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I Corsari delle bermude. Emilio SalgariЧитать онлайн книгу.

I Corsari delle bermude - Emilio Salgari


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fingendo di osservare gli uccelli che salutavano l’imminente comparsa dell’astro diurno.

      Sul ponte di comando il baronetto passeggiava nervosamente, insieme col suo luogotenente, il signor Howard.

      Al largo, sopravento, due navi l’alto bordo, due treponti con numerosi sabordi guerniti di grosse artiglierie, cercavano, con frequenti bordate, di raggiungere la corvetta. Sulle loro maestre fiammeggiava la bandiera rossa, segnale di imminente combattimento; sull’artimone, la bandiera inglese col suo quarto screziato.

      Il vento di levante le spingeva rapidamente, facendo buona presa sulle loro moli colossali e sul numero immenso di vele, alle quali erano stati perfino aggiunti gli scopamari ed i coltellacci, per ottenere maggior velocità.

      – Piccolo Flocco non si era ingannato, – disse sir William, fermandosi bruscamente. – Che vista d’aquila ha quel giovane! Diventerà un buon marinaio. Che ne dite, Howard?

      – Che siamo presi in una trappola.. – rispose il luogotenente.

      – Invece sono convinto di fare un magnifico scherzo a quei due elefanti marini. Sono tutte tagliate le barbe?

      – Anche i baffi, sir William.

      – Sono tutti vestiti?

      – La stiva è piena di miss e di ladies. Non saranno troppo graziose, tuttavia, vedute a distanza, faranno una rispettabile figura.

      – Specialmente coi parasoli, – disse il Corsaro. Se le cose andranno male, gl’inglesi vedranno uno spettacolo curioso: due navi d’alto bordo assalite da signore dai muscoli di ferro, che maneggeranno le pesanti sciabole d’abbordaggio meglio dei vecchi filibustieri del golfo del Messico e della Tortue. Ah! Un colpo in bianco!

      Una delle due navi, quella che si trovava più vicina, aveva tirato un colpo di cannone a polvere: era l’ordine di mettersi in panna e di mostrare la bandiera.

      – Su in alto i colori d’Inghilterra! – comandò il Corsaro. – Che le graziose ragazze salgano tutte sul ponte ed aprano i parasoli!!

      La bandiera inglese, salì, ondeggiando, fino al picco della mezzana, e mostrò al sole, la sua stoffa rossa col quadro in alto. Quasi nel medesimo tempo la coperta, il castello di prora, ed il cassero venivano invasi da un centinaio di miss, vestite elegantemente, con ampi cappelli piumati e le mani inguantate. Cento parasoli di tutte le tinte si aprirono d’un colpo solo e si agitarono festosamente

      Non sarebbe necessario dire che sotto quei cappelli si scorgevano certi visi da far paura. Fortunatamente gl’inglesi erano troppo lontani per potersi accertare se tutte quelle giovani erano belle o brutte.

      Il Corsaro aveva puntato il cannocchiale sulla prima nave, la quale veleggiava lentamente a circa cento gomene, tentando di portarsi sottovento della corvetta per poterla prendere fra due fuochi, mantenendosi la sua compagna sul sopravento. Essendo la distanza relativamente breve ed il cannocchiale potentissimo, sir William poté subito rendersi conto dello stupore che si era manifestato sul ponte della nave a quell’inaspettato spiegamento di forze femminili e di ombrelli multicolori. Gli uomini che la governavano si erano precipitati tutti verso la murata di sinistra, agitando i berretti ed i fazzoletti per rendere il gentile saluto.

      – Buon segno! – mormorò sir William.

      Alcune bandiere però salirono sull’alberetto della maestra della grossa nave, segnalando:

      – Il vostro nome!

      Il luogotenente del Corsaro fu pronto a far rispondere con altre bandiere:

      – Il Tuonante.

      – Da dove venite?

      – Dalle Bermude?

      – Chi sono quelle miss?

      – Naufraghe che ho raccolto quarantotto ore or sono sullo scafo d’una nave francese disalberta.

      – A quale squadra appartenete?

