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Una sfida al Polo. Emilio SalgariЧитать онлайн книгу.

Una sfida al Polo - Emilio Salgari


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— disse l'americano, corrugando la fronte. — Una ragazza del nostro paese non ha che una parola e morrà per mantenerla.

      — Che cosa volete dire, gentleman? — chiese l'inglese, un po' ironicamente.

      — Che ha giurato di impalmare il più forte dei due campioni e che non mancherà di farlo.

      — E qual'è il più forte?

      — Non si sa ancora, perchè pare che un perverso destino perseguiti ostinatamente i due campioni.

      Si sono sfidati alla spada e si sono feriti reciprocamente; si sono sfidati a cavallo e sono caduti entrambi nel salto agli ostacoli; hanno fatto una corsa in canotto-automobile e le loro macchine sono scoppiate in alto mare, e non si sa per quale miracolo si sono salvati....

      — Ed ora?

      — Si sfidano a pugni.

      — Dite, gentleman?

      — Che noi assisteremo ora ad una magnifica partita alla boxe. Chi vincerà avrà la mano ed il cuore di miss Ellen, poichè lo ha solennemente giurato.

      — E sono venuti qui a misurarsi?

      — Giovanotto mio, questo affare ha prodotto un gran chiasso al di là del S. Lorenzo e la polizia si è messa di mezzo per impedire che quei due valorosi finiscano per accopparsi del tutto e perciò siamo passati sul territorio canadese.

      La boxe è tollerata dagli inglesi.

      — Uhm!...

      — Non lo credete? Se si accoppano a gran colpi di pugno nel vostro paese.

      — Sì, una volta; ora non più. —

      L'americano si grattò la testa e fece un moto di stizza.

      — Che anche i policemen inglesi si vogliano occupare di questo affare? — disse poi. — Ciò mi dispiacerebbe perchè io ho scommesso cento dollari....

      — Sul vostro compatriotta?

      — No, sul canadese.

      — Eh!...

      — Gli affari sono affari, giovanotto, ed io ho più fiducia nel signor di Montcalm che in Will Torpon.

      — È strano.

      — Che cosa volete? Quantunque il mio compatriotta sia più grosso e più alto del canadese, io sono certissimo che perderà la mano di miss Ellen Perkins.

      — Questi due rivali sono ricchi, gentleman?

      — Non sono dei Pierpont Morgan, nè dei Carnegie, nè dei Wanderbild, intendiamoci; tuttavia possono permettersi il lusso di gettar via, senza badarci tanto, qualche centinaio di migliaia di dollari.

      Il mio compatriotta ha ereditato da suo padre una mezza dozzina di pozzi di petrolio che sembrano inesauribili, poichè gettano sempre; il signor Montcalm invece è uno dei più grossi proprietarî di terreni del dominio inglese.

      — E la miss?

      — Ne ha dei milioni, la terribile fanciulla. Suo padre, che era proprietario d'una linea di navigazione, le ha lasciato un bel gruzzolo che intascherei ben volentieri anch'io.

      — Assieme ai begli occhi della miss, è vero?

      — In quanto a quello non saprei proprio dirvi un sì. Mi riterrei più fortunato se non ci entrassero nell'affare.

      — Sono bellissimi, gentleman. —

      L'americano, per non rispondere, inghiottì d'un colpo solo quanto rimaneva nel suo bicchiere, poi trasse da una tasca una tavoletta di tabacco, ne ruppe un pezzo coi suoi denti da lupo, e dopo d'aver masticato per qualche istante, disse:

      — Mi pare che i partners (padrini) dei due sportmen si siano già messi d'accordo e che la partita stia per cominciare.

      Volete venire, giovanotto? Non perdete una così bella occasione.

      — Andiamo, gentleman. —

      Stavano per ricacciarsi fra la folla che non aveva cessato un solo istante di dimenarsi furiosamente e di sgolarsi con hurràh, che diventavano ormai sempre più rauchi, quando una voce formidabile rimbombò, coprendo per un istante tutto quel fracasso.

      — I policemen!... —

      A quell'annuncio un silenzio improvviso era successo a tutto quel pandemonio. Si sarebbe detto che le ugole di quei diecimila spettatori si erano spezzate di colpo.

      Fu una cosa che ebbe però la durata di soli pochi secondi.

      Urla più formidabili di prima si erano prontamente alzate in tutte le direzioni.

      — Dove sono quei furfanti?

      — Accoppiamoli!...

      — Gettiamoli nel S. Lorenzo!...

      — A morte!... A morte la polizia!... —

      Un grosso automobile, dipinto in grigio, s'avvicinava rapido alla pista, seguendo la bianca via poco prima percorsa da quello di miss Ellen Perkins.

      Sei uomini, armati di mazze, lo montavano e non si poteva aver dubbio, per la divisa che indossavano, sulla loro qualità. Erano dei policemen del Dominio che giungevano probabilmente coll'ordine d'impedire quel combattimento a colpi di pugno, che poteva terminare in modo egualmente tragico per l'uno o l'altro dei due avversari.

      L'automobile, lanciato a tutta velocità, passò come un fulmine attraverso il largo squarcio aperto nella palizzata, facendo fuggire precipitosamente gli spettatori, e dopo d'aver descritto un mezzo giro si fermò, con gran fragore, presso quello di miss Ellen.

      Proprio in quel momento il signor di Montcalm e master Torpon si erano messi l'uno di fronte all'altro, nudi fino alla cintola, fiancheggiati dai loro partners, pronti a rompersi le costole od a fracassarsi il viso pei begli occhi, e più pei milioni, della bella americana.

      Il brigadiere dei policemen si era alzato e dopo d'aver reclamato, con un gesto energico, un po' di silenzio, gridò con voce poderosa:

      — In nome della legge ed in forza del mandato di cui sono detentore, mi oppongo al combattimento. Obbedite!... —

      Un urlo spaventoso accolse quelle parole.

      — Morte ai policemen!...

      — Al fiume!... Al fiume!...

      — Accoppiamoli!... —

      Prima cento, poi mille uomini, invasi da un vero furore, si erano scagliati contro l'automobile.

      Il brigadiere, che forse si aspettava quel colpo, d'un balzo fu a terra prima che il cerchio si chiudesse, e si gettò disperatamente attraverso la pista, manovrando energicamente la sua mazza, senza badare se rompeva delle teste o fracassava delle costole.

      I suoi compagni, sorpresi da quell'improvviso assalto, erano rimasti sull'automobile, certissimi di aver facilmente ragione in nome della legge.

      Avevano però fatto male i conti. In un baleno cento mani robuste li afferrarono, li trassero giù stringendoli al collo, alle braccia, alle gambe, e li scaraventarono brutalmente a terra, disarmandoli prontamente delle loro mazze.

      I disgraziati, subito ben pesti, avevano appena toccato il suolo che si sentirono gettati in aria, colle divise a brandelli.

      La folla voleva la sua parte.

      Quei poveri diavoli, intontiti, ammaccati, contusi, quasi spogliati, passavano sulle teste degli spettatori, rimbalzando come palle di gomma. Erano sopratutto i yankees che si mostravano i più feroci.

      Forse non si erano mai trovati a tanta festa!....

      — Su la legge!... — urlavano.

      — In alto!... In alto!... Su, un'altra volata!... Hurràh!... Hurràh!...

      — Un'altra


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