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Il Cielo Di Nadira. Mongiovì GiovanniЧитать онлайн книгу.

Il Cielo Di Nadira - Mongiovì Giovanni


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      Quindi chiuse gli occhi e recitò con mezzo sorriso beffardo:

      «“Il cielo di Nadira, i confini dei suoi occhi.”»

      Umar si rigirò nervosamente le mani. La richiesta generava sospetto, anche se in fondo non era poi così difficile da soddisfare, non essendoci nessuna violazione di pudore o morale. Il padrone di casa se ne stava pensieroso, diviso tra la gelosia per la sorella e il timore di deludere un uomo più importante di lui. Quell’altro d’altronde aveva compreso sin dall’inizio - o forse gli era stato riportato - quale fosse il punto debole di Umar. Con un altro quell’uomo dalle chiare abilità mercantili avrebbe offerto denaro, tuttavia Umar non riteneva le ricchezze come le riterrebbe un avaro; era l’orgoglio la vera chiave per renderlo vulnerabile.

      «Umar, fratello mio, adesso che sei il cognato del Qā’id avrai per certo già pensato a come rendere evidente il tuo stato e a come farti rispettare in quanto tale…»

      Umar lo guardò perplesso, in fondo ci pensava da che Ali ibn al-Ḥawwās aveva visitato il Rabaḍ.

      «Il mio mantello, ne hai mai visto uno simile?» chiese Salim, essendosi accorto che Umar l’aveva fissato meravigliato.

      «Immagino provenga da molto lontano.»

      Quell’altro rise, coinvolgendo anche i suoi uomini in quel gesto.

      «Questo la dice lunga su di te, fratello. Hai mai messo piede fuori dal Rabaḍ?»

      «Frequento con costanza il mercato di Qasr Yanna. Lì vi è una gran quantità di gente: molti fedeli, ma anche contadini cristiani che lavorano la terra entro le mura della città e perfino artigiani giudei provenienti da Qal’at an-Nisā’35. È possibile trovare di tutto: dallo zolfo delle miniere al sale proveniente dai giacimenti, dallo zucchero estratto dalla canna al riso delle risaie. E i giardini della città e le sue fonti… vale la pena recarvisi.»

      «Ma Qasr Yanna dista solo mezz’ora da questo villaggio!» rifletté l’uomo col medaglione.

      «Forse in salita, fratello!» rispose l’altro nel tentativo di deridere Umar.

      «Mio caro Umar, la stoffa del mio mantello proviene dagli opifici di Balarm36. Sei mai stato a Balarm?»

      Salim sfruttava con successo l’arte del mercanteggiare, tuttavia ad Umar non stava vendendo beni materiali, ma qualcosa che l’esattore del Qā’id già possedeva: l’orgoglio. Come un mercante fa nascere nel suo cliente il bisogno di avere l’oggetto che intende vendergli, così Salim stava umiliando Umar, facendogli comprendere la necessità di diventare un’altra persona, una che desse a vedere la sua parentela col Qā’id, che ostentasse con orgoglio il suo nuovo stato. Facendogli pesare il fatto che non fosse mai stato a Balarm lo rendeva piccolo… piccolo come poteva essere qualsiasi abitante di un villaggio rurale, benché funzionario del Qā’id. Adesso Salim gli avrebbe proposto la soluzione facendo leva su quell’orgoglio che aveva abilmente smontato e che necessitava di nuova vita.

      «Il mantello è tuo, fratello! Ti serve proprio un abito che non ti faccia passare inosservato.»

      «È qualcosa di troppo prezioso perché tu te ne privi.»

      «Scherzi, Umar? Ne posseggo a centinaia di stoffe del genere… che le mie sarte sapranno confezionare a dovere. D’altronde cosa ti chiedo se non il semplice sguardo degli occhi di una fanciulla… Pensa, essa è l’unica cosa che tu possegga e che valga la pena mostrare… e la tieni pure sottochiave…»

      Quindi Umar fece cenno alla serva che se ne stava sulla porta e che reggeva una grande brocca di terracotta piena d’acqua.

      «Fa’ venire Nadira.»

      La serva perciò uscì dalla stanza.

