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Il Cielo Di Nadira. Mongiovì GiovanniЧитать онлайн книгу.

Il Cielo Di Nadira - Mongiovì Giovanni


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ragione alla ragazza cristiana. Questa era stata atterrata al suolo, ed ora, a capo scoperto, si parava il volto e gridava, mentre quell’altro gliele dava con la stessa corda con cui il giorno prima era stato colpito Corrado. Proprio Corrado, invece, permaneva nel suo stato di incoscienza.

      Umar si fermò e, avendo fresche in mente le parole di sua moglie, come se volesse dimostrare a sé stesso che non fosse geloso di nessuno, ordinò alla guardia:

      «Idris, lascia perdere quella povera disgraziata!»

      «Ma Umar, sono tre volte che le dico di non avvicinarsi al ragazzo... E poco fa ha approfittato della ṣalāt del tramonto per rifarlo!»

      «Va bene… ma non toccarla! Piuttosto mandala a casa.»

      A questo punto Apollonia si sollevò un po’, restando comunque piegata sulle sue gambe e seduta sui suoi talloni.

      «Fammi restare almeno dentro il cortile. Me ne starò buona vicino al muretto.» lo pregò piena di lacrime.

      «Fa’ come ti pare!» la liquidò Umar, spazientito di averla ancora tra i piedi.

      Salito sul terrazzo, la sentinella indirizzò subito la sua attenzione sulle ultime curve della strada proveniente da Qasr Yanna, proprio a pochi passi dal Rabaḍ.

      «Vengono da questa parte tre uomini a cavallo.»

      «A quest’ora? Saranno viandanti che hanno sbagliato strada. Potevano passare la notte a Qasr Yanna però… Perché mettersi in viaggio col buio e con questo freddo?»

      «Il cielo è terso stanotte, temo che scenderà il gelo.»

      Umar pensò un attimo al prigioniero, ma poi rivolse nuovamente l’attenzione a quei forestieri in avvicinamento.

      «Umar, a giudicare da quelli che mi sembrano drappeggi, almeno uno di quei cavalieri dev’essere qualcuno di importante.»

      «Hai fatto bene ad avvertirmi, Mezyan. Se è qualcuno di importante è giusto che conosca la mia ospitalità.»

      Umar scese giù sul cortile e quindi, guardando Corrado, fece alla guardia:

      «Idris, dopo l’adhān della notte aspetta un paio d’ore e poi lascialo andare.»

      Quell’altro in risposta chinò il capo, assentendo.

      Dopo le ultime considerazioni meteorologiche, Umar avrebbe voluto liberare Corrado già subito, ma ritenne che dare a vedere una manifestazione di potere di tale portata dinanzi a quei forestieri avrebbe giovato alla sua reputazione.

      L’esattore del Qā’id li attese quindi sull’ingresso e li vide arrivare mentre gli ultimi bagliori di luce sparivano ad ovest.

      Come aveva visto bene la sentinella sul terrazzo, uno dei tre vestiva finemente; per certo era un nobile. Umar si rese immediatamente conto che la stirpe dei tre non era berbera, ma forse araba. D’altronde, oltre l’aspetto, poco o niente distingueva un uomo di origine berbera da uno di stirpe araba, se non l’uso della lingua berbera come idioma parlato in famiglia accanto all’arabo e i rimasugli di una cultura antica ed estranea al mondo islamico importato proprio dagli arabi.

      Quello che pareva essere un nobile portava un mantello con un cappuccio bianco, tutto finemente damascato; Umar non ne aveva mai visto uno simile. Scesero da cavallo e uno dei tre, ma non quello su cui era stata rivolta finora l’attenzione, disse:

      «Cerchiamo la casa di Umar ibn Fuad.»

      «Sono io Umar. Cosa posso fare per voi?»

      «Sapete chi avete davanti, Umar?» chiese sempre quello che parlava, riferendosi al tizio che accompagnavano.

      «Me lo direte al caldo del braciere.»

      Quindi disse al suo uomo nel cortile:

      «Idris, sistema queste cavalcature!»

