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Il Cielo Di Nadira. Mongiovì GiovanniЧитать онлайн книгу.

Il Cielo Di Nadira - Mongiovì Giovanni


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sentito? La partenza è per domani all’alba. Sai cosa devi fare.»

      Quindi seguì Roul lungo il cammino per la taverna.

      Conrad sapeva bene quello che doveva fare, ed era quello che faceva ormai da due anni: preparare il bagaglio del padre, sistemare la sua armatura, dare l’ultima affilata al taglio della spada e preparare lo stendardo con su lo stemma di famiglia, un’ascia danese sovrastata da una verde foglia di quercia inserite in uno scudo a campo rosso... stendardo che proprio Conrad avrebbe sostenuto per tutto il tragitto fino al luogo della battaglia, in marcia a cavallo accanto al padre.

      Quei discorsi sulle donne e sul vino fecero una strana ed inedita gola a Conrad - il mistero del proibito fa sempre gola ai ragazzini - cosicché, appena i due cavalieri lasciarono il luogo dei fabbricati in rovina, si diresse anch’egli verso la taverna, la quale era in realtà un ritrovo accomodato a tale uso da un contadino cristiano che sperava di speculare sui bisogni delle truppe.

      Era appena la quinta ora, come detto, e il sole picchiava ancora forte sulla testa di Conrad. Passava tra le tende affollate da soldati di ogni sorta, con gruppi a destra e a manca tutti in conversazione nel proprio idioma... e tra i preti predicatori, in piedi e in posizione elevata, che facevano la voce grossa dopo decenni di preghiere dette a bassa voce. Benedicendo ogni soldato che passava sotto i loro sgabelli, santificarono anche il ragazzo quando fu loro vicino.

      Quindi Conrad entrò nella taverna e fu allora che si trovò a tu per tu col bieco vizio che domina gli adulti. Calici strapieni di vino, giocatori di dadi ad ogni tavolo ed una manciata di prostitute, quelle che ci si improvvisavano per denaro e quelle costrette perché adesso le fanciulle del popolo dovevano darsi ai conquistatori. Conrad scappò via, temendo che tra quegli uomini si imbattesse nella vista di suo padre.

      Capitolo 6

      Inverno 1060 (452 dall’egira), Rabaḍ di Qasr Yanna

      Umar chiuse la porta spazientito. Le richieste della povera ragazza cristiana, che pure si era umiliata al punto di baciargli i piedi, vennero perciò interrotte definitivamente.

      «Non ho tempo per gli scocciatori. Se si ripresenta, cacciatela!» ordinò alla solita donna della servitù che in un primo momento le aveva aperto.

      I singhiozzi disperati del pianto di Apollonia dall’altro lato della porta vennero ignorati con ancor più facilità delle richieste verbali di poco prima.

      Nadira se n’era stata in un angolo buio della stanza d’ingresso, intenta ad osservare la scena che si stava consumando sull’uscio di casa, ma ora che la porta era stata chiusa, tagliando la voce e le speranze alla povera ragazza di fuori, si avvicinò al fratello e gli disse arrabbiata:

      «Non bastava la vergogna con cui ti stai già coprendo?»

      E lui, estremamente infastidito dal giudizio della sorella, già in collera per la discussione del pomeriggio e per il fatto che sua madre fosse intervenuta in difesa della figlia, minacciò:

      «Bada, Nadira… bada… bada che non ti mandi dal tuo Qā’id su di una lettiga!»

      «Me ne andrò felice dal “mio Qā’id”, pur di non vederti più!»

      «Perché non te ne andasti allora quando venne a chiedere la tua mano? Mi pare che lui volesse portarti al suo palazzo già il giorno dopo.» rispose Umar, indicando col dito in alto verso la direzione di Qasr Yanna, sede del palazzo di ibn al-Ḥawwās.

      «Perché richiesi di poter aspettare che tua moglie partorisse, così da vedere il tuo terzo figlio.»