      I quattro rimasero per lunghi minuti in silenzio, attendendo che si presentasse la ragazza che aveva generato tanta curiosità nel forestiero. Nervosamente Umar attinse un pezzo di pane dal piatto posto al centro e lo intinse nel miele, portandoselo poi alla bocca.

      Nadira, la quale se n’era stata per tutto il tempo in camera sua dopo l’ultima sfuriata col fratello, mise quindi piede nella stanza. Vestiva ancora il bell’abito verde con le rifiniture gialle e blu del pomeriggio e come al solito, in presenza di uomini estranei, si copriva il viso.

      Jala e Ghadda, perplesse e curiose, si accostarono alla porta.

      «È lei la fanciulla che ha catturato il cuore di ibn al-Ḥawwās?» chiese Salim, rivolgendosi ad Umar.

      «In persona… mia sorella Nadira.»

      Salim si mise in piedi, mentre gli altri due al suo seguito si guardarono tra loro, persi in quell’atmosfera divenuta di colpo ammaliante.

      Nadira si fermò a metà della stanza, perciò fissò Umar, cercando di capire cosa volesse da lei quell’ospite e che ruolo avesse lui in tutto questo.

      «Vieni, ragazza, avvicinati!» le fece Salim, mimando l’invito con la mano.

      Umar assentì col capo e lei, riconoscendo di potersi fidare, fece due passi avanti.

      Ora gli occhi di Salim si perdevano in quelli della ragazza, ma la guardò con un’intensità tale che lei dovette abbassare lo sguardo sentendosi a disagio, come se l’atto di osservare di un uomo potesse costituire una vera minaccia.

      Dopo alcuni secondi Umar intervenne:

      «Non ti basterà tutta la notte per saziare la tua vista.»

      E rivolgendosi a Nadira:

      «Può bastare così, sorella.»

      Dunque Salim intervenne:

      «No, ragazza, aspetta un momento! E tu, Umar, impazzirei se non ti chiedessi una cosa.»

      «Di’.»

      «Non vedo schiave negre in questa casa, eppure ogni uomo che si rispetti ne ha almeno una. Verrai con me fino alla mia città, porterai con te tutti gli uomini che vorrai, tanti quanti ne ritieni necessari, quindi riempirò le braccia di ognuno, e coprirò la groppa di ogni cavallo o dromedario che avrai con te di tutto ciò che sembrerà bello ai tuoi occhi… e ti darò pure una schiava negra. Sono un uomo molto facoltoso e nobile di sangue; non rinunciare, fratello! Diranno di te grandi cose, e per certo ti intitoleranno una moschea.»

      Le orecchie di Umar, all’udire quell’offerta eccessiva, fischiarono e la sua testa divenne leggera, vuota, persa nella confusione di ciò che quello gli proponeva. Tuttavia Umar pensò bene di bloccare ogni trattativa sul nascere, immaginando quale potesse essere la natura della contropartita.

      «Non mancherò di rispetto al mio Qā’id facendomi rendere ricco da qualcun altro.»

      Nadira allora uscì definitivamente dalla stanza, pur se rimase con le altre donne in un punto in cui avrebbe sentito senza essere vista.

      Salim tornò a sedersi, umiliato da quel rifiuto. Dunque, lisciandosi la barba, disse lentamente:

      «Un giorno, quando mio figlio era ancora un bambino, lo vidi giocare con alcuni robā’i37 d’oro; li usava come se fossero piccoli blocchetti di legno, facendone pile e lasciandoli cadere. La serva, contrariata, gli gridava dietro come una forsennata, intenzionata a farglieli deporre. Infine mi ci avvicinai io, tirai dalle tasche alcune monete di vetro colorato e gliele proposi in cambio di quelle d’oro. Il bambino accettò prontamente lo scambio.

      Ecco, tu, mio caro Umar, sei come quel bambino, disposto a rinunciare ad un offerta d’oro pur di accontentarti di semplice vetro colorato.»

      «Col vetro colorato la gente ci compra il pane!» esclamò Umar, infastiditosi per quel giro di parole usato allo scopo di offenderlo.

      «Ma tu non vorrai restare per sempre un uomo da vetro colorato… Hai in casa qualcosa che vale più dell’oro… e credimi se


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