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Le Tessere Del Paradiso. Giovanni MongiovìЧитать онлайн книгу.

Le Tessere Del Paradiso - Giovanni Mongiovì


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sono così stupida.»

      «Perché allora mi hai mentito riguardo a questo luogo?»

      «Per non mettere in difficoltà te e i tuoi amici quando avreste scoperto che frequentavo un cristiano.»

      «Ciò che paventavi è realmente successo.»

      «Lo so, ed è per questo che questa notte mi chiedi di lasciare questa casa.»

      «Per questo e perché comprendo che sei cresciuta troppo per tenerti ancora a bada. È stata colpa mia se ti sei infatuata di quel pescivendolo. Io ho creduto che per te, Naila, non arrivasse mai la primavera, ma mi sbagliavo. Sei come tutte le altre e la stagione della monta non ti ha colta impreparata… Tuttavia, sorella, sai bene cosa succede quando una bestia di razza viene lasciata libera durante l’estro… Rischia di incrociarsi con bestie selvagge e indegne. Perciò ti ho combinato la cosa, affinché il sangue della nostra stirpe non venga insozzato da quell’essere selvaggio e indegno.»

      «Il tuo discorso vale per le bestie… non per gli esseri umani. Non sposerò nessuno che non sia Vittore!»

      «Per darti all’apostasia?»

      «Quante figlie di rispettabili credenti hanno cambiato la lingua in cui pregano Dio in nome della convenienza? E in questa terra ci si sposava tra islamici e cristiani anche quando comandavano gli emiri. Me lo hai detto tu, Amjad.»

      «In Sicilia i fedeli degni e convinti sono stati sempre troppo pochi… Quell’uomo ti ha già deviata, poiché sai bene che non è una questione di lingua. Tu bestemmi!»

      «Tu stesso, fratello, compari davanti al Re indossando una croce d’oro e presenzi a tutte le feste dei cristiani per dare una parvenza di devozione.»

      «Non ho scelto io di essere Mattia… prego tuttavia cinque volte al giorno, poiché il canto del muezzin48 lo sento nell’anima.»

      «E perché allora io non posso fare lo stesso, praticare nel segreto ciò che non do a vedere sotto il sole?»

      «Perché tu puoi scegliere!»

      «È l’amore che mi costringe.»

      «Perciò ti ho data ad un uomo che sappia attenuare i tuoi bollori.»

      «Non mi muoverò da questa casa, Amjad; Vittore è già l’uomo di cui parli! Rinnegami davanti ai tuoi amici, se questo serve a cancellare la vergogna che ti ho procurato, ma non costringermi a nulla. So bene quello che è successo sabato al mercato. Vittore mi ha promesso che si scuserà pubblicamente non appena avrà modo di rincontrarti.»

      Dunque Amjad sorrise e, colto da una strana soddisfazione, spiegò:

      «Quel venditore di gusci di cozze potrebbe essere già morto a quest’ora.»

      Naila rimase di pietra. Il volto del fratello improvvisamente cambiò i suoi connotati. Per la prima volta Naila vide un Amjad diverso, un uomo che giudicò semplicemente “malvagio”.

      Disperata cercò di passare oltre il fratello e oltre la porta, presumibilmente per correre verso l’uomo che amava. Amjad però la trattenne e, mentre lei si dimenava e gridava, ordinò alla serva di salire in carrozza e al cocchiere di accorrere per dargli manforte. Alla fine Amjad la spuntò. Naila venne domata per mezzo di un abbraccio soffocante, lo stesso gesto che, figurativamente, per tutti quegli anni le aveva impedito di staccarsi dalla morbosa ossessione del fratello.

      Dopo non molto la carrozza si trovò a passare per la porta di Sant’Agata. Qui alcuni uomini armati di torce e spade intimarono al cocchiere di fermarsi. Amjad comprese subito che non si trattava di guardie reali e temette l’agguato e la rapina. Sapeva di dover agire con naturalezza, seppure di naturale lui avesse ben poco, essendo chiaramente un ricco eunuco al servizio di Sua Maestà.

      Due di quei ceffi aprirono la portiera e fissarono dentro, soffermandosi per mezzo di una lampada sul viso di ognuno. Dunque, accorgendosi che tra i passeggeri non vi fosse chi cercavano, persero l’interesse che dapprima avevano manifestato.