      – A quella dell’ammiraglio Rodney, – rispose la corvetta.

      – È già giunta alle Antille?

      – Non ancora.

      – Continuate pure la vostra rotta e guardatevi dai corsari americani che corrono il mare in buon numero.

      Le bandiere inglesi scesero e salirono tre volte, poi la corvetta, che si era messa attraverso il vento, orientò rapidamente le sue vele e si rimise in marcia colla prora verso sud-est. Non era veramente la sua rotta, ma fu necessaria la manovra per meglio ingannare i due formidabili avversari.

      Le due navi d’alto bordo la seguirono per qualche miglio, poi si volsero decisamente verso l’est, dirette probabilmente a Boston che le truppe americane assediavano da presso.

      – Che cosa ne dite, signor Howard? – chiese sir William, il quale seguiva col cannocchiale le due navi per spiarne le mosse.

      – Che nessuno, all’infuori di voi, avrebbe avuto più splendida idea, sir, – rispose il luogotenente. – I nostri uomini rideranno un bel pezzo di questa mascherata che li ha salvati da morte certa. Tuttavia non fidiamoci: i due comandanti inglesi potrebbe sorgere qualche sospetto.

      – Apriremo bene gli occhi, mio caro signor Howard, e non riprenderemo la nostra giusta rotta che questa sera, a notte inoltrata.

      In quel momento Testa di Pietra comparve sul ponte di comando tenendo fra le callose mani, dentro un astuccio di legno tutto tarlato, una pipa nera come un pezzo di carbone e che puzzava orribilmente di tabacco.

      – Capitano, disse, facendo un goffo inchino – avete vinto la scommessa e vi consegno la pipa dei miei avi.

      Il baronetto proruppe in una gran risata.

      – È vero; ho vinto – disse poi. – Avrei il diritto di prenderti la famosa pipa di schiuma dell’Asia Minore, ma non fumerò mai in quell’anticaglia inzuppata di nicotina. Tienila pure e prendi invece questa ghinea con la quale potrai bere alla mia salute sotto le mura di Boston.

      – Per il borgo di Batz! – esclamò il vecchio lupo di mare, mettendosi precipitosamente in una delle sue profondissime tasche il ricordo di famiglia ed il pezzo d’oro insieme. – Quando vi sarà necessaria una pelle da marinaro per l’altro mondo, pensate alla mia, capitano.

      – Per una pipa!

      – Ricordi di famiglia, sir William, – disse il luogotenente. – È il blasone della sua stirpe.

      – Sì, della tribù dei pipardi, – rispose gravemente il mastro.

      – Vattene a bere un bicchiere: te lo permetto, – disse il baronetto.

      Testa di Pietra, malgrado i suoi cinquant’anni, fece una piroetta coll’agilità d’un gabbiere e, dopo aver salutato, scese a precipizio la scala, gridando:

      – Piccolo Flocco, a me!

      Un giovanotto di circa venti anni, bruno come un algerino cogli occhi e i capelli nerissimi, si lasciò scivolare con un’agilità da acrobata, lungo uno dei paterazzi dell’albero maestro, e con un gran volteggio cadde quasi addosso al mastro dicendo:

      – Eccomi!

      – Ho una ghinea in tasca, figliolo mio.

      – Tò! Sono diventato vostro figlio in questo momento? Se è per levarvi la ghinea, ci sto.

      – Eterno monello! Ti ho quasi adottato.

      – Speriamo allora in una grossa eredità.

      – Che andrai a raccogliere a Batz, se la troverai. Il baronetto mi ha dato il permesso di bere un bicchiere, ma sai che i bicchieri della marina sono più grossi delle bottiglie. Vieni ad aiutarmi, piccolo furfante!

      Mentre i due amici andavano in cerca del dispensiere di bordo, i marinai non più vestiti da miss, affluivano sulla tolda, ridendo a crepapelle del magnifico tiro giuocato agli equipaggi delle due navi d’alto bordo.

      Il Corsaro era rimasto sul ponte di comando ed esplorava, con una certa ansietà, l’azzurra superficie del mare, che la grande corrente dei Golfo increspava. I due velieri


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