A cavallo. E poi ci accampiamo.»
«Ganzo.»
«Forse dovresti andarci tu al posto mio.»
«O potrei semplicemente venire lassù per un saluto.»
«Quello sarebbe una figata.» Una vampata di calore le fece arrossire di nuovo le guance.
La voce di suo padre tuonò dal fondo delle scale. «Trish, perché la tua borsa non è vicino alla porta? Bisogna che tu venga fuori immediatamente.»
«Devo andare, Brandon.» Si fermò, quasi trattenendo il respiro, sperando che lui si dichiarasse e rendesse le cose ufficiali tra loro. Sarebbe valso qualche secondo in più e l’ira di suo padre.
Tutto quello che disse fu: «Vai, che vai alla grande.»
Parte dello sballo che aveva provato parlando con lui evaporò. Se fosse tornata e avesse scoperto che stava uscendo con Charla Newby, non avrebbe mai perdonato suo padre. Charla. Le faveva venire il vomito. Capelli neri lunghi e ricci, e grandi occhi scuri. Prima classificata nel barrel racing al rodeo giovanile di quell’anno. Charla poteva avere tutto quello voleva, e ultimamente Trish aveva sentito dire che voleva Brandon. «Ehm, sì. Ci becchiamo poi.»
Riappese e affrontò il genitore infuriato, che ora era davanti alla porta della sua camera. Però non appariva così minaccioso con la carta da parati a fiori blu come sfondo.
«Eri al telefono?»
«Scusa. Dovevo parlare con un’amica perché si faccia dare i compiti per me. Visto che sto perdendo le lezioni.»
«Datti. Subito. Una mossa.»
Si fece coraggio e disse tutto d’un fiato: «Papà, se la mamma non viene, non ci vengo nemmeno io».
«Oh sì che ci vieni, signorina.»
«Ma non mi piace cacciare.»
Era vero. Non le dispiaceva sparare ai bersagli. Suo padre pensava che saper sparare fosse un’abilità necessaria nella vita e le aveva insegnato a farlo quando aveva undici anni. Perry aveva cominciato ancora prima. «Tutto parte dalla sicurezza, e la sicurezza inizia con la conoscenza», aveva detto. Le aveva fatto caricare e manovrare una carabina, una rivoltella e un fucile, tutto da sola. Sua madre aveva insistito sul fatto che, se voleva insegnare loro a sparare, avrebbe dovuto insegnare anche a difendersi in altri modi. Il padre, allora, aveva organizzato vere e proprie lezioni, con tappetini sul pavimento del soggiorno e i suoi tre allievi, contando anche la madre, di fronte a lui. Li istruiva per bene. «Qualunque cosa vi faranno fuori da qui sarà sempre peggio di quello che vi farò io qui. Quindi lottate, lottate, lottate.» Poi li addestrava sulle mosse di autodifesa. Dita negli occhi. Colpi di testa al naso. Calci all’inguine.
Onestamente, suo padre era piuttosto violento. E un