      «Sono stata rapita e costui è il mio rapitore!» urlò Naila un attimo prima che quelli chiudessero la portiera.

      Perciò uno di quei due, un biondo giovane che aveva le sembianze di un nobile, tornò ad avvicinarsi e chiese ad Amjad:

      «È vero quanto dice questa fanciulla?»

      «Ella è mia sorella… e sì, Signore, l’ho costretta a seguirmi controvoglia.» spiegò con impareggiabile calma Amjad, consapevole che la verità fosse la cosa più saggia da dire.

      «Perché?» domandò di nuovo quello.

      «Intende sposare un uomo che non è al pari del nostro lignaggio.»

      «Non è vero, Signore… egli non è mio fratello!» sostenne ancora Naila.

      Il tizio allora fece segno all’altro di tenerli d’occhio e andò a consultarsi con un’altra figura che si muoveva nell’ombra della notte. Si avvicinò dunque quello che doveva essere il capo, un nobilotto pressoché trentenne che brandiva determinato la sua spada.

      «Siete uno degli eunuchi?» chiese.

      «Sì.» rispose Amjad, gonfiandosi nel frattempo il petto per mettere in bella mostra il grosso crocifisso che portava al collo.

      «Un eunuco del Re che rapisce una giovane donna… Per farne cosa? Per il denaro di cui già è ricco? Per il sollazzo per il quale non possiede nessuna voglia e potenza?» fece riflettere l’ultimo giunto al suo sottoposto.

      «Dove siete diretti?» chiese poi questi ad Amjad.

      «A Platia49

      E dunque intervenne l’altro:

      «Intendete scollinare i monti con questo mezzo? La strada per Platia diventa per molti tratti impraticabile.»

      «Sbriglieremo i cavalli e proseguiremo in sella.»

      «Da chi portate vostra sorella? Conosco tutti a Platia.»

      Amjad sapeva che non poteva rivelare il nome del saraceno a cui avrebbe concesso la mano di Naila, non dopo aver mostrato il crocifisso.

      «Dalle monache! Dove sennò?» intervenne nuovamente il capo, togliendo Amjad dal pericolo.

      «La carrozza ci intralcia il passaggio e la visuale… Andate pure!» liquidò spazientito sempre colui che era sopraggiunto per ultimo.

      Naila, delusa e spaventata, non disse più nulla. Amjad, invece, non appena ripresero il cammino, fece:

      «Mi spezzi ancora una volta il cuore, sorella. È anche per questo che non posso avere pietà. Consiglierò al nostro amico di ammansirti con la verga e con la frusta, per darti quella disciplina che mi rammarico di averti negato.»

      PARTE III – LA SPIAGGIA DI MADREPERLA

      Capitolo 12

      Fine agosto A.D. 1160, dintorni di Balermus

      Si dovrebbe stare sempre attenti a parlare di prosperità… La prosperità e la miseria di un popolo sono spesso giudicate in funzione alle alterne vicende dei facoltosi, ma, tristemente, nessun cronista si è mai preso il tempo di valutare il contenuto delle tasche della gente comune. Gli Altavilla avevano creato sì una nazione prospera, ma sarebbe stolto concludere che non esistessero più i poveri.

      Vittore apparteneva proprio ai miserabili di Sicilia. Pescatore figlio di pescatore e discendente chissà fino a quale generazione da gente che aveva praticato lo stesso mestiere. Faceva parte dei cristiani dell’Isola che da secoli parlavano il latino del popolo e che potevano essere giudicati, insieme a quelli che si esprimevano in greco, come i veri indigeni di Sicilia. Inoltre, già ai tempi del primo Ruggero, la famiglia di Vittore era stata tra quelle che avevano abbandonato il rito orientale per abbracciare la stessa confessione praticata dai normanni e dal papa.

      Vittore aveva la tempra e il carattere di chi ha dovuto lottare contro tutto e tutti: contro la nobiltà che desidera imporre l’asservimento, contro i dannati alla ricerca di un tozzo di pane, contro


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<p>48</p>

Muezzin: la persona incaricata al richiamo dell’adhān dalla cima del minareto nelle ore del giorno in cui cadono i cinque ṣalāt.

<p>49</p>

Platia: antico nome dell’attuale Piazza Armerina in provincia di Enna, città famosa per gli straordinari mosaici romani conservati nel vicino sito archeologico. La Platia medievale sorgeva a pochi chilometri dalla sua collocazione attuale.

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