      Umar li invitò quindi ad accomodarsi dentro. Non aveva idea di chi avesse davanti, ma non voleva dare l’impressione che la sua ospitalità si basasse sulle generalità dell’ospite. Comprendendo che comunque era al cospetto di un uomo dal lignaggio riguardevole, credette bene di accoglierlo in casa propria ancor prima che si presentasse.

      Nella solita stanza ben arredata di tappeti e cuscini, adesso con un braciere accesso al centro, Umar fece gli onori di casa dando il meglio di quello che aveva. Pensò di potersi fidare dei tre, dal momento che insieme ai mantelli e alle borse consegnarono alla servitù anche le spade senza che nessuno gliel'avesse suggerito.

      Adesso, alla luce del fuoco e dei lumi, Umar poteva osservarli meglio. L’uomo che sembrava essere il capo degli altri due aveva all’incirca quarant’anni, l’aspetto curato, il viso e il naso sottile; aveva inoltre l’aria di chi sa di valere a questo mondo. Parlava anche lentamente, chiudendo spesso gli occhi con fare saccente. Gli altri due erano vestiti tra loro quasi nella stessa maniera, con lunghe tuniche nere e calzoni bianchi, ma uno dei due portava un grosso medaglione d’oro al collo.

      Ognuno di fronte all’altro passarono lunghi minuti prima che qualcuno iniziasse a parlare. Poi Umar volle rompere il ghiaccio nel tentativo di capire se poteva cogliere un qualche affare:

      «Sei ricco! Cosa sei, un mercante di perle?»

      E quello, sorridendo, rispose:

      «I miei agenti quest’anno hanno fatto crescere notevolmente i miei guadagni proprio tramite il commercio delle perle.»

      «Avrei detto che tu che fossi un qā’id, se non fosse che un qā’id viaggerebbe con la scorta e con la corte.»

      «Salim, fratello… il mio nome è Salim.»

      «Bene, Salim… quale affare ti ha condotto in casa mia?»

      In realtà Umar avrebbe voluto chiedere come mai non fossero rimasti per la notte a Qasr Yanna invece di rimettersi in marcia al tramonto per fare pochissime miglia. Temette tuttavia che la sua domanda potesse essere mal interpretata, quasi come se stesse chiedendo loro perché non se n’erano rimasti a casa.

      «Quell’uomo che hai fatto legare a quel palo… è in vendita? Perché mi è sembrato di vedere un fisico eccezionale.»

      «Sei un mercante di schiavi dunque!»

      «Sono un uomo che cerca perle preziose tra il genere umano, fratello.»

      Immediatamente la mente di Umar venne sfiorata dal pensiero di vendere Corrado a quell’uomo. Poi rifletté che i cristiani del Rabaḍ non erano degli schiavi, pur se servivano la sua casa, e non poteva farsi padrone della loro vita. Quindi rispose:

      «Temo che al Rabaḍ non vi sia nessuna di queste perle. Qui ognuno coltiva la sua propria terra e prega tra le sue proprie mura… eccezion fatta per le quattro serve che governano questa casa.»

      «Eppure so che nascondi una perla di rara bellezza sotto questo tetto, e che non si tratta di una delle tue quattro serve.»

      Umar si fece serio e, avendo compreso che si riferisse a Nadira, rispose:

      «La perla a cui ti riferisci non è in vendita, né lo è mai stata.»

      «Eppure so che il Qā’id di Qasr Yanna si è affrettato a comprarla, fratello.»

      «Perciò comprenderai che genere di uomo la protegge…»

      «Non temo nessuno… tanto meno il Qā’id, e questo perché non ho intenzione di fare del male a nessuno… semmai ne avessi il potere. Ciononostante ho sentito parlare di due gemme di zaffiro incastonate in un meraviglioso contorno; di una fanciulla dalle fattezze paradisiache, di un sogno che spacca il petto. Il Qā’id può avere tutto quello che vuole… e ottiene sempre il meglio. Io, però, sono un mercante di perle - come hai detto - e riconosco che di tali perle altri qā’id e signori pagherebbero una fortuna. La fama degli occhi di Nadira, sempre che questo sia il suo vero nome, si è sparsa per tutta la Sicilia centrale, ma io non ti chiedo niente… solo di vederli. Adesso che ibn al-Ḥawwās si è fatto un dono così prezioso gli altri certamente vorranno imitarlo e sarà meritò mio trovare


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