      «Come se Ghadda avesse bisogno di una ragazzina dalla testa montata per essere aiutata nella sua gravidanza…»

      «Non hai preso neppure un capello di nostro padre...» rispose Nadira, che dunque, avvicinandosi un altro po’, gli puntò il dito in faccia e proseguì:

      «Sei un ingrato… con me come con quei poveri contadini che servono questa casa da che sono nati. Se non lo fossi non avresti ignorato quella disgraziata che ancora piange dietro la nostra porta.»

      Il richiamo del muezzin allora si levò alto per tutto il Rabaḍ; l’ultimo raggio di sole era scomparso dietro al monte di Qasr Yanna.

      «È una disgraziata, hai detto bene, e sempre lo sarà… Spiegami perché devi prendere tanto a cuore questa cosa.»

      «Perché se tu fossi stato legato a quel palo, io mi sarei gettata ai piedi del tuo aguzzino con ancor meno dignità della ragazza cristiana.»

      Detto questo Nadira scoppiò in lacrime, ma pure continuò, mentre Umar si trovava spiazzato da quell’inaspettata dichiarazione di devozione nei suoi confronti.

      «E mi chiedi perché ho chiesto al Qā’id di aspettarmi per tre mesi...»

      Tuttavia Umar si fece serio e raccolse in sé tutta la forza che aveva per mostrarsi duro.

      «Tu e i tuoi pianti, Nadira. Non riuscirai ad impietosirmi!»

      «Mi chiedo quanto ti dispiaccia che ci vedremo solo se Allah vorrà d’ora in avanti.»

      «Spero allora che Allah accolga la mia richiesta di tenerti lontana.»

      Nadira prese a piangere più forte e, battendogli sul petto, urlò:

      «Non sei nulla, Umar… nulla… e forse se sarai finalmente qualcosa sarà solo grazie a me!»

      Umar, che non poteva sopportare quelle parole che come lame ferivano il suo orgoglio, le mollò uno schiaffo e le disse:

      «Non senti che è l’ora della ṣalāt del tramonto? Va’ a purificarti prima che la notte arrivi completamente.»

      «E tu va’ a lavarti pure l’anima!»

      Si lasciarono frettolosamente, ognuno per le sue camere, arrabbiati e in collera l’uno con l’altra.

      Quando Umar finì la sua preghiera rimase pensieroso e si sedette sul suo letto, rimuginando su quello schiaffo dato in preda all’ira.

      «Cos’è successo poco fa sulla porta? Ti ho sentito litigare durante l’adhān34.» domandò Ghadda, venendosi a sedere accanto mentre si teneva il grosso pancione.

      «Mia sorella mi manda in bestia! Da quando il Qā’id ha chiesto la sua mano non fa altro che criticare il mio operato.»

      «E tu, Umar, non fai altro che provocarla… Da che vivo sotto questo tetto non avevo mai visto nessuno legato al palo del cortile. Non sarà che da quando il Qā’id ha chiesto la mano di Nadira tu ci tieni a ribadire chi comanda in questa casa e sull’intero villaggio? Tutti parlano di tua sorella, molto più di quanto lo abbiano mai fatto di te. Ma in fondo, mio amato, voi due siete uguali… testardi e sempre pronti ad imporre la propria parola sull’altro. Per di più siete cambiati entrambi da quel giorno… lei si è montata la testa, ma tu hai smarrito la via di tuo padre. Manca anche a me l’Umar che conoscevo.»

      «Vorresti insinuare che io sia geloso di Nadira? Che io tema di perdere il ruolo di persona più importante di questa casa?»

      «Non solo della casa, ma dell’intero Rabaḍ.»

      «Io geloso di Nadira; che sciocchezze!» concluse Umar, ridendo nervosamente nel tentativo di nascondere il suo disagio di fronte a quella verità che anche una parte di sé sapeva essere esatta.

      «Padrone, la sentinella sul terrazzo chiede di parlarvi.» interruppe una serva da dietro la porta della stanza.

      Umar quindi si alzò e ringraziò la fortuna, dal momento che lo stava liberando da quel discorso scomodo.

      Ghadda allora lo trattenne per un braccio e gli disse:

      «Ti ho mancato di rispetto?»

      Ma lui le si avvicinò e, addolcendo l’espressione, la baciò sulla fronte.

      Copertosi capo


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