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Comando Primario: Le Origini di Luke Stone—Libro #2. Джек МарсЧитать онлайн книгу.

Comando Primario: Le Origini di Luke Stone—Libro #2 - Джек Марс


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di selezione per la Delta e nemmeno in zona di guerra—in cui era stato tanto stanco.

      Il bambino, Gunner, suo figlio appena nato… si rifiutava di dormire. Né di notte né di giorno. Quindi neanche lui e Becca chiudevano occhio. In più Becca non riusciva a smettere di piangere. Il dottore le aveva diagnosticato la depressione post partum, complicata dalla stanchezza.

      La madre della donna era andata a vivere nel cottage con loro. Non stava andando bene. La madre di Becca… da dove iniziare? Non aveva mai lavorato un solo giorno in tutta la sua vita. Sembrava sbalordita che ogni mattina Luke uscisse per affrontasse il viaggio fino ai sobborghi della Virginia, a Washington DC. E sembrava ancora più sconcertata che non tornasse fino a sera.

      Il cottage rustico, che si trovava su una splendida scogliera sopra Chesapeake Bay, era di proprietà della sua famiglia da un secolo. La donna ci andava sin da quando era una bambina e ora si comportava come se fosse casa sua. In effetti lo era.

      Aveva cominciato a insinuare che lei, Becca e il bambino avrebbero fatto meglio a trasferirsi nella sua casa ad Alexandria. Per Luke la parte più difficile era che gli stava iniziando a sembrare una buona idea.

      Aveva preso a fantasticare di arrivare al cottage dopo una lunga giornata e di trovare il posto completamente vuoto. Riusciva quasi a vedersi. Luke Stone apre il frigo, afferra una birra ed esce nella veranda sul retro. È arrivato appena in tempo per godersi il tramonto. Si siede sulla sedia da giardino e…

      CRACK!

      Luke trattenne un sobbalzo.

      Alle sue spalle una squadra di sette fucilieri aveva sparato una raffica in aria. Il suono riecheggiò tra le colline. Poi spararono ancora. E ancora.

      Un saluto con ventun colpi, sette fucili alla volta. Era un onore che non meritavano tutti. Martinez era un veterano pluridecorato in due teatri di guerra. Ora era morto per sua stessa mano. Ma non doveva andare così.

      Tre dozzine di soldati erano in formazione vicino alla fossa. Una manciata di agenti ed ex agenti della Delta in abiti civili erano poco distanti. Gli uomini della Delta si riconoscevano sempre perché sembravano rock star. Si vestivano come rock star. Erano grossi e muscolosi, in maglietta e blazer, e pantaloni color cachi. Portavano la barba lunga e gli orecchini. Uno portava una larga cresta tagliata corta.

      Luke era da solo, in un completo nero, e stava studiando la folla alla ricerca di qualcuno che si aspettava di trovare: un uomo chiamato Kevin Murphy.

      Davanti a tutti c’era una fila di sedie bianche. Una donna di mezza età vestita di nero si stringeva a un’altra. Accanto a loro, una guardia d’onore composta da tre Ranger, due Marine e un Aviere stava togliendo la bandiera dal feretro per ripiegarla con cura. Uno dei soldati si abbassò su un ginocchio di fronte alla donna in nero e le presentò la bandiera.

      “A nome del presidente degli Stati Uniti,” disse il giovane Ranger con voce rotta, “dell’esercito degli Stati Uniti e di tutta la nazione, la prego di accettare questa bandiera come simbolo di riconoscenza per l’onorevole e fedele servizio reso da suo figlio.”

      Luke guardò di nuovo gli uomini della Delta. Uno si era allontanato dal gruppo per incamminarsi da solo su una collina erbosa tra le lapidi bianche. Era alto e snello, con capelli biondi tagliati molto corti. Portava un paio di jeans e una camicia azzurro chiaro. Nonostante la sua magrezza, aveva spalle ampie e braccia e gambe muscolose. Le braccia sembravano quasi troppo lunghe per il suo corpo, come quelle di un giocatore di basket d’élite. O di uno pterodattilo.

      Avanzava lentamente, senza alcuna fretta. Sembrava non avesse impegni pressanti. Teneva lo sguardo chino sull’erba mentre camminava.

      Murphy.

