Le Tessere Del Paradiso. Giovanni MongiovìЧитать онлайн книгу.
bandiva la sua merce, gridando:
«Pesce per i figli e collane per le mogli!»
Ovviamente lo diceva nel latino del popolo, la lingua a cui era più avvezzo.
«Volete una collana?» domandò Vittore non appena Amjad si fu accostato al banco.
«Una collana per femmina…» puntualizzò ancora il venditore, scambiandosi occhiate con Duccio, l’amico del banco accanto, e ridacchiando per via di quell’allusione sull’assenza di mascolinità del cliente appena giunto.
«Sì, una collana…» rispose l’eunuco pieno di imbarazzo.
Vittore allora gliene mostrò una decina, tutti monili creati da lui con le più belle conchiglie che era riuscito a trovare sulle spiagge dei dintorni di Palermo.
«Quale vi piace?»
E Amjad ne indicò una a caso.
Adesso tuttavia il viso di Vittore cambiò espressione e, parlando sottovoce, chiese:
«Non vorrete farmi credere che un eunuco del Re, che per certo può permettersi di indossare oro, argento e pietre preziose, si spinga fin qui per comprare i gioielli dei poveracci…»
«Se voi immaginate già qualcosa… è quello!» rispose serio Amjad, non lasciandosi intimorire dal tono sospettoso del venditore.
«Io non immagino proprio niente.» chiosò Vittore, ritornando a sorridere beffardo.
La sacca contenente le monete d’oro tintinnò adesso sul banco.
«Cinquanta tarì.»
Vittore si guardò attorno circospetto e recitò ancora:
«Voi confondete il valore di ciò che intendete acquistare.»
«La vostra insulsa collana… e che lasciate in pace la mia Naila…»
«Allora credo che la posta valga più di cinquanta monete d’oro.» spiegò Vittore, ritornando serio da far paura.
«Suvvia, pezzente, dove lo hai mai visto tutto questo denaro?»
Vittore, che era ricco d’orgoglio anche se povero di beni, emise un lungo respiro.
«Prendete il vostro denaro e non fatevi più vedere!»
E dunque, ritornando a fissare la folla, riprese a gridare:
«Pesce per i figli e collane per le mogli!»
Se Vittore passava sopra all’insulto e non rispondeva col coltello, quello con cui sbudellava il pesce per intenderci, lo faceva per non finire nei guai. Sapeva quali ripercussioni avrebbero potuto subire lui e la sua famiglia nel momento in cui avesse colpito un eunuco del Re. Comunque sia, adesso fu Amjad a dare in escandescenza.
«Va bene, ditemi quanto volete!» riprese l’eunuco, digrignando i denti e stringendo i pugni.
«Non vendo ciò che non è in vendita… Ve lo ripeto, andatevene!»
Amjad perciò si avvicinò repentino e, sporgendosi in avanti fino ad afferrargli la maglia, gli disse:
«Voi non sapete in quale razza di guaio vi state cacciando! Chiedetelo in giro chi è Mattia… Vi scaglierò addosso tutto l’esercito del Re!»
Ma Vittore, che non poteva tollerare che quello si spingesse fino al punto di toccarlo, lo afferrò per i capelli e lo tirò sul banco del pesce. Dunque concluse quell’azione affondandogli la testa nella cesta delle sardine. I mercanti e il resto dei presenti presero a ridere come se stessero osservando la scena più divertente in cui si fossero mai imbattuti.
«Senti la puzza di pesce? È di questo che profumano gli uomini!» gli fece Vittore all’orecchio, sollevandogli leggermente il capo per i capelli.
Quando infine il venditore di conchiglie mollò la presa, Amjad indietreggiò spaesato, tanto da perdere l’equilibrio e cadere.
«Ve ne farò pentire!» urlò da per terra.
Vittore era tuttavia consapevole che il danno fosse già stato fatto. Si avvicinò perciò all’eunuco e, mentre alcuni compari del mercato impedivano all’atterrato di rialzarsi e di muoversi, gli infilò al collo la collana che precedentemente gli aveva mostrato. Per concludere lo obbligò a gattonare, conducendolo per mezzo di quel guinzagliò composto da conchiglie acuminate. Per Vittore quella fu l’apoteosi del suo successo; venne acclamato e osannato dai presenti più di quanto avessero mai fatto col Re in persona.
Ora il venditore di conchiglie improvvisò l’imitazione di un abbaio, esplicitando quale animale stesse obbligando l’altro ad impersonare. L’allusione era di natura sessuale e andava al di là della già evidente umiliazione.
Quando Amjad venne lasciato libero, fuggì via, senza voltarsi e coprendosi il viso con un lembo del suo mantello. Tornò a Palazzo con la consapevolezza che con quella umiliazione nulla sarebbe stato più come prima. Si rinchiuse perciò nella sua stanza e qui, temendo perfino il giudizio del suo sguardo, ruppe tutti gli specchi che gli capitarono a tiro. Urlò e pianse per ore… quindi cominciò a meditare la sua vendetta. Doveva risolvere la questione velocemente e personalmente, cosicché la sua immagine di fronte a quelli che vedevano in lui un liberatore fosse ristabilita. Vittore doveva morire… tuttavia il solo pensiero di doverlo affrontare nuovamente lo faceva tremare. Fu adesso che nelle turbe della sua mente cominciò a delinearsi un’idea. La persona che poteva fare a caso suo, che poteva effettuare con efficacia la sua vendetta, era già a sua portata di mano.
Da qualche settimana gli era stata affidata l’ospitalità di un maestro d’arte di nome Alessio, un greco su cui pendeva già una condanna a morte per omicidio e a cui era stata commissionata la realizzazione del rivestimento in mosaico della sala di rappresentanza del Re. Ma come convincere un prossimo condannato a morte a diventare lo strumento del suo arbitrio? Non certo col denaro. Dunque Amjad si ricordò di aver sentito dire che quell’uomo era ossessionato da una donna, colei che avrebbe voluto incontrare prima di morire. Ecco perciò come plagiarlo al suo volere: Amjad avrebbe pagato i servigi sanguinari di Alessio offrendogli la possibilità di vedere il soggetto che bramava incontrare.
La stessa sera, quella del cinque, per mezzo della lusinga e dell’inganno l’eunuco entrò in confidenza col maestro d’arte e questi cominciò a fidarsi di lui. Appena due giorni dopo, Amjad giudicò quel rapporto ormai maturo per indirizzare colui che riteneva un vero assassino contro il suo nemico. Tuttavia fu adesso che l’odio dell’eunuco dovette essere convogliato su qualcuno che finora non aveva valutato.
Nel pomeriggio si presentò in udienza privata il gaito Luca, colui che mesi or sono gli aveva soffiato il posto al servizio della Regina.
Questi gli disse:
«Tutta Balarm47 ti ride dietro, Mattia.»
«Sono stato aggredito e derubato… Balarm dovrebbe piangere sé stessa per le condizioni in cui versa!»
«Perché non hai indicato i responsabili?»
«A quest’ora quei ceffi saranno già fuggiti via tra i monti… se li denunciassi non rientrerebbero mai in città. Lascerò che le acque si calmino e che tornino a Balarm per colpirli con la massima severità.»
«E non ti turba per intanto che perfino a Palazzo si parli di te? Ho sentito dire che questa mattina hai minacciato e corrotto i manovali che vengono per i mosaici della sala, affinché qua dentro il tuo nome non sia oggetto dei loro rozzi discorsi.»
«Tu comprendi sempre troppo… non a caso ti appellano gaito benché tu gaito non lo sia.»
«Sono stato per anni gaito dell’esercito preferito dal Re… il suo harem! Ora però offro i miei servigi alla donna che tu hai servito per lunghi anni. Ed è proprio la Regina che oggi mi ha inviato da te, per sincerarsi delle tue condizioni. Sì, Mattia, la tua umiliazione è giunta fino alle stanze più recondite del Palazzo.»
Amjad, il quale immaginava che Margherita di Navarra l’avesse cancellato pure dal cuore, rimase sorpreso e perplesso.
«L’animo della Regina è incline al perdono; dovresti saperlo.» aggiunse il gaito Luca.
Amjad
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Balarm: nome della città di Palermo durante il periodo arabo.