      Luke lasciò il servizio funebre e lo seguì sulla collina. Aveva il passo più rapido dell’altro uomo e guadagnò in fretta terreno.

      Martinez era morto per diversi motivi, ma quello più ovvio era che si era fatto saltare il cervello nel suo letto d’ospedale. E qualcuno gli aveva portato una pistola per farlo. Luke era sicuro al cento percento di chi fosse stato.

      “Murphy!” disse. “Aspetta un minuto.”

      L’altro uomo alzò lo sguardo e si girò. L’istante prima era parso assorto nei suoi pensieri, ma il suo sguardo si fece subito attento. Aveva un volto stretto come quello di un rapace, a modo suo attraente.

      “Luke Stone,” disse con voce piatta. Non sembrava felice di vederlo. Non sembrava neanche dispiaciuto. I suoi occhi erano duri. Come quelli di tutti gli uomini della Delta, brillavano di una luce fredda e calcolatrice.

      “Facciamo un po’ di strada insieme, Murph.”

      Lui scrollò le spalle. “Come preferisci.”

      Ripresero a camminare fianco a fianco. Luke rallentò per adeguarsi al passo dell’altro. Avanzarono per un momento senza dire una parola.

      “Come te la passi?” gli chiese. Era uno strano convenevole con cui iniziare. Era andato in guerra con quell’uomo. Avevano combattuto insieme decine di volte. Adesso che Martinez era morto, loro erano gli ultimi due sopravvissuti della notte peggiore della vita di Luke. Si sarebbe pensato che tra di loro ci fosse una certa intimità.

      Ma Murphy non gli concesse niente. “Sto bene.”

      E poi si azzittì.

      Nessun “Come stai?” Nessun “È nato tuo figlio?” Nessun “Dobbiamo parlare”. Non aveva voglia di fare conversazione.

      “Ho sentito che hai lasciato l’esercito,” riprese Luke.

      Murphy sorrise e scosse la testa. “Che cosa posso fare per te, Stone?”

      Luke si fermò e gli strinse una spalla. L’altro uomo si voltò, scrollandoselo di dosso.

      “Ti voglio raccontare una storia.”

      “Fai pure,” replicò Murphy.

      “Ora lavoro per l’FBI,” iniziò. “In una piccola sezione distaccata all’interno del Bureau. Raccolta d’informazioni. Operazioni speciali. La gestisce Don Morris.”

      “Buon per te,” rispose l’altro uomo. “Lo dicevano tutti, sai. Stone è come un gatto. Atterra sempre in piedi.”

      Luke l’ignorò. “Abbiamo accesso a certe informazioni. Le migliori. Sappiamo tutto. Per esempio so che hai disertato all’inizio di aprile e che sei stato congedato con disonore sei settimane dopo.”

      A quella dichiarazione Murphy scoppiò a ridere. “Devi aver scavato un po’ per scoprirlo, eh? Hai mandato una talpa a esaminare il mio fascicolo? O te lo sei fatto mandare per email?”

      Lui insistette. “La polizia di Baltimora ha un informatore che è un luogotenente di Wesley ‘Cadillac’ Perkins, il capo della gang dei Sandtown Bloods.”

      “Interessante,” rispose l’altro. “Il lavoro della polizia deve essere davvero affascinate.” Si voltò e riprese a camminare.

      Luke lo seguì. “Tre settimane fa, Cadillac Perkins e due guardie del corpo sono stati aggrediti alle tre del mattino mentre stavano entrando in auto nel parcheggio di un nightclub. Secondo l’informatore, sono stati attaccati da un uomo solo. Un uomo bianco alto e magro. Ha fatto perdere i sensi alle due guardie nel giro di due o tre secondi. Poi ha colpito Perkins con la pistola e gli ha rubato una valigetta contenente almeno trentamila dollari in contanti.”

      “Sembra un uomo bianco molto audace.”

      “Il bianco in questione gli ha anche preso la pistola, una Smith & Wesson .38 inconfondibile, con uno slogan particolare inciso sul calcio. La forza crea il diritto. Ovviamente né l’aggressione né il furto del denaro e della pistola sono stati denunciati alla polizia. È solo una faccenda che l’informatore ha riportato al suo contatto.”

      Murphy non lo guardava.

      “Che cosa stai cercando di dirmi, Stone?”

      Luke guardò davanti


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